Anno: XXVI - Numero 60    
Venerdì 28 Marzo 2025 ore 14:00
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La riforma della professione forense

Si tratta di un topolino partorito dalla solita montagna, del tutto incapace, o meglio del tutto priva di volontà, di un effettivo cambiamento e ammodernamento della normativa ordinamentale, che rimane inalterata anche nell’impianto.

La riforma della professione forense

Ha circolato nei giorni scorsi e anch’io ho ricevuto il testo della bozza di modifica della legge professionale Forense. Non appena ho potuto leggere questa bozza mi sono francamente domandata se ero su scherzi a parte oppure se si trattava realmente del parto faticoso e travagliato di un tavolo che è stato imposto all’avvocatura al congresso del 2023 e che dovrebbe aver lavorato per oltre un anno, sia pure nel più totale silenzio, elaborando un testo moderno, nuovo, che rendesse l’avvocatura adeguata ai tempi e competitiva, tenendo conto ovviamente delle mozioni approvate e respinte dal congresso stesso. Purtroppo, consultando vari siti e parlando con colleghi ho dovuto rendermi conto che non ero vittima di uno scherzo, ma che il testo è realmente quello diffuso dal Principe. Testo che, bontà sua, ha detto alle associazioni maggiormente rappresentative poter essere oggetto di qualche limitata proposta di modifica da far pervenire però entro la giornata di lunedì 24 marzo mattina. Oggi, quindi. Un termine ad horas quindi, penalizzante ed oserei dire anche irridente.

Ma veniamo al testo. Si tratta di un topolino partorito dalla solita montagna, del tutto incapace, o meglio del tutto priva di volontà, di un effettivo cambiamento e ammodernamento della normativa ordinamentale, che rimane inalterata anche nell’impianto.

Basta confrontare la bozza modificata con il testo attuale approvato malauguratamente nel 2012, con l’avallo dell’associazione di cui il Principe è stato presidente, per rendersi conto immediatamente che ben poche sono le modifiche, peraltro non troppo significative, e che interi capi della normativa, ancorché meritevoli di una totale rivisitazione e ripensamento, sono rimasti del tutto intoccati. Ad esempio il capo relativo al consiglio nazionale forense, e con esso la lacunosa normativa in tema di elezione, che resta non disciplinata, senza candidature e altro; con essa i vistosi e perniciosi conflitti interni per funzioni e attribuzioni, la mancanza di contrappesi e di sistemi di valido controllo sull’operato, così come la sua strutturazione, che oramai da anni si vorrebbe modificata per scindere la funzione disciplinare dalle rimanenti funzioni gestorie e competenze in materia elettorale, facendo venir meno nel contempo tantissimi punti oscuri dell’agire dell’organo, che si sono manifestati con grande evidenza negli ultimi anni. Basti pensare alla assenza di previsioni sui tempi e ordine di trattazione dei procedimenti, in materia elettorale e disciplinare, che – a tacer d’altro – si presta ad un utilizzo strumentale del calendario delle udienze.

Si punta per contro a rafforzare la impermeabilità ai controlli, anche contabili, sull’agire dell’organo.

Quello di cui gli illustri redattori della bozza non si sono affatto dimenticati è un tema che nessuno ha richiesto loro di trattare, del tutto assente dalle mozioni congressuali, e cioè il tema della durata dei mandati e della loro possibile replicabilita’. Vi è infatti la previsione di una riduzione a tre anni di tale durata e si riscontra altresì la volontà di modificare il limite del doppio mandato, per eliminarlo totalmente, ritornando così a un passato sul punto non sempre glorioso, ovvero per portarlo dagli attuali due mandati almeno a tre ( da tre o quattro anni ciascuno).

Non vogliamo celare la netta e chiara impressione che questa fosse l’unica finalità perseguita da chi questo tavolo e questa bozza ha voluto, per poter così continuare a detenere posizioni di vertice che con tutta evidenza consentono di acquisire vantaggi, perché diversamente un tale accanimento nel voler rimanere seduti sulle poltrone sarebbe ben difficile da comprendere.

Un’altra variante, delle pochissime, è l’eliminazione della incompatibilità tra l’esercizio della professione e l’assunzione di cariche amministrative gestorie nelle società di capitali o in enti pubblici e privati. Tema che certamente non è alieno dagli interessi anche personali di chi siede ai vertici dell’avvocatura e di perciò stesso si trova ad avere ampie possibilità in tal senso.

Si nominano le reti anche interprofessionali (meglio tardi che mai) e si disciplina de minimis la monocommittenza o la collaborazione continuativa, ma non pare per convinzione o per dotare gli avvocati di strumenti preziosi per crescere, anche in Europa, dove siamo totalmente assenti, ma sol perché forzati da una realtà che ha già superato l’assenza di disciplina.

Siamo francamente stanchi di usare metafore e mezzi termini.

Diciamo francamente che questa proposta di modifica della legge professionale è una presa in giro di tutta l’avvocatura e delle sue effettive e serie necessità, delle quali pare proprio che non interessi nulla a nessuno, se non in via superficiale e di facciata.

Ci domandiamo quando qualcuno si alzerà in qualche platea per contestare coloro che continuano a gestire l’avvocatura italiana come cosa propria, e non hanno neppure la decenza di rispettare le regole democratiche interne, i pronunciamenti del congresso e gli iscritti, volontariamente tenuti all’oscuro di ogni percorso riformatore, e non solo, così che non possano disturbare il manovratore.

Fortunatamente, chi scrive si appresta con estrema gioia a cancellarsi dall’albo e quindi non è minimamente toccato da ciò di cui stiamo trattando.

Possiamo soltanto dire che molti tentativi esperiti, anche per via giudiziaria, per ottenere trasparenza, chiarezza, documenti, dati, rispetto delle regole e quant’altro, anche quando hanno riportato significativi successi nell’interesse degli avvocati italiani, ed hanno condotto alla affermazione di principi di non modesta importanza, non hanno purtroppo avuto riscontro in un risveglio delle coscienze da troppo tempo sopite, evidentemente per la prevalenza di altri interessi o per la più banale necessità di sopravvivere nell’ambito di una professione non più gratificante e remunerativa. Purtroppo continuiamo a vedere che succede di tutto, che i soliti noti continuano a muoversi con modalità quantomeno criticabili e non rispettose degli iscritti che dovrebbero essere rappresentati e che tutto ciò accade nel persistente silenzio, o meglio nella indifferenza degli iscritti stessi. Tale indifferenza purtroppo finisce per legittimare ogni negativa e disdicevole prassi, anche quando si tratta di gestire denari provenienti dagli iscritti agli albi.

È una situazione che necessiterebbe di interventi rapidissimi e decisi, da parte di larghe fette dell’avvocatura, e non già soltanto delle iniziative di pochi singoli.

Purtroppo anche le associazioni maggiormente rappresentative, che una volta erano il cosiddetto sale dell’avvocatura, che si preoccupavano di contrastare l’agire dispotico e padronale degli organi di vertice nonché di elaborare proposte, testi, iniziative, sono oggi silenti forse perché appagate dai i risultati che gli sono stati consentiti nell’ambito della formazione o della rappresentanza in organi interprofessionali che gestiscono, a tacer d’altro, i contratti di lavoro dei dipendenti o altre iniziative consimili. Paghi di tutto ciò, i vertici associativi raramente si svegliano e ancor più raramente fanno sentire la loro voce su questioni di interesse generale e soprattutto quasi mai si azzardano ad esprimere posizioni contrastanti con il CNF, che da qualche anno, dopo il Blitz di Rimini, si è riappropriato con modalità che preferiamo non definire, di ogni potere e funzione nell’avvocatura, rendendo vassallo un OCF evanescente, sconosciuto ai più e alla politica, e popolato di colleghi che, volendo entrare nello stesso CNF e magari assumere ivi anche cariche importanti, si guardano bene dal contrastare in alcun modo, il Principe.

È un quadro desolante, non degno di una avvocatura che voglia essere considerata nel paese e che intenda quindi riappropriarsi di dignità ed autorevolezza, perse da tempo.

Se scriviamo queste righe è soltanto per doveroso omaggio a tutti quei colleghi che silenziosamente e spesso a loro spese, hanno prestato la loro opera nell’organismo unitario dell’avvocatura, che raggiunse buoni risultati e un accreditamento notevole, che mossero invidie e gelosie tali da condurre poi allo spargimento di ceneri di Rimini, al quale purtroppo parteciparono anche soggetti che dell’OUA e nell’OUA avevano rivestito cariche e avevano dato contributi anche importanti in termini di elaborazione politica, rinnegando così se stessi e la loro piccola storia. Ma di soggetti di tal indole e’ del resto pieno il mondo.

Tutti quei colleghi, che ci riserviamo di ricordare nominativamente, meritavano e meritano un avvocatura diversa da questa, e soprattutto vertici diversi da questi. Ma tant’è.

Se l’avvocatura italiana decide di suicidarsi continuando su questa strada e’ ovviamente libera di farlo. Così come è libera di accontentarsi di foto “figurina” e cene o aperitivi, nell’assenza di contenuti e di idee. Fatichiamo peraltro a credere, ancora oggi, che tutti ma proprio tutti non siano in grado di vedere dove una guida improvvida ci ha condotti.

Buona fortuna.

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