La scala mobile degli operatori telefonici
Alcune compagnie di telecomunicazioni hanno deciso di applicare alle loro bollette telefoniche aumenti rapportati all'indice delle variazioni dei prezzi al consumo calcolato dall'Istat
È da ritenere che questa iniziativa si fondi su una, a dir poco, singolare sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (26 novembre 2015 causa C-326/14) con cui la Corte, si è pronunciata su una fattispecie similare relativa ad A1 Telekom Austria, ammettendo, per i servizi di telecomunicazione, la validità di clausole contrattuali che prevedono aumenti indicizzati all’incremento dei prezzi al consumo. Dalla dichiarata validità di clausole del genere, la sentenza fa discendere, quale ulteriore effetto, che gli aumenti apportati al canone, ove rapportati al criterio di adeguamento al costo della vita indicato in contratto, non costituiscono neppure una modifica delle condizioni contrattuali. Con questo ragionamento, aumenti siffatti. non si potranno neppure considerare aumenti (!?) col risultato che il malcapitato utente sarà costretto a subirli senza poter, neppure, recedere dal contratto senza penali.
Sul piano giuridico abbiamo forti dubbi che una clausola qual è quella qui esaminata possa essere introdotta nel nostro ordinamento posto che, in questo modo, viene aggirato e annientato il requisito del giustificato motivo che è previsto dalle norme sul consumo e che costituisce lìunico limite alla possibilità del professionista di modificare il contratto in modo del tutto arbitrario. Con l’adozione di una simile clausola, il professionista potrà aumentare il prezzo in misura pari all’inflazione e non dovrà più motivare o giustificare niente. Anche nel caso in cui non abbia subito alcun incremento di costi o altri aggravi egli avrà , comunque, diritto ad un aumento pari all’indice adottato.
Sul piano economico non si vede quale sia il nesso fra i canoni applicati dagli operatori telefonici e l’aumento dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati.
Ci sembra, infatti, che gli operatori telefonici possano subire e lamentare l’inflazione relativa a specifici fattori della produzione ad es. alcune materie prime o l’energia, ma non ci è chiaro come possano essere colpiti dagli aumenti di altri prodotti (in primis gli alimentari) che invece costituiscono una grande parte del paniere Istat. Tanto per dire, in questo momento, i prezzi dei prodotti energetici sono in flessione, ma gli alimentari non lo sono affatto. E allora perchè gli operatori telefonici devono aumentare i prezzi in funzione anche degli aumenti di beni che non li riguardano? (Salvo che – ci viene in mente – non restituiscano gli incrementi tariffari dovuti all’indicizzazione concedendo, ai propri dipendenti, adeguamenti salariali in proporzione).
L’indice dei prezzi al consumo (la cosiddetta “scala mobile”) era nato come uno strumento difensivo dei lavoratori/consumatori con lo scopo di consentire il recupero del potere di acquisto dei salari in periodi di alta inflazione come questo. Ora esso viene distolto dal suo fine originale allo scopo di perseguire l’interesse opposto vale a dire l’aumento dei ricavi e dei profitti aziendali.
C’è anche da attendersi un probabile effetto emulativo. Infatti – secondo noi – se saà consentito che la clausola di indicizzazione venga introdotta nei contratti degli operatori telefonici, essa si estendeà rapidamente e non soltanto agli altri operatori telefonici, ma anche ad operatori economici diversi (es. utilities).
In definitiva ci sono valide ragioni sia giuridiche che economico/politiche che sconsigliano (se non vietano) ai Regolatori (AGCOM e ANTITRUST), di consentire l’adozione di questa clausola di indicizzazione nei contratti.
Per quanto ci riguarda abbiamo già comunicato all’AGCOM e all’ANTITRUST la nostra contrarietà formulando a tale scopo più ampie motivazioni (1), ma dobbiamo confessare che non siamo affatto ottimisti sulla futura evoluzione della vicenda. Infatti l’ AGCOM, in una bozza di regolamento sottoposta a pubblica consultazione, ha mostrato di aderire – seppur imponendo notevoli caveat, alla richiesta degli operatori telefonici di inserire la clausola di indicizzazione nei contratti. A questo punto non ci sembra affatto facile, anche volendo, cancellare l’articolo 8-quater (intitolato: Contratti con previsione di adeguamento all’indice dei prezzi al consumo) della bozza di regolamento.
Altro sospetto di una possibile evoluzione negativa della vicenda è dovuto alla assenza di conoscenza e dibattito collettivo su una questione che oltre ad essere importante di per sè, presenta connotati generali e di principio che legittimerebbero una ben diversa esposizione da parte degli organi di informazione.
Libero Giulietti, legale, consulente Aduc
COMUNICATO STAMPA DELL’ADUC
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