L'autonomia a fasi alterne
La perequazione delle pensioni in Cassa Forense.
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Cassa Forense ha scelto come nuovo DG un Dirigente dell’INPS e non a caso, corre voce, perché gli atti sono segretati agli iscritti, ancorché obbligati per legge ad esserlo, che Cassa Forense, in barba all’autonomia tante volte sbandierata, voglia intervenire sull’istituto della perequazione delle pensioni forensi, limitandola, per aumentare la sostenibilità di circa un triennio insieme ad altre leve , per ora sconosciute.
Prevedo un nutrito contenzioso da parte dei pensionati di Cassa Forense, anche perché interesserà tutti i trattamenti pensionistici, compresa reversibilità, invalidità e inabilità.
Vediamo allora di fare il punto della situazione.
La perequazione è la rivalutazione annuale degli importi dei trattamenti pensionistici in base all’aumento del costo della vita.
È lo strumento principale per il mantenimento del potere d’acquisto delle pensioni, perché con la perequazione si cerca di conservare nel tempo il loro valore.
Com’è noto le leggi di bilancio dello Stato 2023 e 2024 hanno peggiorato in modo significativo il meccanismo di rivalutazione delle pensioni.
Si è tornati, infatti, al meccanismo più iniquo e sfavorevole per importi complessivi e sono state introdotte aliquote di rivalutazione ridotte per i trattamenti pensionistici di importo lordo complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS.
La legge di bilancio 2024 ha introdotto inoltre un ulteriore peggioramento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a dieci volte il trattamento minimo INPS lordo. Per queste pensioni la rivalutazione è, infatti, scesa dal 32% al 22%.
La UIL Pensionati ha pubblicato tre tabelle che sono molto significative per capire il problema e che qui ripropongo, dopo averne citato la fonte:
Se Cassa Forense intende adeguarsi all’INPS, allora vi è un motivo in più per rientrare rapidamente in INPS, così da riguadagnare la garanzia finale dello Stato e superare il fenomeno della volatilità delle pensioni forensi.
L’istituto della rivalutazione delle pensioni è stato ripetutamente sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale la quale ha ritenuto di dubbia legittimità costituzionale un intervento che incida in misura notevole e in maniera definitiva sulla garanzia di adeguatezza della prestazione, senza essere sorretto da un’imperativa motivazione di interesse generale (Corte Costituzionale n. 349 del 1985).
Deve poi rammentarsi che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva dato che le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato (Corte Costituzionale, sentenza n. 70/2015).
Nell’intervenire sulla perequazione delle pensioni non si devono valicare i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legitimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività (Corte Costituzionale, sentenza n. 349/1985).
Va ricordato anche il monito indirizzato dalla Corte Costituzionale al legislatore con la sentenza n. 316 del 2010.
Vanno poi ricordate le sentenze n. 441 del 1993 e n. 208 del 2014, sempre della Corte Costituzionale, che invitano il legislatore a proporre un corretto bilanciamento, ogni qual volta si profili l’esigenza di un risparmio di spesa, nel rispetto di un ineludibile vincolo di scopo al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici, tali che potrebbero rendere inevitabile l’intervento correttivo della Corte Costituzionale (sentenza n. 226 del 1993).
L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti (e nella previdenza forense – stante il tetto, non vi sono pensioni d’oro né baby pensionati), è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolemente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporizionalità del trattamento di quiescenza, inteso come retribuzione differita (art. 36, 1°comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 39, 2° comma, Cost.).
Quest’ultimo è da intendesi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di egualianza sostanziale di cui all’art. 3, 2° comma Cost. (Corte costituzionale sentenza n. 70/2015).
«In linea generale, ogni misura di blocco o limitazione della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici “non può che essere scrutinata nella sua singolarità e in relazione al quadro storico in cui si inserisce” (sentenza n. 250 del 2017). Non può ipotizzarsi, di per sé, una sorta di “consumazione” del potere legislativo dovuta all’effettuazione di uno o più interventi riduttivi della perequazione, ma il nuovo ulteriore intervento è comunque legittimo ove risulti conforme ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, sulla base di un giudizio non limitato al solo profilo della reiterazione, bensì inclusivo di tutti gli elementi rilevanti. D’altro canto, come già detto, anche per le pensioni di elevato importo, “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità” (sentenza n. 316 del 2010). L’intervento sulla perequazione realizzato dalla norma oggi censurata non ha tuttavia l’effetto di paralizzare, o sospendere a tempo indeterminato, la rivalutazione dei trattamenti pensionistici, neanche di quelli di importo più elevato, risolvendosi viceversa in un mero raffreddamento della dinamica perequativa, attuato con indici graduali e proporzionati». (Corte Cost. n. 234/2020).
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