L’autonomia differenziata
Viene sponsorizzata dalla Lega, ma se eliminiamo ogni valenza politica, a mio giudizio, il progetto, per come è strutturato, accentuerà le divisioni tra Nord e Sud.
In evidenza
Dallo studio di Itinerari previdenziali “La regionalizzazione del bilancio previdenziale italiano” risulta che il versamento IRPEF pro capite è di € 6.098,00 al Nord, € 5.932,00 al Centro e € 4.313,00 al Sud.
Il prof. Sabino Cassese ha consegnato, alla fine di ottobre, la relazione della Commissione da lui presieduta sui LEP – Livelli Essenziali delle Prestazioni per le funzioni legate ai diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione e che devono essere uguali per tutti, dalla Vetta d’Italia a Lampedusa.
Il Report della Commissione è in rete, facilmente accessibile, dove si afferma che “la determinazione puntuale della nozione LEP appartiene ad un momento successivo nel quale la componente tecnica, giuridica ed economica, non è la sola a rilevare. Poiché dal modo di tratteggiare la nozione LEP possono discendere conseguenze per la finanza pubblica in termini assoluti, conseguenze redistributive e allocative in termini relativi, non può che spettare al decisore politico la responsabilità di questa definizione”.
La prof. Marina Calamo Specchia, ordinaria di diritto pubblico comparato nell’Università degli studi Aldo Moro di Bari, ha affrontato il tema sulla Rivista dell’Associazione italiana dei costituzionalisti il 05.09.2023. Anche questa rinvenibile on line.
Riporto i capitoli 3 e 4 per una puntuale comprensione del tema.
«3. Il punctum dolens: la sostenibilità finanziaria dell’autonomia differenziata e la compatibilità del ddl Calderoli con l’art. 119 Cost.
Sotto il profilo finanziario, ed è questo lo scoglio più difficile da superare, non va infatti trascurato che le Regioni che richiedono maggiore autonomia con il procedimento ex art. 116, comma terzo, Cost. sono regioni a Statuto ordinario e come tali vincolate ai meccanismi perequativi di cui all’art. 119 Cost. (per cui qualunque formula che consentisse la partecipazione all’extragettito erariale a discapito di altri territori sarebbe incostituzionale), espressamente richiamato dall’art. 116, terzo comma, e alla pre-definizione dei LEP, fabbisogni e costi standard. Il ddl Calderoli prevede espressamente nell’art. 8 che dall’attuazione dell’autonomia differenziata non devono derivare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 1). Viene, altresì, ribadito che il finanziamento dei LEP deve avvenire nel rispetto dell’art. 17 della legge 196/2009 e degli equilibri di bilancio (art. 8, comma 2). Tuttavia, se il finanziamento delle nuove funzioni deve avvenire a costo zero, vale a dire a invarianza delle poste permanenti iscritte a bilancio, come si reperiscono le risorse per garantire i meccanismi di perequazione finanziaria dei territori e conseguentemente l’erogazione dei LEP? La risposta è semplice, ma al tempo stesso inquietante: il baco è nel sistema di finanziamento delle funzioni trasferite attraverso la “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale”, nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 119, quarto comma, della Costituzione” (art. 5, comma 2, ddl Calderoli). Si tratta di un meccanismo che ancorerebbe l’entità del finanziamento al gettito erariale regionale che viene influenzato dal ciclo economico, con il rischio di una riduzione delle risorse a fronte della riduzione del gettito erariale. A mio avviso il problema risiede nei meccanismi di compensazione e di solidarietà economica che devono costituire il contrappeso dell’eventuale trasferimento di funzioni e risorse aggiuntive alle Regioni proponenti l’intesa che non deve pregiudicare l’erogazione integrale dei servizi sul territorio nazionale e non limitata al sistema dei fabbisogni standard. Contrappesi che non sono adeguatamente definiti dal ddl Calderoli e che espongono tale atto alla violazione dell’art. 119 Cost. In particolare, sul versante perequativo, la Costituzione è chiara nello stabilire: a) che la perequazione deve essere calcolata sulla base degli squilibri determinata dalla diversa capacità fiscale regionale calcolata pro capite (ossia per abitante) e non sul PIL regionale; b) la sperequazione regionale non deve essere calcolata sui fabbisogni di spesa (che richiama la funzione contabile cui sono oggi ridotti i LEP) ma sulla base delle capacità fiscali regionali; c) il fondo perequativo ex art. 119, comma 3, destinato a colmare i divari fiscali pro capite dei “territori con minore capacità fiscale per abitante” (cit. testualmente art. 119, comma 3, Cost.) ha una funzione di riequilibrio integrale e senza vincolo di destinazione (da ultimo Corte cost., sent. n. 71 /2023); d) inevitabile conseguenza è che i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni “differenziate”, producendo effetti anche per il finanziamento delle Regioni “non differenziate” e per il sistema finanziario nazionale, non possono essere risolti con un negozio bilaterale (l’intesa) tra lo Stato e la singola regione interessata. Rispetto all’impostazione prevista dalla Costituzione, il ddl Calderoli è elusivo dei meccanismi di ripartizione dei carichi finanziari tra lo Stato e le Regioni: in tal senso il ddl Calderoli violerebbe non solo il sistema previsto dall’art. 119 (ad oggi in gran parte attuato) ma anche l’art. 53 che disciplina il sistema fiscale nazionale come sistema unitario e non frazionabile. Inoltre, vi sarebbe l’ulteriore probabile eventualità di insufficienza delle risorse a fronte del massiccio trasferimento di funzioni. D’altra parte, il Dossier n. 52 del maggio 2023 del Servizio del Bilancio del Senato ha confermato le molteplici criticità relative alla sostenibilità finanziaria del trasferimento di funzioni alle Regioni richiedenti già evidenziate dalla dottrina. Il problema è la rigidità del meccanismo compartecipativo, ancorato non a un ammontare stabilito in un valore assoluto per ciascuna funzione trasferita, ma in un dato connesso all’aliquota del tributo o dell’imposta statale e al dato economico di crescita del PIL regionale che avrà come effetto la cristallizzazione dei divari territoriali, poiché le Regioni a economia più lenta, che difficilmente riusciranno ad avere un livello di compartecipazione al gettito erariale sufficiente a finanziare le funzioni aggiuntive, vedrebbero anche progressivamente ridotte le risorse destinate al finanziamento delle funzioni ordinarie (riduzione del bilancio dello Stato stimato in 190 miliardi annui)4 . Questo significherebbe a regime differenziato che le Regioni “non differenziate” non riuscirebbero ad avere risorse neanche corrispondenti alla (tanto vituperata) spesa storica. Resta da chiarire l’inciso “compartecipazione al gettito erariale maturato nel territorio regionale” che riecheggia la famosa diatriba sul cd. residuo fiscale, vale a dire la possibilità per le Regioni di ancorare la quota di compartecipazione alla quantità di imposte prodotte sul proprio territorio: se così fosse, questa previsione sarebbe in netto contrasto con l’art. 53 della Costituzione per il quale il concorso alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva è personale e nazionale e non dipende dal luogo di residenza del soggetto contribuente. La Corte costituzionale ha chiaramente espresso questo principio nella sentenza n. 69 del 2016 che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso della Regione Veneto: “Fermo restando che l’assoluto equilibrio tra prelievo fiscale ed impiego di quest’ultimo sul territorio di provenienza non è principio espresso dalla disposizione costituzionale invocata, il criterio del residuo fiscale richiamato dalla Regione non è parametro normativo riconducibile all’art. 119 Cost., bensì un concetto utilizzato nel tentativo, storicamente ricorrente tra gli studiosi della finanza pubblica, di individuare l’ottimale ripartizione territoriale delle risorse ottenute attraverso l’imposizione fiscale. Data la struttura fortemente accentrata, nel nostro ordinamento, della riscossione delle entrate tributarie e quella profondamente articolata dei soggetti pubblici e degli interventi dagli stessi realizzati sul territorio, risulta estremamente controversa la possibilità di elaborare criteri convenzionali per specificare su base territoriale la relazione quantitativa tra prelievo fiscale e suo reimpiego. L’esigenza di aggregare dati eterogenei secondo metodologie non univocamente accettate ha fatto sì che il concetto di residuo fiscale sia stato utilizzato piuttosto come ipotesi di studio che come parametro di correttezza legale nell’allocazione territoriale delle risorse … In definitiva, il parametro del residuo fiscale non può essere considerato un criterio specificativo dei precetti contenuti nell’art. 119 Cost.”. Ora, il Ministro Calderoli, si è sempre affrettato nel corso delle audizioni a smentire l’ipotesi del ricorso al residuo fiscale per finanziare le competenze aggiuntive: in realtà la velleità di fare ricorso al residuo fiscale, trattenendo il 90% delle risorse prodotte sul territorio della Regione è espressamente contenuta nella proposta di legge n. 43 deliberata dalla Giunta della Regione Veneto con la deliberazione n. 35/DDL del 23 ottobre 2027 e trasmessa al Parlamento con la deliberazione del Consiglio Regionale n. 155 del 15 novembre 20175 (BUR n. 113 del 10/11/2017) nella quale testualmente si legge che la proposta di legge è così strutturata: “a) l’ambito della materie nelle quali la Regione del Veneto richiede forme e condizioni particolari di autonomia: si tratta di tutte le 23 materie – 3 di competenza esclusiva statale e 20 di competenza concorrente – previste dall’articolo 116, terzo comma; nulla va escluso, per ora, onde evitare errori preliminari, forse non rimediabili; b) la misura delle risorse necessarie a finanziarle: si tratta dei 9/10 del gettito riscosso nel territorio regionale delle principali imposte erariali, che si aggiungono ai gettiti dei già esistenti tributi propri regionali e agli specifici fondi di cui la proposta chiede la regionalizzazione. Il problema finanziario è acuto e non va sottovalutato, a priori, da nessuno: men che meno da chi obietta, dal momento che questa iniziativa si colloca nell’ambito di una sicura, incontestabile ingiustizia territoriale nella allocazione delle risorse; c) le specifiche competenze, per ognuna delle 23 materie, di cui la Regione del Veneto chiede di assumersi la responsabilità”. Come evidenziato attraverso il richiamo alla giurisprudenza costituzionale, questo meccanismo di attribuzione di risorse ove realizzato si porrebbe in contrato con l’art. 119 Cost., il cui rispetto è tassativo per il legislatore, tanto nazionale quanto regionale.
- Conclusioni
È evidente che tale processo di valorizzazione delle autonomie non possa prescindere da ingenti investimenti pubblici volti a ridurre, se non proprio ad eliminare, le disparità tra le varie aree territoriali, circostanza che, nonostante gli auspici delle forze politiche, sembra essere messa in grave pericolo dalla crisi economica prolungata in cui versa il paese, aggravata dalla pandemia, prima, e dalla guerra in Ucraina, poi (con la crisi del Kosovo che bussa alla porta!). Pretermettendo la perequazione infrastrutturale ed economico-finanziaria dei territori ai LEP, il ddl Calderoli mostra di aderire alla visione di un’autonomia autoreferenziale e competitiva, foriera di insanabili conflitti sociali. Sarebbe, pertanto, quanto mai saggio sospendere per il momento ogni velleità di accaparramento di funzioni e di risorse che in un contesto come quello attuale non può che acuire i divari territoriali e concentrarsi sui progetti di perequazione economica e strutturale del Paese (grazie anche ai fondi PNRR), volgendo semmai l’attenzione alla correzione di quelle parti del titolo V che più di altre si prestano a interpretazioni competitive dell’autonomia regionale estranee allo spirito più autenticamente solidaristico della Costituzione. Solo ancorando indiscutibilmente il Titolo V ai principi fondamentali della Carta, l’autonomia consoliderebbe l’unità indivisibile della Repubblica attraverso l’azione delle Regioni e degli altri enti locali, anzitutto i Comuni, in cui essa si articola, rendendola così più prossima ai bisogni dei propri abitanti e, bilanciando le esigenze di maggiore autonomia delle Regioni interessate con i principi della parità di trattamento di tutti i cittadini, indipendentemente dalla parte del territorio nazionale in cui risiedono. Inutile ribadire che una lettura costituzionalmente orientata dei LEP quali fonte della garanzia costituzionale dei diritti civile e sociali debba necessariamente presupporre che tutte le Regioni siano poste sulla stessa linea di partenza: in altre parole pensare di procedere alla determinazione dei LEP in mancanza di perequazione economico-strutturale dei territori significa attribuire ai LEP una funzione (quella di misura economico-finanziaria del livello delle prestazioni pubbliche) che non è costituzionalmente orientata e che tradisce il tema centrale della garanzia dell’uniformità dei diritti e dell’uguaglianza dei cittadini. Si fa presente che è stato avviato in Senato l’esame di una Legge costituzionale di iniziativa popolare (AS 764 DDL costituzionale di iniziativa popolare) sottoscritta da più di 100.000 elettrici ed elettori finalizzata a modificare gli articoli 116, terzo comma, e 117 della Costituzione, al fine di correggere i più vistosi errori del Titolo V per come riformato nel 2001 e contribuendo così ad aprire, finalmente, un pubblico dibattito su una questione che interessa da vicino ogni cittadina e cittadino. Potrebbe essere questa l’occasione per la politica di avviare un serio e trasparente confronto sul futuro del nostro Paese.
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4 A. Giannola, G. Stornaiuolo, Un’analisi delle proposte avanzate sul “federalismo differenziato, in Rivista economica del Mezzogiorno, numero 1-2 del 2018; G. Petrillo, Profili finanziari del regionalismo differenziato: prospettive e limiti, in in DPE Rassegna online, speciale 2/2019, 47ss.; G. Bernabei, L’autonomia differenziata nel contesto della finanza locale, 18/2019, pp. 2ss.
5 Intitolata Proposta di legge statale da trasmettere al Parlamento nazionale, ai sensi dell’articolo 121 della Costituzione dal titolo: “Iniziativa regionale contenente, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge regionale 19 giugno 2014, n. 15, percorsi e contenuti per il riconoscimento di ulteriori e specifiche forme di autonomia per la Regione del Veneto, in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” d’iniziativa della Giunta Regionale del Veneto. (Progetto di legge statale n. 43)»
Anche la Banca d’Italia nella sua memoria del 19.06.2023 ha segnalato come il disegno di legge Calderoli trascuri alcuni aspetti rilevanti.
In primo luogo, l’attuazione dell’autonomia differenziata non deve mettere a repentaglio l’efficienza del sistema produttivo e la sua capacità competitiva; in secondo luogo per preservare gli equilibri di finanza pubblica e assicurare che l’intero Paese contribuisca al consolidamento dei conti, occorre garantire nel medio periodo l’allineamento tra le risorse erariali assegnate alle RAD e l’evoluzione dei fabbisogni di spesa nelle funzioni trasferite.
È utile anche valutare attentamente le considerazioni espresse dalla Corte dei Conti sull’autonomia differenziata nell’audizione dell’8 giugno 2021.
Il 6 giugno 2023 è stato audito anche l’UPB – Ufficio Parlamentare di Bilancio – per il quale “andranno valutati con attenzione i riflessi del decentramento di parte della spesa a livello regionale e della conseguente revisione delle compartecipazioni sul raggiungimento degli obiettivi programmatici a livello nazionale e sul rispetto del quadro delle regole europee. L’autonomia differenziata potrebbe, infatti, evolvere verso configurazioni molto diverse fra loro a seconda della numerosità delle regioni interessate e dell’ampiezza ed eterogeneità delle funzioni richieste. Non si può quindi escludere uno scenario fortemente frammentato con un significativo numero di regioni che acquisiscono funzioni differenti, con una diversa composizione relativamente ai LEP e con un diverso peso finanziario. In questa prospettiva, una gestione delle compartecipazioni affidata esclusivamente a trattative bilaterali all’interno delle commissioni paritetiche potrebbero non garantire la tempestività delle decisioni e un adeguato coordinamento. La piena condivisione degli obiettivi programmatici potrebbe essere facilitata potenziando alcuni istituti già esistenti, quali la conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica”.
Se le maggiori autorità indipendenti segnalano tempestivamente tutte queste difficoltà realizzative, io credo che il progetto vada quantomeno ripensato.
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