L’autonomia non basta più
Le Casse di previdenza dei professionisti sono state “privatizzate” dal 01.01.1995 nell’ambito del riordino generale degli enti previdenziali disposto con l’art. 1, commi da 32 a 38, l. n. 537/1993. In attuazione della delega è stato emanato il d.lgs. n. 509/1994 che ha disposto la trasformazione degli enti esistenti in associazioni o fondazioni con decorrenza dal 01.01.1995.
In evidenza
Tale intervento, come quello successivo del 2011, sono la conseguenza di un momento di grave crisi economico – finanziaria con l’esigenza da parte dello Stato di fare economie di scala per raddrizzare il bilancio.
Il corrispettivo della cd. privatizzazione è stato l’assunzione da parte dei professionisti dell’impegno ad autofinanziarsi in una con la garanzia del pareggio di bilancio. Ed infatti la privatizzazione ha comportato il divieto per legge di finanziamenti, diretti o indiretti, da parte dello Stato, salvo sgravi ed esoneri.
La pandemia ormai biennale, la crisi demografica e reddituale delle professioni, l’esplosione del telelavoro e dell’intelligenza artificiale stanno progressivamente cambiando geneticamente le professioni stesse.
Dal 2008 al 2020 il lavoro indipendente in Italia si è ridotto di 719.000 unità, passando da quasi 6 milioni di occupati a poco più di 5 milioni (-12,2%).
Nello stesso periodo il lavoro dipendente, nonostante le ripetute crisi, è aumentato di oltre mezzo milione di occupati: +532.000 (+3,1%).
Nel periodo considerato le libere professioni sono aumentate (+241.000 occupati: +20,9%).
Ma tra il 2019 e il 2020 il saldo finale per i liberi professionisti porta un segno negativo, con una riduzione di 38.000 occupati. (55 Rapporto Censis dicembre 2021).
I redditi dei professionisti sono progressivamente diminuiti.
Le Casse di previdenza ed assistenza sono affidatarie ex lege del servizio pubblico di gestione del sistema di previdenza e assistenza obbligatoria per i liberi professionisti, per cui gestiscono un servizio che ha una precipua finalità di pubblico interesse, nonostante la loro privatizzazione per effetto del d.lgs. n. 509/1994.
Le Casse di previdenza, in relazione alle loro funzioni istituzionali che trovano una rispondenza nell’art. 38 Cost., pur non rientrando nella definizione di “Pubblica Amministrazione” dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 (norma dettata con riferimento alla disciplina del pubblico impiego), sono attratti nella sfera dei soggetti che gestiscono un servizio di rilievo pubblicistico: chiari indici di ciò sono il potere di vigilanza ministeriale, ai sensi dell’art. 3, d.lgs. n. 509/1194, nonché la sottoposizione al controllo della Corte dei Conti sulla gestione al fine di assicurare la legalità e efficacia.
La trasformazione operata dal d.lgs. n. 509/1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo (Consiglio di Stato n. 6014/2012 e n. 1931/2021).
Ho già spiegato nel mio Operazione verità nella previdenza forense del 28 gennaio 2022, in questa Rivista, che bisogna guardare, nel sistema di finanziamento a ripartizione, al saldo previdenziale.
Ora prendendo le tre più grandi Casse dei professionisti che sono nell’ordine ENPAM, Cassa Forense e INARCASSA, abbiamo questi dati:
ENPAM : le risultanze del bilancio tecnico al 31 dicembre 2017, recepite nel corso del 2019, hanno verificato il requisito di sostenibilità; in particolare il saldo previdenziale risulta negativo dal 2027 al 2040, il saldo corrente risulta positivo per tutto il periodo di proiezione, pertanto il patrimonio è sempre crescente e a fine proiezione risulta pari a circa 172 miliardi di euro nel 2067 (moneta corrente).
Cassa Forense : il saldo previdenziale risulta negativo dal 2042 al 2062.
INARCASSA : il saldo previdenziale, evidenziato nel bilancio tecnico 2017, risulta negativo per 32 anni dal 2034 al 2065.
Ne consegue che la sostenibilità è legata al rendimento del patrimonio e quindi all’andamento dei mercati finanziari il che, per la previdenza obbligatoria di primo pilastro, tradotto in termini comprensibili, significa che le pensioni sono legate al rischio dei mercati finanziari.
Questo perché la patrimonializzazione ad oggi è insufficiente.
Particolarmente indicativo è il grado di capitalizzazione (è un indicatore, per certi versi assimilabile al saggio di riserva di liquidità utilizzato nei sistemi bancari, che misura il grado di pagamento dell’Ente senza interventi correttivi e nella scolastica ipotesi di cessazione di ogni entrata).
Diverso è il caso della Cassa dei Commercialisti che per prima, e con grande lungimiranza, già nel 2004 ha adottato il criterio di calcolo contributivo della pensione così riassorbendo progressivamente il debito generato dal metodo di calcolo reddituale delle pensioni in vigore fino al 2003.
Oggi la Cassa dei Commercialisti ha una patrimonializzazione pari o addirittura superiore all’81%.
Non cosi per le altre Casse di Previdenza, per Cassa Forense viaggia intorno al 30%. A mio giudizio l’autonomia non è più in grado, da sola, di garantire la sostenibilità cinquantennale se non accettando rischi finanziari incompatibili, a mio giudizio, con la natura previdenziale delle risorse.
Se non si vuole transitare all’INPS prima che sia troppo tardi (INPGI1 è stato salvato dallo Stato ma non credo potrà avvenire per tutte le Casse anche se il precedente farà storia), lo Stato dovrebbe farsi carico del problema ed intervenire con l’emissione di titoli obbligazionari dedicati alle Casse di previdenza, al tasso che garantisca loro la sopravvivenza, eliminando così il trasferimento del rischio del mercato finanziario che oggi incombe sugli incolpevoli iscritti.
Naturalmente non sarà contenta l’industria finanziaria e tutto il variegato mondo che vi corre intorno, ma certamente lo sarebbero gli iscritti, ancorché inconsapevoli dei rischi loro addossati. Un po’ come da tempo avviene per la Social Security americana che può investire solo in obbligazioni dello Stato. Infatti, se si va sul sito ufficiale della Social Security Administration, si apprende che i contributi dei lavoratori vengono depositati sui fondi fiduciari della previdenza sociale, gestiti dal Dipartimento del Tesoro, sono i fondi fiduciari per l’assicurazione per la vecchiaia e i superstiti (AVS) e l’assicurazione per l’invalidità (DI). Dall’inizio del programma di previdenza sociale, tutti i titoli detenuti dai fondi fiduciari sono stati emessi dal Governo federale.
Esisti due tipi generali di tali titoli:
- Emissioni speciali : titoli disponibili solo per i fondi fiduciari, e
- Emissioni pubbliche : titoli disponibili al pubblico (titoli negoziabili).
I fondi fiduciari ora detengono solo emissioni speciali, ma in passato hanno detenuto anche emissioni pubbliche il che vorrà pur dire qualche cosa!
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