Anno: XXV - Numero 159    
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Le Sezioni Unite riaprono la questione dei derivati di Stato.

E della responsabilità degli amministratori

Le Sezioni Unite riaprono la questione dei derivati di Stato.

Per capire i termini della questione rinvio al mio contributo del 15 marzo 2019 dal titolo “La Corte dei Conti e i derivati di Stato”. La Corte dei Conti, con la sentenza n. 246/2018 Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, confermata dalla sentenza n. 50/2019 delle Sezioni Centrali della Corte dei Conti, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione nei confronti di tutti i chiamati e cioè di una banca d’affari e alcuni ex direttori generali ed alti dirigenti del Dipartimento II del Ministero dell’Economia e delle Finanze, considerati tutti responsabili di illecita stipulazione, rinegoziazione, ristrutturazione ed anticipata chiusura di alcuni contratti in prodotti finanziari derivati sottoscritti dallo Stato italiano a copertura di rischi di interesse e di cambio su titoli del debito pubblico nazionale, via via emessi in valuta domestica ed estera.

(Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 2157/21; depositata il 1° febbraio)

La Procura Generale presso la Corte dei Conti ha proposto ricorso per la Cassazione della sentenza n. 50/2019 articolando, a tal fine, due motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione delle regole sulla giurisdizione della Corte dei Conti.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce analoga violazione normativa ed eccesso di potere giurisdizionale per diniego di giurisdizione in ordine alla posizione dei dirigenti del MEF.

La questione è pervenuta quindi all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite Civili, che si è pronunciata con la sentenza 2157/21, leggibile nell’allegato.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta e ha chiesto il rigetto del ricorso.

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso così estromettendo la banca, nel caso di specie Morgan Stanley, perché «l’azione per danno erariale proposta nei confronti di una banca d’affari sulla base di un petitum sostanziale concernente l’inadempimento di obblighi contrattuali o ipotesi di responsabilità precontrattuale riconducibili al duplice ruolo di controparte in operazioni in strumenti finanziari derivati e di specialista del debito pubblico da essa svolto nel rapporto con il Ministero del Tesoro esula dalla giurisdizione contabile qualora tale rapporto non si connoti, in concreto, come relazione di servizio comportante l’assunzione, da parte della stessa, di potestà pubblicistiche ed il suo inserimento, anche temporaneo, nell’organizzazione interna del Ministero quale agente di questo in ordine alle scelte di negoziazione in strumenti finanziari derivati e di gestione del debito pubblico sovrano».

 La Suprema Corte di Cassazione ha invece accolto il secondo motivo di ricorso affermando che «non può infatti fondatamente sostenersi che la Corte dei Conti, con la sentenza impugnata, abbia in sostanza già deciso la causa nel merito (nel senso di escludere la responsabilità), così che ogni ipotetico suo vizio concreterebbe, a tutto concedere, errore di giudizio o di processo, dunque non censurabile per Cassazione in quanto estraneo alla giurisdizione».

Le Sezioni Unite, con esaustiva motivazione, hanno quindi dichiarato la giurisdizione della Corte dei Conti sulle domande proposte nei confronti dei dirigenti del Ministero rinviando in primo grado alla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Lazio, in diversa composizione, affermando il diverso principio di diritto: «Ferma restando l’insindacabilità giurisdizionale delle scelte di gestione del debito pubblico, da parte degli organi governativi a ciò preposti, mediante ricorso a contratti in strumenti finanziari derivati, rientra invece nella giurisdizione contabile, in quanto attinente al vaglio dei parametri di legittimità e non di mera opportunità o convenienza dell’agire amministrativo, l’azione di responsabilità per danno erariale con la quale si faccia valere, quale petitum sostanziale, la mala gestio alla quale i dirigenti del Ministero del Tesoro avrebbero dato corso, in concreto, nell’adozione di determinate modalità operativa e nella pattuizione di specifiche condizioni negoziali relative a particolari contratti in tali strumenti».

 Sono molto soddisfatto perché le Sezioni Unite della Cassazione hanno esattamente risposto a un dubbio che io avevo segnalato nel mio articolo del 2019 quando testualmente affermavo che: «La giurisprudenza della Corte di Cassazione, per evitare la creazione di una «zona franca» di sostanziale irresponsabilità per i pubblici amministratori, con possibile esercizio del potere in modo arbitrario, ha, nel tempo, assai ristretto il perimetro dell’esimente; essa deve riferirsi alle sole opzioni possibili e lecite, con esclusione di quelle irragionevoli, incongrue, illogiche o irrazionali (Cass. S.U. 08.03.2005, n. 4956; id. 29.01.2001, n. 33; id. 06.05.2003, n. 6851; id. n. 14488 del 29.09.2003; id. n. 7024 del 28.03.2006; id. n. 8097 del 02.04.2007; 6820/2017)».

Una mia considerazione finale: il rito, come oggi è strutturato, assomiglia molto al gioco dell’oca perché dopo tre gradi di giudizio si ritorna alla prima casella e di questo, nella possibile riforma della giustizia, se ne dovrà tenere conto altrimenti si finisce nella denegata giustizia.

 

 

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