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Nel nome della Toga

Del Decoro e dello Spirito di Servizio...il Grande Inganno

Nel nome della Toga

La storia, si sa, ha i suoi tempi di “decantazione” e dopo molti anni rivela all’opinione pubblica quanto di più nascosto, ed indicibile, era riposto nel fondo degli scrigni della memoria ma, soprattutto, nel fondo degli archivi delle coscienze, delle menti e delle segrete stanze. Accade spesso che vengano sacrificati uomini e progetti , in nome di un totalitarismo democratico forte dei suoi segugi , pronti a riportare alla regola del silenzio e della soggezione chiunque dissenta od osi manifestare pubblicamente dei dubbi .

Il dissenso non è consentito ed è pericoloso perché può “contagiare” il resto delle masse, indurle alla riflessione, al “dubbio”,  generando un calo del consenso.

Il paradosso è che questa forma di violenza,  nell’avvocatura ma anche in tutte le altre categorie professionali e produttive,  proviene proprio da coloro che si ammantano, nel nostro caso,  di toga,  di decoro e di deontologia e si infarciscono la bocca di mantra politicamente corretti.

Nel tempio sconsacrato del diritto, sull’altare della Legalità, nel nome della Toga, del Decoro e dello Spirito di Servizio, va in scena l’omicidio della consenziente avvocatura.

La Censura Deontologica perpetrata da una giurisdizione domestica che si è guardata bene dal conformarsi alla istituzione di una sezione specializzata per gli illeciti deontologici, esprime in pieno un concetto di  “autonomia del Cnf ”  concepito per svincolarsi anche dalla politica e gestirsi in maniera completamente autonoma e al di fuori della Legge.

Il fatto che agli illegali nel Cnf , prima della loro decapitazione giudiziaria , non fosse stato mai contestato ed applicato alcun illecito deontologico per aver disatteso la regola del doppio mandato è fatto grave e sintomatico per chi, con la giurisdizione domestica , intende  “giudicare e colpire solo determinate ipotesi di illecito e non altre”.

Gli Avvocati sono, per loro naturale funzione, i garanti della corretta applicazione della legge e che, pertanto, il mancato rispetto della stessa assume, nei loro confronti, sicuro rilievo deontologico ma così non è stato.

Viceversa, la minaccia di azioni dirette al risarcimento del danno, solo contro chi osa mettere in discussione il sistema,  si fa scudo del ripudio di una comunicazione diversa , talvolta sorretta da un eleoquio forte e fuori dagli schemi del politichese corretto. Una censura che ha adottato come alibi, lo sdegno per il dileggio e come modalità di repressione, il paravento della deontologia per sopprimere il diverso. Una censura che continua ad ignorare che la comunicazione politica,  la critica politica si sta evolvendo e si è già evoluta attraverso paradigmi non più lontani ma vicini alle persone…alla gente comune.

I social hanno dato la possibilità all’uomo comune di comunicare con il politico e di rivolgere allo stesso apprezzamenti e critiche in tempo reale, sublimando, almeno all’apparenza, il suo bisogno di partecipare alla gestione della res  pubblica . I social sono divenuti luogo di scambio mediatico , di scambio di contenuti ma anche luogo di scambio di interlocuzione tra politici e tale interlocuzione , talvolta dai toni duri e aspri è divenuta ormai la regola consentita, tollerata ed utilizzata dai politici stessi, anche esclusivamente per meri scopi propagandistici.

Nell’avvocatura invece il sistema della comunicazione è arcaicamente vincolato alla censura deontologica, quella stessa censura,  in senso lato e descrittivo che bruciava i libri, che falsificava la storia e che ha la pretesa di riscrivere il presente, che vuole riprogrammare le menti per garantire l’infallibilità ad un manipolo di persone che si sono autoproclamate garanti della verità nella tutela esclusiva delle rendite di posizione acquisite.

Queste le modalità di comunicazione per una  “categoria professionalizzata”, tenuta insieme dal collante delle rendite di posizione e legalizzata da una legge professionale estorta grazie alla paralisi delle menti.

È corretto porre l’attenzione e stimolare una riflessione, attraverso il parallelismo tra comunicazione politica, fuori e dentro le istituzioni forensi.

Coloro i quali, del linguaggio forte hanno fatto veicolo per stigmatizzare denunce di iniquità, diseguaglianze e abuso dello strumento legislativo ai danni della categoria all’interno delle istituzioni forensi, subiscono,  allo stato, isolatamente ed esclusivamente le ripercussioni,  in una categoria prossima al collasso, per disinteresse, sottomissione, ignavia e scelta consapevole di affidarsi al sistema dilagante dell’illegalità.

La repressione della forma, anche forte e spregiudicata , per fini politici,  dell’eloquio forbito è divenuta ormai un alibi per il potentato forense per colpire, attraverso la deontologia malata, ogni forma di espressione del dissenso. Anziché intimidire e limitare la libertà di espressione però si sta ottenendo l’effetto contrario, perché ormai “il sistema è svelato”.

La nostra Costituzione, frutto di un compromesso tra forze politiche diverse e talvolta contrastanti ma unite da un unico obiettivo diretto alla tutela e salvaguardia di uno stato democratico e sovrano …subisce passivamente questa  “violenza concordata perpetrata attraverso la censura deontologica”, frutto di un tentativo di legittimazione di un potere autoreferenziale e autarchico che fa propria l’illegalità per restare autonomo e  istituzionalizzare definitivamente il “presunto governo dell’avvocatura”.

 

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