Non per essere servito ma per servire
Dopo il comunicato ufficiale della Corte Costituzionale sul doppio mandato, qualche ineleggibile si è fatto da parte ma il Gotha resiste
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Le parole del versetto evangelico di Marco, 10, 45, sono sempre intensamente affascinanti e coinvolgenti per ogni uomo che le ascolta, e sempre in ogni epoca e situazione della storia, per tanti credenti e sicuramente anche per tanti non credenti, sono risuonate come un luminoso messaggio per il vivere dell’umanità e per molti un vero programma di vita. Ma i cd. “ineleggibili” resistono per servire o per essere serviti? La pagina del Vangelo di Marco, con cui Gesù invita i suoi discepoli a non seguire le ordinarie logiche del potere o della ricerca di ciò che fa primeggiare sugli altri, annunzia un diverso ordine di grandezza cui i suoi discepoli sono chiamati ad adeguarsi: “Tra voi, però, non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà nostro servitore”. Ora è fuor di dubbio che tra i cd. “ineleggibili” c’è qualcuno che effettivamente vuole servire, ma la stragrande maggioranza insegue il potere forense e il desiderio di essere comunque serviti. L’avvocato, nell’esercizio del suo ministero, vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell’ordinamento dell’Unione Europea e sul rispetto dei medesimi principi, nonché di quelli della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a tutela e nell’interesse della parte assistita. Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e tutela dell’affidamento della collettività e della clientela, della correttezza dei comportamenti, della qualità ed efficacia delle prestazioni professionali. L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza. L’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e dell’immagine della professione forense. Tutti questi principi stanno scritti, da tempo, nel Codice deontologico forense. È desolante vedere i nostri apicali incollarsi perpetuamente alle poltrone sul presupposto di uno spirito di servizio che non invecchia in botte. Siamo a un punto di non ritorno. Dopo ci sarà solo la ribellione in massa e la fine della nostra categoria.
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