Primo giorno della fase 2 sui mezzi pubblici
A Roma sugli autobus difficile rispettare la distanza sociale. Bene invece sulle metro. Ma le persone per adesso hanno preferito spostarsi in auto: tangenziale bloccata
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Il sorriso non c’è dietro la mascherina. E dagli occhi traspare una grande paura da contagio. Gli italiani nel giorno del ritorno a una normalità impossibile somigliano a un popolo di reduci che ha sofferto e capisce che la pena, sia pure in altri modi e con altri tempi rispetto ai giorni del lockdown da Coronavirus, non è finita. Questa condizione viaggia sugli autobus tra le persone che chiedono più controlli: “Non tutto può essere lasciato all’autogestione”. Oggi prevale la responsabilità e in tantissimi, per spostarsi, hanno preferito l’automobile. Domani, se dovessero aumentare i passeggeri, chissà. Al netto del fatto che in tutte le città c’è una carenza cronica di mezzi pubblici. Al capolinea del 64, alla stazione Termini, snodo cruciale del sistema Roma, tutti chiedono informazioni e nessuno le sa dare. Un autista dell’Atac scuote la testa e da dietro la mascherina, con un gesto di sconforto, dice: “Non ci hanno detto quante persone possono salire a bordo, né noi possiamo non farle salire”. Qui sotto la pensilina l’autobus è più che pieno, rispetto alle regole poco decifrabili che sono state emanate. Una signora chiede: “Si può salire?”. “Guardi, non ci sarebbe spazio, ma salga lo stesso”, risponde il conducente. Rispetto al periodo pre Coronavirus, secondo le stime della Capitale, in circolazione dovrebbero esserci il 55% in meno degli utenti. Ma gli autobus non bastano. E non è una novità del momento. Ed ecco che nel salire sul mezzo pubblico le persone si accalcano. Nessuno dice loro di aspettare o di mantenere la distanza di sicurezza. Sul bus ci si distribuisce come si può, dal finestrino si sente una voce che urla: “Non si può iniziare così”. Oggi è solo il primo giorno, ma il meccanismo potrebbe incepparsi a breve. Flavia si è svegliata presto, ha preso la metro per tornare nel suo posto di lavoro nel centro di Roma: “Nel vagone non c’erano tante persone, ma qui in stazione è cambiato tutto”. Si sfoga imboccando un percorso obbligato, segnalato da frecce verdi che raccomandano di rispettare la distanza di sicurezza: “Non so se ho imboccato il percorso giusto”. Evidentemente no. Tre metri dopo un addetto alla sicurezza devia il traffico dei pedoni: “Ci sono i segnali, dovete andare dall’altra parte”. Sembra un percorso ad ostacoli, tra cancelli sbarrati e paura di avvicinarsi troppo all’altro anche per chiedere un’informazione. Un ragazzo scoppia in una risata di fronte a un’altra sbarra chiusa: “Basta, mi arrendo”. Gli ingressi saranno scaglionati sui mezzi pubblici, è stato il tormentone istituzionale che ha percorso l’Italia nella fase precedente alla riapertura. Ma a parte le indicazioni da vigili urbani all’interno delle stazioni delle metro, “non ci sono controlli”, dice un passeggero che uscendo dal vagone della metro va a sbattere con uno che entra. Non scoppia la baruffa, c’è un reciproco senso di solidarietà in questa umanità dolente. Il distanziamento sociale non sempre riesce a coesistere. I controlli di chi sale e chi scende, e di come si sta a bordo, non ci sono. “Ora serve responsabilità”, è il leit motiv del premier Giuseppe Conte che twitta mentre le persone stanno tornando nei propri posti. C’è la mamma, Martina, che sta andando in ufficio, dopo due mesi, e ha lasciato il bambino a casa: “Chissà se farà i compiti”. C’è l’anziano che non potrebbe uscire ma dice: “Non ce la facevo più”. Tuttavia la folla vera non è sui mezzi pubblici, perché in tanti hanno preventivato il caos e calcolato il rischio contagio. Il bene-rifugio come in un tuffo indietro nella Roma degli ’70 è l’automobile. Sulle tangenziali sembra di stare nelle scene celebri di “Roma” di Federico Fellini tra paralisi e clacson impazziti. L’esordio non è stato semplice, il sequel comincia domani.
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