“Scudo erariale”, i più indignati sono i cittadini
Fanno bene i magistrati della Corte dei conti a protestare perché con il cosiddetto “scudo erariale” viene impedito ai giudici contabili di perseguire sprechi di denaro pubblico o danneggiamento di beni patrimoniali addebitabili a colpa grave di pubblici funzionari o amministratori.
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Sono i tecnici della materia e quindi conoscono le dimensioni dello spreco, così come dell’evasione fiscale, anche per essere la Corte dei conti un osservatorio generale dell’attività delle pubbliche amministrazioni attraverso le sue molteplici attività di controllo. E segnalano, attraverso un comunicato dell’Associazione che li rappresenta, che l’ulteriore proroga della norma introdotta dal Governo Conte 1 al tempo della pandemia “sarebbe contraddittoria e ingiustificata, in quanto, nonostante la fine del periodo di emergenza, avrebbe l’effetto di stabilizzare l’esclusione della perseguibilità delle condotte commissive gravemente colpose, esponendo il Paese al grave rischio di spreco di denaro pubblico, di gestioni opache di commesse pubbliche e di diffusione del malaffare”.
L’analisi non fa una grinza. Ma i più indicati ad indignarsi sono i cittadini, coloro che, con il pagamento di imposte e tasse, alimentano i bilanci sui quali gravano gli sprechi. Di questi onesti contribuenti la politica, come in altri casi, si disinteressa completamente perché convinta che il consenso che ottiene da quella parte, via via ridotta, degli italiani che ancora votano, sia sufficiente ad assicurare alla “casta” la permanenza sugli scranni del potere. Che sono quelli di chi governa e di chi sta all’opposizione, perché proprio lo scudo erariale come l’evasione fiscale dimostrano che, su alcuni temi, sono tutti d’accordo. Ognuno ha la sua quota di evasori, grandi o piccoli, come ognuno ha una quota di funzionari incapaci o infedeli o di amministratori disinvolti che causano danno all’erario con spese inutili o eccessive.
Se chi siede a Montecitorio e dintorni avesse avuto l’umiltà di ascoltare chi ha esperienza di queste cose forse sarebbe stato possibile mettere a punto un provvedimento che tenesse conto di alcune esigenze di ammodernamento della disciplina normativa della responsabilità, così come è stato fatto con il Codice del processo contabile, mentre la solita riforma all’italiana che arriva tardi e male si fa scivolando dandola in mano a chi di queste cose non se ne intende (scusatemi la presunzione) o è semplicemente uno yes man perché la politica ama circondarsi di persone, anche preparate professionalmente, le quali però non hanno la dignità e la spina dorsale dritta per dire al politico “mi stai chiedendo una cosa sbagliata, te ne propongo una in alternativa”. E così illustri giuristi si prestano a mettere a disposizione del potere la loro professionalità per fare l’ennesima porcheria, perché così va definita l’esclusione della responsabilità per chi causa un danno erariale con “colpa grave”, che non è poco se per i romani dolo aequiparatur, cioè era praticamente pari al dolo.
Di questi giuristi del potere è ricca la storia. È noto, ad esempio, che re Vittorio Emanuele III, indignato perché Mussolini voleva essere, al pari del Capo dello Stato, Primo Maresciallo dell’Impero si sentì rispondere dal Duce che aveva chiesto un parere in proposito al Presidente del Consiglio di Stato, che peraltro era un giurista insigne, il Professore Santi Romano, il quale, però, era anche un fascista convinto, e pedissequo esecutore dei desideri del Duce. Così disse che di Primi Marescialli dell’Impero ce ne potevano essere anche due. Al che il Re commentò che “I professori di diritto costituzionale, specialmente quando sono dei pusillanimi opportunisti, come il professor Santi Romano, trovano sempre argomenti per giustificare le tesi più assurde: è il loro mestiere; ma io continuo ad essere della mia opinione. Del resto non ho nascosto questo mio stato d’animo ai due presidenti delle Camere, perché lo rendessero noto ai promotori di questo smacco alla Corona, che dovrà essere l’ultimo”.
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