Se è vero che il denaro parla, in questo caso ci ha detto addio
Come noto ai più, il Consiglio Nazionale Forense ha deciso, qualche anno fa, di divenire editore, per dare alle stampe un “giornale dell”avvocatura”.
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Per fare ciò, e non incorrere in problemi di varia natura, sui quali eventualmente ritorneremo in altro momento, ha utilizzato la sua emanazione Fai (Fondazione dell’Avvocatura Italiana), di cui il presidente CNF è presidente, per costituire, con Fai socio unico, una societa’ commerciale, la Edizioni Diritto e Ragione Srl, con sede a Bolzano, e sede secondaria a Roma, via del Governo Vecchio, presso il Cnf, o meglio in locali da esso messi a disposizione, che ha sempre come presidente il presidente del CNF, ovviamente in questo caso senza formali poteri gestori. Più precisamente, con delibera n. 4 del 20.11.2015, il Cnf approvava una convenzione con la FAI, affidandole la realizzazione del piano editoriale comprendente anche la pubblicazione di un quotidiano generalista, e si impegnava a determinare l’ammontare dei contributi dovuti alla Fai per la realizzazione di tale piano. La Fai nello stesso giorno approvava la convenzione e formalizzava la delega a costituire una società commerciale a responsabilita’ limitata con il compito di editare il giornale.
La societa’ citata, Edizioni diritto e ragione, edita infatti dal 2016 il quotidiano “Il Dubbio”, che tante polemiche ha sollevato nell’avvocatura. Poiché il Cnf riceve quali entrate i contributi versati obbligatoriamente dagli avvocati italiani, è di tutta evidenza che il finanziamento della iniziativa editoriale è di fatto a carico dei medesimi avvocati. Bene, rinviando ulteriori approfondimenti ad altre sedi, o a richiesta, sinteticamente evidenziamo che il bilancio chiuso al 31.12.2016 della Edizioni diritto e ragione ha evidenziato un passivo di euro 836.560,00, e la nota integrativa affermava che la situazione avrebbe potuto raggiungere un sostanziale pareggio nell’esercizio 2019. La perdita è stata coperta con rinuncia da parte del socio unico Fai, a finanziamenti per importo corrispondente. il bilancio chiuso al 31.12.2017 della Edizioni diritto e ragione ha evidenziato un passivo di euro 690.888,00 e la nota integrativa affermava che la situazione avrebbe potuto raggiungere un sostanziale pareggio nell’esercizio 2020. La perdita è stata coperta con rinuncia da parte del socio unico Fai, a crediti per importo corrispondente. il bilancio chiuso al 31.12.2018 della Edizioni diritto e ragione ha evidenziato un passivo di euro 645.415,00 e la nota integrativa affermava che la situazione avrebbe potuto raggiungere un sostanziale pareggio nell’esercizio 2021. La perdita è stata coperta con rinuncia da parte del socio unico Fai, a crediti per importo corrispondente. Il totale delle perdite registrate nei tre anni di esistenza della società e di edizione de Il Dubbio, ammonta a euro 2.172.863,00. Tutti ben sappiamo che, dopo i primi tentativi di vendita nelle edicole con scarso successo, e dopo aver “forzato” abbonamenti da parte degli ordini per i rispettivi iscritti, all’attualità e oramai da tempo, il quotidiano viene distribuito via web. Nessuno conosce le entrate da pubblicità o da abbonamenti, nessuno conosce i dati di effettiva lettura, le societa’ di rilevazione dei dati della stampa quotidiana lo ignorano. Le perdite restano consistenti e il momento del raggiungimento di un tendenziale pareggio di bilancio viene ogni anno spostato in avanti. È dato di comune esperienza che le imprese che conseguono perdite per due esercizi consecutivi (e qui sono già tre) sono inserite ex lege nella lista dei soggetti da sottoporre a controllo fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate. Ma tralasciando ciò, è altrettanto noto che le perdite persistenti collocano l’impresa fuori mercato, non giustificandone la stessa sopravvivenza. È una condotta commerciale anomala, in quanto non è conforme a logica ed esperienza impostare o proseguire l’attività’ secondo criteri antieconomici, o malgrado risultati poco vantaggiosi o addirittura dannosi. Nulla ci tocca più profondamente della perdita del nostro denaro, soprattutto a fronte di una iniziativa della quale i più non scorgono l’utilità e il pregio, se non, forse, nell’assecondare i desiderata di chi l’ha voluta e la governa, e nel favorire, a volte apertamente, un’associazione a lui vicina.
Ma ogni domanda su questo argomento non trova risposta, ne’ si avverte il bisogno di dare ragguagli o informazioni, ne’ si conoscono le motivazioni sulla base delle quali si continua a finanziare questa iniziativa fallimentare. Speriamo di non arrivare mai al punto di pensare che qualche milione di euro, in fondo, non sono poi molti soldi….. soprattutto in un momento di crisi e di grande difficoltà dell’avvocatura italiana. Se è vero che i soldi non fanno la felicità, neppure la tolgono, e quindi non ci pare proprio il caso di buttarli dalla finestra. E allora ancora una volta chiediamo che sia reso il conto in dettaglio di questa iniziativa a coloro, gli avvocati, che la pagano e che per la maggior parte non la approvano o addirittura non la conoscono. Quanto ancora si intende portare avanti questo infelice progetto? E ancora una volta, purtroppo, temiamo che le domande resteranno senza risposta, e non vorremmo arrivare al punto di sentirci dire, citando Alexandre Dumas padre :”Affari? È abbastanza semplice: si tratta di denari di altri!!”
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