Solidarietà, democrazia, diritti. Sassoli ha cambiato l’Europa
Caro David, hai retto il timone dell’unica istituzione eletta nella fase più complicata, contribuendo a riscriverne regole e principi
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Quando abbiamo eletto David Sassoli alla Presidenza del Parlamento europeo, era chiara la speranza che con lui potesse iniziare un nuovo corso della politica europea, dopo l’ubriacatura nazionalista che ci aveva sommerso durante le elezioni europee del 2019, anche in Italia. Come europarlamentare al primo mandato, ero orgogliosa di aver contributo a quel risultato e di avere lui come punto di riferimento della legislatura. Non che lo si vedesse bene David, a dir la verità, dai banchi del gigantesco emisfero di Strasburgo, dove bisogna impegnarsi in una caccia al tesoro abbastanza faticosa per trovare il proprio posto, e dove il presidente lo riconosci più dalla voce che non dalla figura.
Non potevo immaginare allora che quel presidente diventasse uno dei principali protagonisti della svolta europea, del cambiamento verso una maggiore solidarietà e l’abbandono graduale del rigorismo e dell’austerità.
Non esagero se dico che la svolta è stata anticipata da Sassoli, fortemente promossa insieme a Ursula Von der Leyen e poi realizzata. In tre mosse.
Primo. L’emissione di debito comune. David Sassoli è stato tra i primi, tra lo stupore di tutti, all’inizio del 2020, a parlare nuovamente di Eurobond, di condivisione dei rischi, ipotizzando addirittura una possibile cancellazione del debito creato dal Covid. Ricordo bene l’agitazione di alcuni eurodeputati; cancellazione del debito? I tedeschi ci sbranano. Eppure, è andata così. Prima gli Eurobond che hanno finanziato gli ammortizzatori sociali di paesi stremati dalla disoccupazione, come il nostro, sino ai Greenbond di oggi. E cosa sono i contributi a fondo perduto dentro al Recovery Fund se non una specie di cancellazione del debito? Oltre 80 miliardi per l’Italia.
Secondo. ‘Sarebbe una follia tornare indietro’. Lo scorso settembre, al Meeting di Rimini, mi ero stupita per la forza con cui Sassoli spingeva verso un Recovery fund permanente. La Banca centrale ha già acquistato il 25% dei titoli degli Stati membri, può arrivare a un terzo se necessario, raccontava. Questo avrebbe reso il debito sostenibile e avrebbe evitato gli schizzi dello spread. L’esperimento del Recovery ha avuto un successo pieno e gli equilibri macroeconomici reggono, aggiungeva, perché mai tornare indietro?
Terzo. Nessuno sconto sulla democrazia. Da europeista convinto, Sassoli non poteva che condannare con durezza le derive antidemocratiche di Ungheria e Polonia. Per non parlare della Bielorussia, della Libia e di altri paesi terzi. E proprio dal Parlamento è partita la richiesta di includere una clausola di condizionalità sullo stato di diritto prima di elargire le risorse ai paesi dell’Europa dell’Est (NB. I Pnrr di Ungheria e Polonia sono ancora bloccati in Commissione). Sassoli credeva in una Unione europea di libertà e di diritti, la storia dell’Europa in fondo per lui era una ‘storia di liberazione dell’uomo’. Diritti civili, diritti politici, diritti sociali, nessuna differenza, nessuna gerarchia. Lo poteva dire proprio dallo scranno più alto dell’istituzione più progressista tra quelle europee, quella che ha approvato da anni la revisione del Regolamento di Dublino sui migranti, bloccata dalle ottusità del Consiglio.
D’altro canto, di credibilità e autorevolezza Sassoli ne aveva in abbondanza. La torsione europeista del M5Stelle è dovuta anche a lui. Elisabetta, portaci Sassoli. Era il refrain di ogni mio incontro nel collegio e mi ero abituata pure a chi sbagliava l’accento, portaci Sàssoli (eh?), che è bravissimo.
Non posso dire di conoscerlo in profondità, ma in questi anni una idea me la sono fatta. Era uno che potendo permettersi l’arroganza, sceglieva la gentilezza e l’umiltà. Uno che quando parlava teneva l’attenzione di tutti. Notavo sempre, poi, che chiudeva tutte le frasi, non lasciava mai una frase sospesa, mai una parentesi verbale aperta e poi non chiusa. Il mestiere precedente c’era. Uno che era contento di ospitarci, tra i mille impegni, nel suo ufficio al 15° piano dell’edificio rotondo di Strasburgo, e di raccontarci un po’ di dietro-le-quinte, intorno a un tavolo pieno di improbabili succhi alsaziani alla mela. Poi ogni tanto lo intravvedevi di fianco alla plenaria dentro a una specie di cabina del telefono, senza telefono, ma piena di fumatori, a concedersi una pausa o forse a prendere le decisioni più importanti di questa legislatura, chi lo sa.
Per me, caro David, tu hai cambiato l’Europa. Hai retto il timone dell’unica istituzione eletta dai cittadini, nella fase più complicata e difficile della sua storia, contribuendo a riscriverne regole e principi. Se oggi una donna o un uomo in qualche parte d’Europa si è accorto che l’Europa una mano l’ha data durante la pandemia questo lo si deve anche a te. E queste cose difficilmente passano.
Di Elisabetta Gualmini Eurodeputata Pd
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