Giampiero Massolo: "L'Ucraina non avrà mai una pace giusta"
La geopolitica ribaltata in pochi giorni dalla nuova Casa Bianca.
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“Ha ragione Giorgia Meloni a dire che l’Europa non può andare allo scontro con Donald Trump. Non ce lo possiamo permettere: non c’è sicurezza europea senza Washington”. L’ambasciatore Giampiero Massolo, già segretario generale della Farnesina e ora presidente di Mundys, traccia un bilancio del vertice di lunedì a Parigi. Giudica la mossa di Emmanuel Macron “velleitaria” e disegna uno scenario in cui l’Europa è ormai “la periferia dell’impero”: per poter contare deve essere unita e dimostrare “a Trump di potergli dare qualcosa in cambio”. Un quadro in cui l’Ucraina non avrà mai la “pace giusta” ed è in bilico tra l’entrare nell’Occidente, o diventare neutrale e restare in una zona grigia tra Russia ed Europa. Soprattutto, Massolo spiega dettagliatamente come è stata ribaltata la geopolitica dal presidente americano in una manciata di giorni. Ma andiamo con ordine.
Ambasciatore, come valuta l’esito del vertice di Parigi?
Non erano immotivate le perplessità che ne hanno accompagnato la convocazione. Dare l’impressione di dividersi in gruppi, quando sarebbe invece opportuno mostrare la massima coesione possibile, dando evidenza al ruolo delle istituzioni europee, non è stato un grande risultato. Anzi. Quella del presidente francese Macron non si è rivelata la mossa migliore.
Sarebbe stato meglio un format a Ventisette come ha sostenuto Giorgia Meloni?
Direi di sì. È vero che c’era il timore che in un Consiglio Ue sarebbero emerse voci molto filo-russe come quelle dell’ungherese Viktor Orbán e dello slovacco Robert Fico, però è altrettanto vero che anche da questo formato più ristretto sono emerse diversità di vedute. Gli americani qualche giorno fa avevano mandato ai leader europei un questionario dove sostanzialmente si chiedeva cosa gli europei si aspettano dagli Usa in questa fase del conflitto in Ucraina e cosa sono disposti a fare per garantire la sicurezza di Kiev. E dal summit non sono emerse risposte univoche.
A partire dalla questione della forza di interposizione per garantire la pace, quando e se verrà siglata…
La verità è che gli europei sono ancora sotto shock. Non si aspettavano un alleato americano che non parla più in nome dei valori comuni, ma parla in nome di interessi che possono coincidere o divergere. Non sono abituati alla logica trumpiana, imperiale, di potenza, una logica transazionale. Ora non valgono più tanto i valori e la storia comuni. Per Trump ciò che conta è ciò che tu, europeo, puoi fare in termini di assunzione di responsabilità, di garanzie per la tua sicurezza e ciò che puoi offrire per la soluzione della crisi ucraina in cui pretendi di giocare un ruolo. Il ruolo non è più dato per garantito, bisogna conquistarselo. E dal vertice di Parigi non sono uscite risposte univoche: c’è intesa sul sostegno all’Ucraina, ma non c’è unanimità di consenso sul come e fino a che punto si possa continuare a garantire Kiev, in particolare con l’invio di truppe. La premier italiana ha tentato di non fornire pretesti agli americani, dissipando possibili dubbi di una coalizione europea contro Washington. È stato quindi giusto sostenere che il tavolo europeo non è contro Trump.
Però il presidente americano ha detto di voler tagliare fuori l’Europa dai negoziati di pace, una reazione è necessaria. Non crede?
Gli inviti al tavolo non sono gratis, occorre conquistarseli. Credo però che prima di tutto si debba uscire da un equivoco. In questo momento quello che si sta svolgendo tra americani e russi non è un negoziato sull’assetto finale dell’Ucraina dopo la guerra. A Riad si sta trattando su come arrivare al cessate il fuoco. Trump vuole far tacere le armi perché ha promesso in campagna elettorale che ci sarebbe riuscito dopo poche settimane dal suo insediamento. Su Zelensky ha gioco facile perché Kiev dipende dagli aiuti americani. Putin invece, che si trova in una situazione di vantaggio sul terreno, va convinto ad arrivare al cessate il fuoco. Prima di fermare la guerra il presidente russo vuole concordare direttamente con gli Usa quale sarà l’Ucraina del domani, il dopoguerra.
E come sarà l’Ucraina dopo il conflitto?
C’è grande incertezza. Ci sono due scenari opposti. Il primo è quello di un’Ucraina nell’Occidente, non neutrale, armata, con una prospettiva europea, se non addirittura atlantica. Ma parlo dei quattro quinti dell’Ucraina, quelli che non sono sotto il controllo russo: è irrealistico infatti pensare di tornare ai confini del 2014 o anche solo prima dell’invasione. Il secondo scenario prevede che Kiev sia neutrale, senza un esercito, in una terra di mezzo tra le sfere di influenza di Russia e Stati Uniti. Al massimo prima o poi nell’Ue. Per questo è molto prematuro discutere oggi se mandare truppe sul terreno. Non sappiamo se si dovrà garantire un’Ucraina nell’Occidente e dunque in contrapposizione alla Russia, oppure se ci sarà da garantire un’Ucraina neutrale e perciò in qualche misura paradossalmente con la Russia.
Questa seconda ipotesi segnerebbe un clamoroso successo di Putin. Pensa che Trump voglia concederglielo?
Noi partiamo dall’idea che Trump non possa concedere una vittoria a Putin perché questo equivarrebbe a iniziare la sua presidenza con un atto analogo al ritiro di Joe Biden dall’Afghanistan e perché concedere troppo a Mosca farebbe crescere le ambizioni della Cina su Taiwan, accrescendo l’instabilità nell’Indo-Pacifico. Ma è presto per dirlo. Putin vuole un accordo complessivo che non sia solo su Kiev, ma sull’intera sicurezza europea. Trump vede gli sviluppi in Ucraina – ed è ciò che gli europei stentano ad accettare – non soltanto come una questione europea, ma nell’ambito del rapporto complessivo tra Stati Uniti e Russia. Un rapporto dove c’è da negoziare anche un nuovo accordo sugli armamenti nucleari, sulle risorse dell’Artico, sull’energia, sulla lotta al terrorismo islamico, sulle interferenze cibernetiche. Washington, insomma, segue ora una logica da grande potenza e decide in base alle proprie convenienze. Trump stabilirà il destino di Kiev in ragione dei suoi interessi: sarà per lui utile tenerla nell’Occidente? Oppure sarà più conveniente per l’America renderla neutrale nell’orbita di Mosca? In tutto questo gli europei si dividono sul contingente, mentre il disegno complessivo è molto più vasto.
Ed è molto più devastante: il destino dell’Ucraina come una delle tante pedine di scambio tra Trump e Putin…
Per una presidenza imperiale qual è quella di Trump, che dice agli europei di dover pagare un corrispettivo per avere la sicurezza americana, ciò che conta è l’equilibrio tra grandi potenze. Le sfere di influenza.
Si va a una Yalta a tre, Usa, Cina e Russia, senza l’Europa?
Forse, ma con una differenza. Ora gli Stati Uniti sono di gran lunga il Paese più potente della Terra e Trump ne è consapevole. Consolida la propria sfera di influenza, prende atto delle ambizioni di Cina e Russia, ma è disposto ad accomodarle solo quando gli conviene.
Con l’Unione europea nel ruolo di vaso di coccio.
L’Europa ora è molto debole. Stenta a comprendere la nuova realtà. Fatica a porsi in maniera unitaria e reagisce dividendosi, offrendo il fianco a chi la critica e ha interesse a spaccarla. L’Europa, che crede nei valori comuni dell’Occidente, non è abituata a essere trattata come un alleato di convenienza. Ma ora Trump le chiede: voi che fate? Voi come contribuite all’alleanza? E l’Unione europea, per poter contare in questa nuova fase, deve mostrarsi unita senza andare velleitariamente allo scontro con Washington, cercando interessi comuni e convergenze. assumendosi responsabilità crescenti per la sicurezza in Europa. In sostanza proponendo a Washington un nuovo patto: un’Europa più responsabile, con gli Stati Uniti impegnati sul continente.
Come?
Abbandonando le fughe in avanti e perseguendo obiettivi politici condivisi almeno tra i maggiori Paesi europei con il coinvolgimento del Regno Unito. Si può fare salvaguardando le istituzioni e nel contempo rafforzando le collaborazioni intergovernative. Non ci si può più aspettare che Washington continui a preservare gratis e con cambiali in bianco il rapporto transatlantico. In più l’Europa deve negoziare con gli Usa sul riequilibrio commerciale e va trovata una mediazione sulle grandi tecnologie: gli Usa non hanno regole, l’Europa è iper regolamentata. Va individuata una via di mezzo.
Nello scenario che descrive non c’è spazio per la “pace giusta e duratura” invocata anche ieri a Parigi.
Dobbiamo uscire dalle confortanti formule verbali. L’Ucraina perderà, come dicevo, il 20% del suo territorio. Tutti sanno che non è possibile tornare indietro, se non facendo guerra alla Russia. E nessuno vuole fare questa guerra.
C’è chi ha descritto la posizione di Meloni al vertice di Parigi da non allineata. Terzista. Cosa ne pensa?
Non mi pare proprio. Ha ragione Meloni a dire che, essendo divisa, l’Europa non può scegliere una linea di contrapposizione con gli Stati Uniti. Come vedersi a Parigi per marcare autonomia e indipendenza da Washington. Non ce lo possiamo permettere: non c’è sicurezza europea né deterrenza nei confronti di Mosca senza gli Usa.
Dunque Meloni al contrario di Macron si mostra realista?
Assolutamente sì. Il presidente francese invece ha compiuto una mossa ambiziosa, ma azzardata.
E pensa sia possibile per la premier italiana svolgere un ruolo da pontiera?
In questa fase è importante tenere aperti tutti i canali di comunicazione perché si parli all’Europa di Trump e a Trump dell’Europa. Questo per far capire meglio le posizioni e cercare di avvicinarle. Ma questi canali non possono sostituirsi ai fatti. Bisogna trovare i contenuti giusti per tenere gli americani in Europa. Occorre dimostrare a Trump di poter contare, in quanto abbiamo qualcosa in cambio da offrire. Ora gli europei sono diventati la periferia dell’impero e devono provare di avere un valore aggiunto per non rimane tali.
I valori transatlantici sono superati?
Con Trump non si è più alleati in nome dei valori, ma degli interessi e convenienze comuni.
Il presidente Usa punta a smembrare l’Unione europea?
Trump non ama gli organismi multilaterali e vede nella Ue un blocco commerciale, potenzialmente concorrenziale. Per questo preferisce parlare con i singoli Paesi europei.
Meloni, visti i rapporti e la consonanza politica, potrebbe avere un trattamento di riguardo?
I buoni rapporti personali aiutano in questo contesto. Ma il trattamento di Washington sarà calibrato in funzione di quello che l’Italia avrà da offrire per cercare la massima comunanza di interessi con Washington.
Come spiega il tifo di Musk e del vicepresidente Vance per l’ultradestra europea?
C’è consonanza di idee con alcune di quelle forze politiche. Da qui il sostegno. Molte loro proposte facevano parte della piattaforma elettorale di Trump e Vance.
La Commissione Ue ha aperto all’idea di non calcolare nel deficit le spese per la difesa. Pensa servano pure degli eurobond, come si fece per fronteggiare la pandemia?
C’è finalmente del movimento a seguito dello shock dato da Trump all’Ue. È molto importante usare gli strumenti esistenti con flessibilità e rimodulare il bilancio europeo per lasciare agli Stati membri maggiori spazi di manovra segnatamente per difesa e sicurezza. Potrebbe tuttavia non essere sufficiente e pensare a finanziamenti europei per progetti europei sarà necessario. Anche qui a decidere sono i governi.
Il ministro Guido Crosetto pensa a uno scudo missilistico sul modello dell’Iron Dome israeliano e progetta di rafforzare la cybersicurezza. È la strada giusta?
Direi di sì. All’Europa servono progetti comuni, da finanziare con fondi comuni. Non si tratta di realizzare un esercito europeo, ma di allargare la base produttiva e coordinare le commesse.
di Alberto Gentili su Huffpost
Gianpiero Massolo: è un diplomatico e dirigente d’azienda italiano. Presidente di Mundys dal 2022, è stato presidente di ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) dal 2017 al 2024, già direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. È stato Segretario generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dal 2007 al 2012.
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