Anno: XXV - Numero 159    
Giovedì 5 Settembre 2024 ore 13:00
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Il Fronte popolare da noi non funzionerà perché l’Italia non ha paura della destra

Intervista con l’editorialista del Corriere, Ado Cazzullo, sulle opposte tendenze fra noi, che non abbiamo mai avuto un governo veramente di sinistra, e i francesi che (anche un po’ ipocritamente) hanno orrore di quelli di destra.

Il Fronte popolare da noi non funzionerà perché l’Italia non ha paura della destra

Il futuro all’Eliseo, a Bruxelles e a Roma, dove lo spostamento all’estrema destra di Salvini potrebbe essere a sorpresa un assist e non un problema per Meloni

Le elezioni in Francia e il loro impatto sull’Europa, il Fronte Popolare all’amatriciana, le ripercussioni della sconfitta della destra francese su Giorgia Meloni e le sue ambizioni di pesare a Bruxelles e nell’Ue, il ruolo di Emmanuel Macron ma anche quello di Matteo Salvini. Abbiamo chiesto ad Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera e profondo osservatore delle dinamiche politiche del Vecchio Continente, di aiutarci a riordinare le idee e a srotolare il filo logico di una matassa che, all’indomani della batosta di Marine Le Pen, le avvisaglie di ingovernabilità a Parigi e alla vigilia della costituzione di un nuovo, corposo, gruppo di sovranisti a Strasburgo, appare assai ingarbugliata.

  • Domanda. Lei aveva scritto più volte che il Rassemblement National non avrebbe avuto una maggioranza per governare. Però forse la portata della sconfitta è andata oltre le previsioni.
  • Risposta Nessuno si aspettava che il Nuovo Fronte Popolare si affermasse come la prima forza politica; ma era facile prevedere che Le Pen e Bardella non avrebbero sfondato al secondo turno. Più che una vittoria della sinistra, è una secca sconfitta dell’estrema destra.
  • D. In molti guardano proprio a questa vittoria come modello per un’alternativa anche in Italia.
  • R. E secondo me sbagliano, perché la cultura politica francese è molto diversa dalla nostra. Se è mai esistito, da noi il fronte repubblicano è crollato nel 1994, quando Silvio Berlusconi si alleò con i postfascisti del Movimento sociale e con i separatisti della Lega.
  1. D. Poi però c’è stato l’Ulivo di Prodi, altro esempio più volte tirato in ballo negli ultimi mesi.
    R. L’Ulivo non era la sinistra, e su questo aveva ragione Massimo D’Alema. C’era un democristiano a Palazzo Chigi, un ex della Banca d’Italia al ministero dell’Economia. Nel 1996 vinse solo perché il centrodestra si era diviso. Nel 2006 mise insieme sensibilità che non avevano nulla da spartire, e infatti durò pochissimo. Poi c’è un’altra cosa da tenere presente.
  2. D. Quale?
  3. R. Che a differenza di quel che succede da noi, in Francia fa più paura l’estrema destra che l’estrema sinistra, perché lì la sinistra l’hanno vissuta. François Mitterrand nell’81 ha portato al governo i comunisti, otto anni prima che cadesse il Muro, e rimase all’Eliseo per 14 anni. Poi hanno avuto per cinque anni Lionel Jospin primo ministro, infine François Hollande presidente per altri cinque anni; mentre da noi un governo interamente di sinistra non l’abbiamo mai avuto, e ancora oggi intimorisce il sentimento profondo del nostro paese. Ieri è successo che i moderati hanno votato per la sinistra, compresi i candidati più radicali de La France Insoumise, e viceversa. Una saldatura del voto moderato e di sinistra che in Italia non c’è mai stata e che non c’è nemmeno oggi. E questo nonostante la destra francese sia diversa dalla nostra.
  4. Diversa perché Le Pen è più radicale di Meloni?
    R. Non ne sono sicuro, anzi. Le Pen ha fatto ritirare al secondo turno una candidata di cui era stata diffusa una foto goliardica con un cappello nazista. Noi chi si è fatto fotografare, sia pur per gioco, vestito da nazista lo abbiamo al governo. Ci sono stati collaboratori dell’esecutivo che inneggiavano ai Nar. Non il fascismo del consenso degli Anni 30; i Nar, terroristi che sparavano ai poliziotti.
  • D. Ma il paradigma non è lo stesso? Voglio dire, è vero che noi abbiamo avuto il Ventennio fascista, la Repubblica di Salò con le sue atrocità, ma anche il collaborazionismo di Vichy, l’eredità di Philippe Pétain, non incidono nel quadro politico attuale?
  1. R. Bisogna anzitutto ricordare che i francesi hanno una sorta di ipocrisia nazionale che fa parte delle D. fondamenta della Repubblica: il racconto della vittoria nella Seconda guerra mondiale, omettendo completamente che loro in realtà hanno ceduto a Hitler, che un largo pezzo della loro classe dirigente si è piegata. C’è stato un eroe nazionale, Charles De Gaulle, che quasi da solo ha salvato la dignità nazionale e il suo racconto.
  1. D. La “nostalgia” che si rimprovera a larga parte della destra italiana non fa parte dunque del loro dna?
    R. Le faccio un esempio. Lo stesso Jean Marie Le Pen ha sempre detto che lui non si considerava un erede di Vichy, che a 16 anni lui sarebbe voluto andare con i partigiani. Il discorso nostalgico si concentra più sull’Algeria francese, sull’impero perduto, sull’insofferenza all’egemonia tedesca e all’ipertrofia burocratica di Bruxelles. Ma lì la condanna del fascismo è chiara; qui da noi non lo è. Qui la destra è anti-antifascista: e allora le foibe, e allora le vendette rosse, e allora i partigiani che volevano la dittatura sovietica… cose vere, che però vengono usate strumentalmente per gettare sempre la palla dall’altra parte del campo. Andassero a portare fiori al Martinetto, dove sono stati fucilati il generale Perotti, il capitano Balbis, il tenente Montano, il sergente Galvagni resistenti che non erano certo comunisti. Ma forse non li hanno mai sentiti nominare.
  • D. Con la differenza che qui la destra è al governo, e lì è stata tenuta fuori dalla stanza dei bottoni.
    Perché in Italia c’è un sentimento reazionario più profondo che in Francia.
  • D. E cosa ha messo il vento nelle ali alla destra francese? Al netto del sistema elettorale, anche al secondo turno ha conquistato un terzo del voto popolare.
  • R. A spingere così in alto Rn sono stati i temi dell’immigrazione, dell’Europa, dell’impoverimento del ceto medio. L’intuizione di Le Pen è stata che il confronto non è più quello tra destra e sinistra, ma tra il sopra e il sotto, tra i benestanti e chi è in difficoltà. E c’è del vero nello schema, ma non basta. La maggioranza dei francesi ha capito che l’estrema destra non è la soluzione, che lucra sulle sofferenze della povera gente ma finirebbe per aggravarle. Su questo si giocheranno le prossime presidenziali.
  • D. Pensa che in quel caso Le Pen avrà possibilità di vittoria?
    R. Tutto starà nel capire quale figura il centro moderato e la sinistra individueranno per poter prendere un voto in più di Jean-Luc Mélenchon al primo turno e uno in più di Le Pen al secondo turno. Nella consapevolezza che sia Mélenchon sia Le Pen punteranno a rimanere all’opposizione, per poter capitalizzare al massimo lo scontento popolare.
  • D. In Italia sembra un discorso se non impossibile almeno molto complicato da farsi.
    R. E questa è la responsabilità della sinistra italiana.
  • D. Il Fronte Popolare all’amatriciana di cui tanto si parla è un’utopia?
  • R. Nel 2022 ognuno ha pensato al proprio orticello. Il Nuovo fronte Popolare de noantri sta a mio avviso creando condizioni per prendere una tranvata pazzesca alle prossime politiche. Anche perché non si tratterà solo di aggiungere una gamba centrista al tavolino di per sé già traballante. Serve un nuovo linguaggio, un programma, una comunicazione che dica al ceto medio “noi non siamo contro di te, stiamo dalla tua parte, ti vogliamo proteggere, rappresentare”. Il Pd è l’unico partito al mondo che aumenta le tasse ai suoi elettori, il ceto medio dipendente, come ha fatto nel 2006.
  • D. Al momento però chi sembra più in difficoltà è Meloni, quasi un paradosso se si pensa ai risultati del centrodestra alle ultime europee.
  • R. È in grande difficoltà, è vero. In tre giorni ha perso prima l’amico Rishi Sunak, poi il caro Santiago Abascal, infine Le Pen, che lei non ama, ma che stima e che, soprattutto, le era utile.
  • D. Un isolamento nell’Ue da cui sembra complesso uscire.
  • R. A lei conviene andare a fondo alla svolta conservatrice. Votare le nomine europee e ottenere un commissario di peso. Privilegiare il suo ruolo da premier e non quello di capo partito. In questo senso la sua fortuna è Matteo Salvini.
  • D. Fortuna? Viene generalmente indicato come la principale zavorra.
  • R. Ma no, provi a vederla così: Salvini poteva fare una scelta per così dire di centro, rivendicare il rapporto e l’eredità di Berlusconi, il radicamento degli amministratori come Luca Zaia, le competenze e la vicinanza che da sempre hanno avuto con i territori. E invece ha scelto il generale Vannacci e la Decima.
  • D. Credo di non cogliere il punto: tutto questo per Meloni non è un problema?
  • R. No, è una fortuna, perché questa concorrenza fortemente sbilanciata a destra le dà centralità, rende più potabili le sue posizioni. Così come Éric Zemmour ha reso centrale o comunque meno radicale Marine Le Pen. Analogamente un Salvini così spostato a destra tanto male a Meloni non fa, anzi, potrebbe alla lunga essere un vantaggio per lei.
  • D. Vede nel futuro una macronizzazione di Meloni? Come Emmanuel Macron da sinistra si è spostato al centro, lei potrebbe fare lo stesso percorso da destra? Il partito conservatore senza la fiamma nel simbolo, la svolta da destra moderata europea di cui si favoleggia da tempo.
  • R Non parlerei di macronizzazione, termine che considererebbe un insulto, ma di sicuro alla premier spostarsi più verso il centro conviene. Non è detto però che ci riesca.
  • D. Ritorniamo alla “nostalgia canaglia”?
  • R. È più solida di Salvini, ma fa errori marchiani. Come ti viene in mente di invocare Sergio Mattarella affinché intervenga contro un sito che diffonde un video in cui i tuoi giovani fanno sig heil? Berlusconi ha sempre tessuto reti che andavano oltre il suo campo. Votò i governi Monti, Letta, Draghi. Stando all’opposizione votò Ciampi e le rielezioni di Napolitano e Mattarella.
  • D. Dinamiche che al momento sembrano impossibili con Fratelli d’Italia, che dal governo al contrario denuncia di essere vittima di assedi e complotti.
  • R. Meloni pensa che o stai di qua o stai di là. E la capisco. Ma per essere un baluardo anti-sinistra non le serve più strizzare l’occhio all’armamentario nostalgico, con la paura che ti si rivolti contro se non fai la faccia abbastanza feroce. Il nazifascismo fu sconfitto da uomini di destra come Churchill e De Gaulle. Opporsi al nazifascismo e ai suoi rigurgiti significa dire no alla barbarie, non diventare di sinistra.
  • D. La sconfitta di Le Pen, l’instabilità francese, l’isolamento di Meloni, il corposo gruppo di destra radicale che si sta costituendo: come impatta tutto questo sugli equilibri a Bruxelles?
    R.D-  A mio avviso non più di tanto. In Europa non comanda l’estrema destra. In Francia ha appena perso, in Polonia pure. In Germania c’è un socialdemocratico al governo, in Spagna un socialista. A Bruxelles c’è una maggioranza tra Popolari, Socialisti e Liberali a cui si aggiungeranno i Verdi e, spero, i voti di FdI. Lo schema di Meloni di sostituire i Socialisti con i suoi Conservatori è andato in pezzi.
  • D. E noi, in quanto Italia, rischiamo però di rimanerne fuori.
  • R. Non se Meloni fa valere il nostro interesse nazionale ricordando quel che dice Vittorio Feltri, e cioè che l’Europa è un condominio rissoso nel quale noi siamo gli inquilini morosi, quelli che hanno più bollette da pagare. E dunque che il nostro interesse è stare nella maggioranza che governa il condominio, avere un buon rapporto con i partner, spendere bene i soldi del Pnrr. Se invece Meloni si ripiegherà se sé stessa e i suoi sogni impossibili, allora sì che le cose andranno male.

Di Pietro Salvatori per Huffpost

 

 

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