La Russa dovrebbe parlare di meno, da lui sgrammaticature istituzionali
Intervista a tutto campo all'ex presidente del Senato Marcello Pera.
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I due anni di Meloni? Ha fatto bene, per fortuna il premierato è finito in garage. Ma sbaglia a inseguire a destra Salvini, archivi la Fiamma e fondi il Partito Conservatore. L’Albania non è una soluzione per i migranti, ma assurdo che i magistrati decidano i paesi sicuri”
“La Russa? Dovrebbe parlare di meno: compie sgrammaticature istituzionali”. “Mattarella? Anche il Capo dello Stato dovrebbe esternare con maggiore parsimonia: esercita un potere non definito dalla Costituzione”. “Meloni? In due anni ha fatto bene, il mio giudizio è positivo. Ha garantito stabilità finanziaria, politica, ha una buona postura internazionale ed è più preparata di quanto lo fosse Berlusconi. Però sul premierato, che per fortuna è finito in garage, dovrebbe cambiare tutto. Così non va. E sbaglia, la premier, a inseguire a destra Salvini ritardando la trasformazione di Fratelli d’Italia in un moderno partito conservatore. Meloni però è una donna d’onore e sono sicuro che compirà la svolta, rinunciando anche alla Fiamma”. Marcello Pera, 81 anni, ex presidente del Senato, un passato in Forza Italia e ora senatore di Fratelli d’Italia, non lesina giudizi. E rivelando che tifa per la vittoria di Donald Trump negli Usa, Pera prevede per l’Unione europea un futuro da “Unione delle Nazioni sul modello di De Gaulle”. Ma andiamo con ordine.
Domanda. In questi giorni il governo Meloni compie due anni. Qual è, presidente, il suo bilancio?
Risoposta. È positivo, per ora. Il governo, nonostante i tanti problemi, non ha demeritato. Garantisce stabilità e ha una linea atlantista ed europeista. Anche la legge di bilancio, che molti criticano giudicandola senza visione, va bene: lo scopo primario, in assenza di risorse, è garantire i conti in parità per evitare il rischio di crisi finanziarie. E questo lo fa. Del resto, ormai da quanti anni si scrivono leggi finanziarie senza sguardo al futuro? Decenni. Il problema vero è che il sistema previdenziale e quello sanitario costano troppo. E mi chiedo: quanto manca dal dichiararne il fallimento? Qui si fa finta di nulla, ma il problema è enorme. Direi drammatico. Ma per intervenire servirebbe una forza e una determinazione politiche che non è facile avere.
- Neppure Meloni sembra averne…
- Un po’ di forza e di determinazione ce le ha e la premier mostra di avere contezza del problema. Ma i limiti sono quelli che sono: con i governi di coalizione è difficile incidere in profondità. Oltre una certa soglia non si può andare.
- A proposito di coalizione, se fosse in Meloni rinuncerebbe a marcare a destra Salvini puntando a una svolta verso un moderno conservatorismo?
- Certamente sì. La premier si era impegnata nella trasformazione di Fratelli d’Italia in un partito conservatore e aspetto ancora che questa fase vada avanti. Ma sono sicuro che Meloni, una donna d’onore, compirà la svolta che è stata una sua grande intuizione. L’ultimo cascame sarà la rinuncia alla Fiamma nel simbolo. Magari le costerà qualche voto nell’immediato, ma Meloni deve proiettarsi nel futuro: il partito conservatore è un partito di governo, un partito un po’ nostalgico non lo è: può vincere ma anche perdere le elezioni. Ci vorrà un po’ di tempo, ma la premier ci arriverà.
- Come valuta il teatrino dei centri per migranti in Albania?
- Lì c’è un problema incredibile che stiamo cercando di risolvere per via giudiziaria, con le sentenze. Invece il nodo è politico ed è enorme. I centri albanesi sono una sorta di scolmatore, non certo una soluzione: si portano un po’ di migranti altrove per cercare di diminuire la pressione dei migranti sui nostri confini. Ed è assurdo che i Paesi sicuri siano decisi dai magistrati e non dalle istituzioni politiche.
- Ieri il governo ha varato un decreto. Cosa ne pensa?
- Purtroppo, non risolverà nulla. Non è mica finita. Di sicuro ci sarà qualche ricorso dei giudici alla Corte costituzionale contro la nuova legge. E dovremo ancora sottostare alla cosiddetta superiorità del diritto europeo su quello nazionale e addirittura su quello costituzionale. Ma chi l’ha mai detto? Dove è scritto?
- La Russa chiede di modificare la Carta per definire il confine tra politica e magistratura. Cosa ne pensa?
Io mi accontenterei di una soluzione alla tedesca: ha visto come sono gelosi in Germania della propria sovranità giuridica? Lì non viene applicata alcuna norma europea che non abbia superato il vaglio della Corte di Karlsruhe. Ma noi italiani siamo abituati a dire che il diritto comunitario è superiore a quello nazionale. Allora che ce l’abbiamo a fare la Costituzione? Non riesco proprio a capirlo. In più, compiamo una cessione di sovranità a buon mercato, quasi gratuitamente, anche perché non è prevista dalla Carta costituzionale.
- Un aspetto negativo di questi due anni di Meloni a palazzo Chigi?
- La riforma del premierato. Per fortuna sembra finita in garage, in un vicolo cieco. Ed è quasi un bene. Ora spero che alla Camera, dove è approdato il testo della riforma, ci siano dei buoni meccanici capaci di rivederne l’impianto complessivo. Sono però tanti gli aspetti che non convincono. È assurdo che quasi sei milioni di italiani che vivono e risiedono all’estero, che spesso non parlano neppure la nostra lingua e sicuramente non pagano le nostre tasse, siano chiamati a votare rischiando di essere decisivi nella scelta di chi governerà il Paese. In più, va ripensata l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Non è necessaria.
- Così toglie il giocattolo a Meloni…
- In realtà in nessun Paese europeo, neppure in Gran Bretagna, c’è l’elezione diretta del premier. Ciò che serve è la definizione dei poteri: il candidato che ha vinto le elezioni, con il suo partito e il suo nome indicato nella scheda elettorale, diventa automaticamente primo ministro. E ha i poteri di sciogliere il Parlamento in caso di crisi e di scegliere i ministri. L’importante sono i poteri, non il sistema di elezione. In ogni caso la scelta sarebbe del popolo che, sulla scheda elettorale, ha barrato il nome del primo ministro. In sintesi: lavoriamo su una buona legge elettorale che garantisca l’automatismo che il candidato che ha preso più voti va a Palazzo Chigi e definiamone i poteri. Tutto il resto complica e non risolve”.
- Come diceva, il premierato ora è finito in garage e sull’onda dello scontro con i magistrati la maggioranza appare intenzionata ad accelerare sulla riforma della separazione delle carriere dei giudici. Concorda?
- Certo, ero giovane quando si cominciò a parlare di separazione delle carriere. È arrivato il momento di farlo. La magistratura si dovrà fermare: non può essere consentita ai giudici la battaglia preconcetta contro questa riforma. È il Parlamento sovrano che deve decidere.
- Lei ha visto all’opera sia Berlusconi che Meloni. Chi è più bravo?
- Meloni è più preparato, conosce molto meglio i dossier, le pratiche, le mosse dentro le istituzioni. Ha una notevole affidabilità: quando si parla con lei si ha l’impressione di parlare con una persona informata che ha studiato il tema.
- Però è ossessionata dai complotti, dalle trame. Spesso le piace passare per vittima. Questo pesa?
- Beh, sa. Se lei fosse stato per anni un escluso, uno messo ai margini, un paria della politica, questa sindrome ce l’avrebbe anche lei. Però è vero che Meloni deve perderla: non ce n’è alcuna ragione, ormai. Governa lei, non qualcun altro. Inoltre dovrebbe stare attenta a farsi sfuggire il freno, come quando filtrano certe chat… Tutto ciò si risolve in un solo modo, facendo le riforme, non minacciandole. Certo, le riforme si fanno meditate, studiate, con tutte le garanzie dovute. Ma si fanno.
- È stato presidente del Senato. Il suo successore La Russa spesso si concede clamorose sortite. Il giudizio?
- Io come presidente del Senato ero famoso perché ero muto sulla politica. I presidenti del Senato, come quelli della Camera, dovrebbero parlare molto poco. E anche il Presidente della Repubblica dovrebbe fare altrettanto, altrimenti si fa finta che c’è un santo e gli altri sono reprobi.
- Dunque, La Russa dovrebbe evitare certe sgrammaticature istituzionali?
- Direi di sì. Fossi in lui sarei più prudente. Ma è anche vero che io ero un professore universitario, mentre La Russa è un dirigente di partito, uno dei fondatori di Fratelli d’Italia. A volte credo che sia impossibile fermarlo. Del resto, è simpatico anche per il suo temperamento.
D Ha detto che anche il Capo dello Stato esterna un po’ troppo…
- Beh, sì. E poi ha una corte mediatica: i silenzi, i moniti, gli avvertimenti, i mugugni. Questo sì che è un potere non definito dalla Costituzione.
- Mattarella eserciterebbe un potere improprio?
- Non sappiamo se è improprio, proprio perché non ben definito. I confini non sono precisati. La figura del presidente è molto ambigua: è stata svolta a volte in modo notarile, in altre con modi maggiormente politici. Ecco perché servirebbe un premierato ben fatto che lasci il capo dello Stato come organo di garanzia e gli tolga tutti i poteri politici che non ha e non deve avere.
- A proposito di presidenti, tra poco si celebrano le elezioni negli Stati Uniti. Lei per chi tifa? Trump o Harris?
- Trump ha mille limiti e mille difetti: si mette le dita nel naso mentre parla, non è educato, ha venature autoritarie. Ma purtroppo questa è l’America di oggi. E Trump ha molte più capacità di Harris per risolvere i problemi fondamentali del mondo moderno, come la guerra in Ucraina e la questione di Israele. In più non è possibile che la lobby democratica formata da Obama, Clinton, Pelosi decida ancora le sorti del Paese.
- La vittoria di Trump darebbe ancora più forza in Europa ai movimenti sovranisti e populisti. Non teme la disgregazione dell’Unione europea?
- No. E non la temo perché l’Ue non si sa cosa sia. Non è né una federazione, né un sovrastato. Tant’è, che l’Ue sta andando verso la soluzione gollista dell’Europa delle Nazioni: una costruzione che tenga come soggetti principali i singoli Stati-nazione.
di Alberto Gentili su Huffpost
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