Mafia-appalti, così Ottaviano Del Turco fu osteggiato dai suoi in Antimafia
«Paventarono il rischio di destabilizzazione», rivelò l’ex presidente della commissione a Radio Radicale.
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Non è la prima volta che il Partito Democratico, inspiegabilmente, va in fibrillazione quando spunta in commissione Antimafia la questione del dossier mafia- appalti e alcune ombre riguardanti l’allora Procura di Palermo quando era in vita Paolo Borsellino. E non si può spiegare nemmeno da un punto di vista ideologico, ovvero il voler attaccare le destre come sta avvenendo attualmente con Chiara Colosimo di Fratelli d’Italia. No. Anche l’abruzzese Ottaviano Del Turco, riformista di sinistra e recentemente scomparso, quando era presidente della commissione Antimafia, ha subito una reazione ostile dal suo stesso partito di centrosinistra nel momento in cui aveva toccato questo stesso argomento. «Paventarono il rischio di destabilizzazione istituzionale», dichiarò Del Turco a Radio Radicale, intervistato da Massimo Bordin il 17 novembre 2004.
La questione è delicata, perché nell’intervista Del Turco ha rivelato alcuni retroscena riguardanti l’audizione del maresciallo Carmelo Canale, collaboratore fidato del giudice Borsellino, avvenuta il 3 settembre 1997. Racconta che l’audizione di Canale fu oggetto di forti tensioni all’interno della Commissione. I membri del centrosinistra si opposero all’ascolto del maresciallo, temendo che le sue dichiarazioni potessero destabilizzare gli equilibri istituzionali della giustizia in Sicilia. Nonostante le resistenze, Del Turco riuscì a organizzare l’audizione, ma fu costretto a un compromesso: Canale venne ascoltato in una seduta riservata del comitato di presidenza, anziché in una sessione plenaria della Commissione.
L’ex presidente ricorda come l’audizione si svolse in un’atmosfera tesissima, con Canale fatto entrare da un ingresso secondario, quasi clandestinamente. Ma non solo. Durante la testimonianza, Del Turco dovette intervenire per impedire che Canale facesse i nomi di due magistrati palermitani riferiti dalla moglie del maresciallo Antonino Lombardo, ritrovato senza vita nella sua auto nella caserma dei carabinieri di Palermo il 4 marzo 1995. Del Turco, come spiega lui stesso a Bordin, pregò Canale di non fare quei nomi. Il motivo? «Nel caso sarebbe stato obbligatorio, sulla base dell’articolo 11 del Codice di procedura penale, trasferire tutta la documentazione alla Procura di Caltanissetta che era competente per eventuali reati commessi dai magistrati di Palermo», ha spiegato.
A questo punto, per comprendere la dimensione del problema, va fatto un passo indietro. Nel momento dell’audizione, Canale era finito nel tritacarne mediatico. Avevano dato notizia, senza ancora essere stato raggiunto da un avviso di garanzia, che era sotto indagine della Procura di Palermo. Il tutto verrà ufficializzato un anno dopo.
Dieci anni di processi, che finiranno in assoluzione nel 2004. Massimo Bordin, durante l’intervista a Del Turco, ha offerto un’interessante chiave di lettura gettando luce sulle complesse dinamiche che hanno caratterizzato i rapporti tra i Carabinieri e la Procura di Palermo nei primi anni ‘ 90. Traccia l’origine di queste tensioni all’inizio, quando il Sole 24 Ore rivelò l’esistenza di un “dossier esplosivo” riguardante i legami tra mafia e appalti, denunciando che la Procura non gli avrebbe dato il giusto peso. Parliamo del dossier mafia-appalti. Questa vicenda riemerse con forza a fine anni ’90, scatenando quello che Bordin definisce un “durissimo scontro” tra le istituzioni. Il capitano De Donno andò a Caltanissetta a denunciare alcuni procuratori aggiunti di Palermo per la vicenda del rapporto mafia-appalti. A loro volta i magistrati querelarono il Ros. Le accuse vicendevoli si conclusero con l’archiviazione dell’allora Gip nissena Gilda Loforti a inizio 2000.
È in quel clima di tensione che si colloca l’audizione del tenente Canale, testimone importante visto che era sempre vicino al giudice Borsellino. Il compianto Bordin suggerisce che la testimonianza di Canale si sia svolta in quel momento particolarmente delicato, quando appunto alcuni settori dell’Arma avanzavano forti critiche alla gestione dell’allora procura palermitana. Non solo. Collega inoltre questi eventi alla tragica vicenda della morte del maresciallo Lombardo, tra l’altro cognato di Canale, sottolineando come queste oscure tragedie si intrecciassero inestricabilmente con le dinamiche istituzionali. E ha ricordato – e Del Turco si è detto d’accordo – come questi eventi si colleghino a vicende successive, contro il generale Mori e il capitano “Ultimo”. Parliamo di un’intervista del 2004. Come sappiamo, le persecuzioni giudiziarie continueranno per altri 20 anni. Resta il fatto che i testimoni dell’Arma che avrebbero potuto dare contributi di verità, da Canale a Mori, erano stati di fatto resi poco credibili. Alcuni, addirittura inattendibili e altri sono morti.
Il maresciallo Antonino Lombardo, altro uomo fidato di Borsellino che fornì un importantissimo contributo per la cattura di Riina, qualche giorno prima di morire era stato al centro di un durissimo attacco, nel corso della trasmissione di Michele Santoro “Anno zero”, da parte dei sindaci di Palermo e Terrasini dell’epoca, Leoluca Orlando e Manlio Mele, che lo avevano accusato di essere un pezzo delle istituzioni al servizio della mafia.
Quando fu trovato senza vita, gli trovarono accanto una lettera-testamento. Ma i figli hanno sempre sostenuto che la scrittura non fosse la sua. Ma soprattutto non hanno mai creduto al suicidio. Sappiamo che Lombardo aveva promesso ad Agnese Borsellino che avrebbe indagato sulla strage di Via D’Amelio. Cosa aveva scoperto? Canale, nel corso dell’audizione, avrebbe offerto spunti investigativi, addirittura stava per fare due nomi di magistrati riferiti dalla moglie di Lombardo.
Il momento più critico si verificò dopo l’audizione. Del Turco rivela a Bordin che inviò immediatamente il verbale alla Procura di Palermo, ma apprese dalle agenzie stampa che i magistrati stavano discutendo se aprire o meno il plico. A quel punto alzò il telefono per parlare con la Procura e chiedere spiegazioni. Spiega che ebbe difficoltà a parlare con i magistrati, perché erano indaffarati. Rivela che è dovuto ricorrere ad altre cariche dello Stato per chiedere spiegazioni. L’allora procuratore Caselli finalmente lo contattò, rassicurandolo che avrebbero aperto il plico. Per competenza, il verbale di Canale sarebbe poi dovuto essere inviato alla procura di Caltanissetta. Ma non è dato sapere se ciò sia avvenuto. Il verbale è tuttora secretato in commissione Antimafia.
Forse è giunta l’ora di togliere i sigilli, soprattutto alla luce delle attuali indagini di Caltanissetta riguardanti l’operato di almeno due magistrati di Palermo di allora. Notizia di questi giorni è che la difesa di Gioacchino Natoli avrebbe trovato la prova che smonta l’accusa: il modulo che ordina la distruzione dei brogliacci e la smagnetizzazione delle bobine è un prestampato usato anche in altri procedimenti di allora. Ma il capo d’accusa è chiaro: secondo i Pm nisseni, l’ex magistrato di Palermo avrebbe chiesto archiviazione e sottoscritto quella richiesta di distruzione, nonostante siano emerse notizie rilevanti di reato. Ma sicuramente, per dire che l’indagine si è sgonfiata (Il Fatto, per la prima volta, dà un grande spazio agli avvocati che difendono persone sotto indagine), avranno ben altro per le mani.
Allo stesso tempo, la commissione Antimafia potrebbe desecretare il verbale Canale, anche per capire se ci siano o meno dei pezzi mancanti, e perché quell’audizione avrebbe potuto creare una crisi istituzionale di alto livello.
Damiano Aliprandi Da Il Dubbio
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