Anno: XXVI - Numero 3    
Lunedì 6 Gennaio 2025 ore 14:00
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Per salvare la sanità pubblica servono 40 miliardi.

Remuzzi, direttore dell’istituto Mario Negri: è quanto spendiamo ogni anno in sprechi e servizi inutili.

Per salvare la sanità pubblica servono 40 miliardi.

Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto Mario Negri, dà la ricetta per svuotare i pronto soccorso ed evitare le file: “sul territorio sono necessari i distretti sanitari che si basano sul medico di famiglia, poi gli “ospedali degli infermieri” che si occupano di chi non può essere curato a casa. E infine gli ospedali solo per i casi più gravi. se a un certo pronto soccorso oggi arrivano 200 persone al giorno, quando ci sarà una buona assistenza sul territorio, quelle persone saranno 40”

Un’indagine recente fatta da Kaiser Foundation — un’agenzia indipendente che si occupa di salute pubblica — rivela che la maggior parte degli americani super-assicurati ha difficoltà ad ottenere quello che serve per curarsi, non trova un accordo con l’assicurazione, intanto la malattia va avanti e servono consulenti per orientarsi nel labirinto delle clausole.

Insomma, da loro è un disastro, da noi ancora no e speriamo di non arrivarci mai. Sarebbe comunque preferibile a mio parere che la salute non sia mai l’occasione per arricchire qualcuno a scapito di altri; se c’è accordo su questo il rimedio non è nemmeno tanto complicato: basta tener fede all’impegno preso con l’Europa nell’ambito del Pnrr, tanto per cominciare, per poi arrivare a qualcosa di più strutturale. Un sogno? Mica tanto, ho provato a tratteggiare l’essenziale nel grafico che trovate in questa pagina.

Si parte dal territorio col Distretto Sanitario una unità organizzativa già in essere, il cui compito principale è quello di pianificare e organizzare i servizi sanitari sul territorio e integrare le attività di prevenzione cura e riabilitazione. La maggior parte di queste attività si fondano sul medico di famiglia, colonna portante del sistema, che deve poter dipendere dal Servizio Sanitario Nazionale (questo è un punto fermo sul quale non transigere, se no crolla tutto il resto). Il medico di famiglia farà prima di tutto prevenzione e quando questa non basta, potrà contare sulla disponibilità illimitata dei letti di casa.

Le cure a domicilio E chi non può essere curato a casa? Per loro c’è la «casa della comunità» che vedrà medici di medicina generale, specialisti, infermieri, assistenti sociali e personale amministrativo lavorare insieme per lo stesso obiettivo; secondo la missione 6 del Pnrr, entro il 2026 le case della comunità in Italia dovranno essere 1.350.

Poi, sempre sul territorio, ci saranno ospedali di prossimità — i piccoli ospedali di oggi — che diventeranno «ospedali degli infermieri»; si faranno carico di tutto quello che gli infermieri fanno egregiamente già oggi (dalle medicazioni ai prelievi di sangue, alle infusioni, alla chemioterapia, alla diagnostica che sarà integrata con sistemi di intelligenza artificiale già largamente disponibili).

Se a un certo pronto soccorso oggi arrivano, poniamo, 200 persone al giorno, quando ci sarà una buona assistenza sul territorio, quelle persone saranno 40: e allora niente più ore e ore di attesa, nessuno che perde la pazienza, nessuno che aggredisce nessuno. I reparti dell’ospedale di quel pronto soccorso avranno sempre i posti che servono per accogliere gli ammalati gravi, un po’ perché dal pronto soccorso le richieste di ricovero diminuiranno e poi perché si potrà contare ancora una volta sull’ospedale degli infermieri dove ricoverare chi ha superato la fase più difficile della sua malattia ma non può ancora essere assistito a casa.

Il lavoro di medici e infermieri va remunerato adeguatamente, si capisce, e qui ci viene in aiuto un editoriale del Lancet : «Il servizio sanitario (quello inglese, ndr) è malato ma si può curare». Loro scrivono fra l’altro: «basta col finanziare un pochino ogni criticità che si presenta, serve una visione globale se no quei soldi si buttano: una volta deciso che servizio vogliamo si deciderà come sostenerlo». E per il nostro cosa potrebbe servire? Quaranta miliardi di euro — solo per portarci al livello di Francia e Germania — sembrerebbe tanto e qualcuno obietterà che non abbiamo tutti questi soldi. Non è così, quei soldi ci sono e li spendiamo già: fra farmaci, interventi inutili e servizi ridondanti sprechiamo ogni anno proprio quaranta miliardi di euro, quanto servirebbe per rimettere in ordine il Servizio Sanitario Nazionale. Evitare gli sprechi è possibile e dovrebbe essere un imperativo morale, ma perché succeda davvero servono azioni concrete e senso civico da parte di tutti […] cos’altro serve perché tutto questo possa realizzarsi?

Qui arriviamo all’aspetto più delicato di tutti: il «governo» del sistema. Direzioni di distretto, assessorati regionali, ministeri, dovrebbero per una volta lavorare insieme due obiettivi semplici quanti ambiziosi migliorare il benessere dei cittadini e ridurre le diseguaglianze. Perché succeda davvero però governo e Parlamento ci devono credere, sottrarsi alla logica degli schieramenti e lavorare insieme, nello spirito della Costituzione, per dare ai nostri concittadini la possibilità concreta di accedere alle prestazioni mediche di cui hanno bisogno nei tempi giusti.

La nuova Sanità Vuol dire che non ci sarà più spazio per la sanità privata?

Niente affatto, il privato-privato (in strutture private) va benissimo; vuol dire che chiunque, pagando di tasca sua, può avere tutto quello che vuole dove vuole. Non solo ma le organizzazioni private dovrebbero venire in aiuto al pubblico dove e quando il pubblico è carente, a condizione però che ci sia una regia: ospedali pubblici e privati che a pochi chilometri di distanza fanno le stesse cose non ce ne dovrebbero essere più e nemmeno ammalati che per avere una prestazione in tempo utile devono rivolgersi al privato.

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