Accesso alla professione forense. Anf: no ai corsi obbligatori per i praticanti
Abolire l’obbligatorietà della frequenza dei corsi di accesso alla professione forense “per garantire la massima libertà di formazione del tirocinante”.
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È questa la posizione dell’Associazione nazionale forense (Anf), espressa dal suo segretario generale, Giampaolo Di Marco, sposando dunque le preoccupazioni dei praticanti avvocati dell’Ordine di Milano che proprio domani, 26 settembre, dovranno sostenere la verifica conclusiva del corso.
L’obbligo di frequenza dei corsi, inoltre, nel nostro Paese grava solo sui praticanti avvocati iscritti al registro dal primo aprile 2022 al 7 luglio 2022: obbligo che non sussiste per i loro colleghi iscritti prima di quella data. Dunque, non solo chi si è iscritto nel registro tra il primo aprile e il 7 luglio 2022 ha dovuto frequentare 18 mesi di scuola obbligatoria (oltre al tirocinio comune a tutti), ma al termine di questo deve anche affrontare una verifica (a Milano fissata per il 26 settembre, ma la data non è la stessa in tutta Italia) il cui mancato superamento è ostativo all’accesso all’esame di Stato.
Il tutto è stato deciso da una recente normativa che i praticanti di Milano giudicano fortemente discriminatoria, tanto da aver scritto al ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Nella lettera si legge, tra l’altro, che questa disciplina è “senza dubbio maggiormente gravosa e penalizzante rispetto a coloro che si sono iscritti prima del 1° aprile 2022. Non soltanto, infatti, abbiamo l’obbligo di frequentare un corso obbligatorio di durata pari a 18 mesi”, ma “il rilascio del certificato di compiuto tirocinio, e quindi la possibilità di essere ammessi all’esame di stato, è per noi subordinato al previo superamento di una verifica che si pone quale prova aggiuntiva rispetto all’esame di abilitazione”.
Per Di Marco “esiste concretamente il rischio che l’attuale disciplina risulti discriminatoria”. Il segretario generale dell’Anf, piuttosto, è convinto da sempre che la formazione per l’accesso alla professione debba vedere innanzitutto “fortemente coinvolte le Università. Ritengo fondamentale il tema della motivazione culturale nell’approccio allo studio del diritto”. Più che sui corsi obbligatori, l’Anf si focalizza sul tirocinio sostenendo la necessità “che l’Ordine degli Avvocati valuti non solo il percorso formativo e lavorativo del tirocinante tramite le relazioni semestrali redatte da quest’ultimo, ma anche l’idoneità e la completezza dell’offerta formativa e professionale dell’avvocato presso cui si svolge il tirocinio, che dovrebbe essere parimenti obbligato al deposito di relazioni semestrali”.
Un modo, spiega Di Marco, “per evitare che il tirocinante venga sottomansionato o, all’estremo opposto, sfruttato”. Strettamente collegato al rispetto del suo ruolo e a un percorso che sia davvero formativo per il praticante, c’è un altro tema caro all’Anf: quello della “obbligatorietà del compenso in favore del tirocinante sin dal sesto mese di pratica, al fine di tutelare la dignità del tirocinante e garantire l’accesso alla professione dei migliori e dei più meritevoli. Tale obbligo dovrebbe essere oggetto di specifica verifica nella relazione semestrale del dominus, che dovrebbe provare di corrispondere al tirocinante un compenso idoneo in relazione all’apporto dato allo studio dal tirocinante”. Questi, insomma, secondo l’Anf i campi su cui lavorare e incidere “anziché- conclude Di Marco- corsi di formazione obbligatori che introducono regimi diversi tra i praticanti. Il legislatore ci ripensi“.
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