Anno: XXVI - Numero 2    
Venerdì 3 Gennaio 2025 ore 14:30
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Alemanno andrebbe risarcito per quello che ha subito. Non punito

L’ex sindaco di Roma è finito in cella la notte di Capodanno per aver violato l’affidamento in prova dopo la condanna per “traffico di influenze illecite”.

Alemanno andrebbe risarcito per quello che ha subito. Non punito

Ma che cosa è, antifascismo militante, o è tornata la mafia a Roma, come ai bei tempi del procuratore Pignatone? E così Gianni Alemanno va a finire in carcere, probabilmente per sua sbadataggine o eccesso di sicurezza di impunità sulle regole, per un’inchiesta tanto strombazzata quanto assurda di dieci anni fa, che riguardava il mondo della sinistra della Regione Lazio, e per il reato più inconsistente e indimostrabile, il “traffico di influenze illecite”. Avrebbe violato le disposizioni dell’affidamento in prova con cui l’ex sindaco di Roma stava scontando presso l’istituto delle mitica sportivissima suor Paola, la pena di un anno e dieci mesi, condannato perché avrebbe aiutato i due principali protagonisti dell’inchiesta, Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, a riscuotere un credito. Le condanne avrebbero dovuto riguardare altri, piuttosto che il mondo della destra, lo possiamo dire tranquillamente, anche se la giustizia e i processi sono andati in un certo modo.

Prima di tutto ricordiamo quell’allarme che aveva fatto il giro del mondo, perché la procura guidata da Giuseppe Pignatone aveva raccontato che la città di Roma era diventata il centro nevralgico delle cosche. “Mafia capitale”, si era chiamata l’inchiesta, e ci vorrà la “santa” Cassazione per rimettere tutto sulle gambe del diritto e del buon senso. Ma intanto ci pare che, oltre a un mancato risarcimento reputazionale dovuto all’intera città, nessuno abbia mai chiesto scusa a Buzzi e Carminati per quei cinque anni trascorsi nelle carceri speciali, trattati da mafiosi. E poi non possiamo dimenticare quante carriere di giornalisti, scrittori e registi con le loro fantasie e magari i loro desideri, hanno anticipato la nascita dell’inchiesta giudiziaria. Cose da professionisti dell’antimafia, che hanno bisogno che le cosche ci siano sempre per poter giustificare la propria stessa esistenza e il proprio impegno di lottatori. Da questo punto di vista le sorti stesse di quelli che erano stati i protagonisti del 2015 e gli esiti processuali, ci mostrano l’arresto di Alemanno nella notte di Capodanno quasi come un gesto di antifascismo militante, più che di giustizia.

Eppure tutta quanta la vicenda, una volta spogliata della veste di mafiosità , avrebbe dovuto semplicemente disvelare le cricche e le manovre spartitorie nelle gare d’appalto della Regione Lazio, tra correnti e sottocorrenti, che si erano sviluppate in un certo mondo della sinistra. Prassi che uno come Salvatore Buzzi conosceva molto bene perché ne era stato protagonista, e che aveva invano raccontato, ammettendo i propri reati, ai procuratori. Risultando assolto, insieme agli altri colpevoli. Ma di cui le sentenze non parlano, così come non si sa nulla, se non attraverso qualche articolo di giornale, di esponenti politici del Pd che dicono al telefono di esser andati a parlare con un procuratore, o del presidente della Regione che si incontra in via riservata con un membro del Csm, tal Luca Palamara. Il quale lo confermerà molto tempo dopo, in un’intervista. Difendersi “nel” processo o “dal” processo? Ah, saperlo!

Che cosa c’entra Gianni Alemanno con tutto ciò? Con piccole squallide cose di piccoli uomini? Poco o nulla. Perché niente ha mai avuto a che fare con i sogni dell’antimafia militante, di denunciare la mafiosità romana. E anche perché non era un corrotto, come la procura riteneva, sbagliando. Niente mafia, dunque, niente corruzione. Solo il reato più sfuggente del codice penale, quello voluto dalla sciagurata Legge Severino, il traffico di influenze. Le raccomandazioni, insomma. Perché Alemanno avrebbe aiutato Buzzi e Carminati a riscuotere un credito. Un anno e dieci mesi di pena da scontare aiutando qualche ragazza madre o qualche famiglia in difficoltà. Ha “bigiato” come si faceva a scuola, saltando qualche appuntamento con suor Paola, l’ex sindaco di Roma? Peccato meno che veniale, se lo ha commesso, se pensiamo al calderone maleodorante che è stato il processo da lui subito e alla sua condanna ingiusta per un reato che non dovrebbe neppure esistere. E allora, signori giudici di sorveglianza, perdonate il peccato veniale, se davvero c’è stato, perché Gianni Alemanno andrebbe risarcito, prima che punito.

Tiziana Maiolo

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