Cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte di cassazione
Intervento del Presidente del Cnf , Francesco Greco
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Nel nostro Paese è in corso un significativo cambiamento delle regole del sistema giudiziario. Le norme approvate con la c.d. Riforma Cartabia, oltre che quelle imposte per raggiungere gli obiettivi assegnati con il PNRR, per finire recentemente con quelle inserite nella legge di bilancio per il 2025, hanno profondamente inciso sulla giurisdizione.
Con la legge di bilancio 2025 – attraverso la leva fiscale – il legislatore ha dettato regole sulla proponibilità delle azioni giudiziarie e, addirittura nel processo amministrativo, si è spinto ad introdurre una “sanzione” economica, quale contropartita all’inammissibilità del ricorso, nell’ipotesi in cui il difensore abbia scritto difese eccessivamente lunghe senza a ciò essere stato “preventivamente” autorizzato dal Giudice.
Il processo, come sappiamo, tende all’accertamento della verità processuale, piuttosto che a quella storica. Tuttavia, pur comprendendo il compromesso di un processo che sebbene riguardi “diritti” si accontenta di ciò che promana dagli atti processuali, ci si domanda se sia compatibile che il percorso verso la verità, seppur processuale, passi per le strettoie di regole procedurali oggi divenute estremamente stringenti, quasi asfittiche, oserei dire.
Ritengo, quindi, sia giunto il momento di domandarci se il principio costituzionale del “giusto processo”, di cui all’art. 111 Cost., trovi attuazione innanzi la giurisdizione italiana o se, invece, dai suoi principi ci si è consapevolmente allontanati.
Interrogativo che, purtroppo, ha trovato risposta – ahimè negativa – anche nella lettura del saggio illuminato, di qualche anno fa, del prof. Giovanni Verde.
Nel suo saggio (Il difficile rapporto tra giudice e legge, Napoli, 2012, pag. 12) Giovanni Verde scrive che è ormai irrinunciabile “ … verificare se la nostra Costituzione, nel momento in cui ha … previsto … la possibilità del ricorso per cassazione contro qualsiasi sentenza e contro qualsiasi provvedimento sulla libertà personale, abbia costruito questo ricorso solo come «occasione» per rendere possibile ai supremi giudici di svolgere la funzione di garante della corretta … e uniforme applicazione della legge, ovvero se … (ndr. aveva) pensato al rimedio (ndr. del ricorso per cassazione) come strumento di giustizia del caso singolo … “.
L’eccessivo numero di ricorsi per cassazione che vengono presentati, superiore a 30.000 all’anno nel civile e ancor di più nel penale, condiziona il funzionamento della Suprema Corte. Questa situazione ha raggiunto livelli d’intollerabilità. Tuttavia, essa non può giustificare un giudizio di legittimità rivolto più alla ricerca delle condizioni di ammissibilità che a costituire lo strumento di giustizia dinnanzi il Giudice Supremo di ultima istanza. Peraltro, in un contesto in cui il processo di appello, connotato da preclusioni e divieti, è ormai disegnato come rivolto al mero controllo dell’operato del primo giudice, piuttosto che come ad un procedimento di merito di secondo grado.
Da qui la domanda se il processo italiano risponda al precetto del giusto processo.
Altro tema rilevante, sempre in un’ottica di valutazione del rispetto del principio del “giusto processo” è costituito, con riferimento al processo penale, dalla pressione mediatica, quasi asfissiante, che grava sull’amministrazione della giustizia. Fenomeno iniziato anni fa, con la spettacolarizzazione dei processi in televisione, ma ora ulteriormente aggravato dall’impatto dei social media.
L’art. 111 Cost., al terzo comma, consegna un valore fondamentale affermando “la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico”.
La disposizione costituzionale viene violata con una frequenza da assurgere a carattere di sistema. Occorre, dunque, domandarsi come conciliare i principi del “giusto processo” con un sistema in cui il processo si svolge nell’arena dei media, prima che nelle aule di giustizia.
Non si tratta, è chiaro, di mettere in discussione la libertà di stampa e di informazione, presidi irrinunciabili dello Stato di diritto e, come tali, di democrazia e libertà. Però, la fondamentale necessità dell’informazione, anche quale forma di partecipazione della società civile ai fenomeni sociali, va contemperata con il giusto processo. Una cosa sono l’informazione e la libertà di stampa, altro sono la bramosia mediatica dei social media o gli indici auditel delle trasmissioni televisive di gossip.
L’Avvocatura chiede una seria riflessione su questo argomento.
Altro tema sempre riguardante il “giusto processo” è rappresentato dal dibattito sull’intelligenza artificiale applicata alla giurisdizione.
L’ingresso della tecnologia in tutte le discipline del genere umano è inarrestabile e non possiamo che gioirne.
Però, è “giusto”, nel senso costituzionalmente orientato, il processo governato dall’Intelligenza Artificiale? Non nella parte organizzativa, ovviamente, né in quella che concerne l’approfondimento dello studio degli atti. Mi riferisco, invece, alla redazione dei provvedimenti giudiziari. Perché qualcuno, per la redazione dei provvedimenti, l’intelligenza artificiale ha iniziato ad usarla, come soltanto sottovoce ha il coraggio di ammettere.
È ammissibile affidare il processo decisionale e motivazionale all’algoritmo, piuttosto che solo alla potenza della mente del giudice?
Desidero, sul punto, esprimere apprezzamento alla Prima Presidente della Cassazione per la posizione più volte espressa ed anche al Ministero della Giustizia, per l’avvenuta costituzione dell’Osservatorio Permanente per l’uso dell’Intelligenza Artificiale.
Non occorre soffermarsi sulla diversità delle discipline scientifiche rispetto a quelle giuridiche per concordare che laddove si discute della persona, della comprensione della ragione delle scelte del singolo e della valutazione dei comportamenti, la decisione non può essere algoritmica ma frutto del convincimento interiore del giudice.
Solo la forza intrinseca di una adeguata motivazione di ogni provvedimento può garantire il rispetto del giusto processo.
Per questo preoccupa, e non poco, la tendenza alla sinteticità della motivazione, che ha già trovato accesso nel processo civile all’art. 436 bis cpc, a norma del quale il collegio dichiara improcedibile (art. 348 cpc) o inammissibile (art. 348 bis) l’appello con motivazione sintetica; principio di sinteticità e che il c.d. correttivo alla riforma Cartabia (approvato con il D.Lgs 164/2024) ha esteso a tutti i provvedimenti del procedimento civile (art. 121 cpc, art. 46 disp. att. cpc).
Nel processo penale, il riferimento alla sinteticità lo troviamo all’art. 421 cpp, secondo cui il pubblico ministero motiva sinteticamente la richiesta di rinvio a giudizio dell’indagato.
Principi di sinteticità che oggi la “forza pratica” dei sistemi di intelligenza artificiale, unita alla pressante richiesta del rispetto dei ritmi dettati dalla statistica per la riduzione dei tempi, potrebbero portare all’utilizzo dell’I.A. per “sinteticamente” motivare i provvedimenti giudiziari.
L’ Avvocatura auspica che la consapevolezza della magistratura sull’importanza della condivisione delle argomentazioni giuridiche poste alla base di ogni provvedimento non la porti a lasciarsi attrarre dalla lusinga della statistica, a fronte del rischio della perdita della centralità fondamentale della motivazione.
Infine non posso che ribadire la grande preoccupazione, già denunciata in precedenti occasioni, per la situazione carceraria e le condizioni di vita dei detenuti. È stato già registrato il nono suicidio dall’inizio dell’anno 2025. Si tratta di un problema che richiede la massima considerazione. Chi ha violato la legge è giusto che espii la pena, ma nel rispetto della dignità umana.
Allarme, inoltre, suscita la endemica carenza di organico e di strutture degli uffici dei Giudici di Pace, ove viene amministrata la giustizia delle questioni di vita quotidiana dei cittadini.
Ancora una volta, aggiungo, evidenziamo il paradosso provocato dalle riforme del rito civile che, di fatto, hanno chiuso le porte dei Palazzi di Giustizia agli avvocati, e quindi ai cittadini, costruendo un “processo senza il processo”, “un contraddittorio senza contraddittori”.
Le sezioni civili dei tribunali italiani sono vuote ed i cittadini hanno perso consapevolezza di come viene amministrata la giustizia. Il Giudice è diventato una realtà invisibile, intangibile.
L’abuso – perché di questo si tratta – del sistema della trattazione scritta nel processo civile, colpisce il contradditorio ed il diritto di difesa.
Nel processo penale, pur comprendendo le disfunzioni che inevitabilmente insorgono nella fase di avvio della trasformazione da un processo cartaceo ad uno telematico, non si può non evidenziare la grande preoccupazione per un sistema che si è dovuto fare partire, perché imposto dagli obiettivi del PNRR, quando gli uffici, nel loro complesso, non erano pronti.
Non si può porre a carico del difensore il rischio del mancato funzionamento del sistema del processo penale telematico.
Non si gioca con la libertà delle persone.
Non posso concludere questo mio intervento senza ricordare che quest’anno l’inaugurazione dell’anno giudiziario coincide con la “Giornata internazionale dell’avvocato in pericolo”, istituita perché gli avvocati, che dei diritti umani sono i naturali difensori, in quanto identificati con i loro assistiti, subiscono intimidazioni, minacce, arresti e condanne arbitrarie, per il solo fatto di esercitare la loro professione. Molti colleghi hanno pagato con la vita il loro impegno.
Il Consiglio Nazionale Forense partecipa con propri rappresentanti alle missioni di osservazione dei processi all’estero contro gli avvocati. La presenza di colleghi in tali missioni è nostro motivo di orgoglio ed in questa occasione desidero pubblicamente ringraziarli per l’impegno, esclusivamente volontario, anche a rischio della loro incolumità personale.
Auguro a tutti buon anno giudiziario.
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