Decreto anti-gogna, alla fine il governo sceglie la soluzione soft
Il Consiglio dei ministri vara in via definitiva il testo che attua la “lege Costa”: divieto di pubblicazione esteso a tutte le misure cautelari, ma senza alcuna nuova sanzione per chi viola il precetto.
Via libera in Consiglio dei ministri al decreto anti-gogna ma senza sanzioni per nessuno. In particolare, si legge nello “Schema di decreto legislativo riguardante la presunzione di innocenza e il diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, approvato in via definitiva nel pomeriggio a Palazzo Chigi: “Fermo quanto disposto dal comma 7, è vietata la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”: questa la modifica all’articolo 114 del codice di procedura penale.
Dunque sarà vietato pubblicare per intero o per estratto tutti quei provvedimenti che incidono sulla libertà personale ma anche quelli relativi alla libertà di determinazione nei rapporti familiari e sociali (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, allontanamento dalla casa familiare, etc). Resta la possibilità per il giornalista di raccontare il contenuto dei provvedimenti, secondo però la sua sensibilità, senza poter riportare dunque virgolettati. Per questo molti, persino l’Anm, non la considerano in senso stretto una “legge bavaglio”. Escluse dal divieto le misure cautelari reali, che toccano singoli beni mobili o immobili, come i sequestri. L’estensione era stata richiesta da Forza Italia.
Nella formulazione originaria della norma era previsto solo il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare; tuttavia, adesso, si va oltre, e si recepiscono in parte i pareri, seppur non vincolanti, espressi dalla commissioni Giustizia di Camera e Senato.
Si legge infatti nella introduzione della norma che si emana il decreto dopo aver “acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e viste le osservazioni svolte, che sono state accolte solo in riferimento all’ampliamento del contenuto della norma, ma non all’introduzione di un nuovo apparato sanzionatorio”. Quindi sì all’ampliamento del divieto ma no alle sanzioni.
Le commissioni parlamentari avevano infatti richiesto di ampliarlo anche “ad altri analoghi provvedimenti che, eventualmente, possono essere emessi nel procedimento cautelare, ovvero comunque a quei provvedimenti che, nella loro funzione, comportino una valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e la cui pubblicazione, dunque, produca analoghi effetti sovrapponibili a quelli della sola ordinanza di custodia cautelare”.
Avevano sollecitato pure, escludendo il carcere per chi viola la norma, un ripensamento del sistema sanzionatorio “di modo da conferire effettività al divieto, e costituire un ragionevole argine alla sistematica violazione del medesimo: tanto alla luce della sperimentata ineffettività della attuale sanzione che presidia la violazione del divieto di pubblicazione, dettata dalla fattispecie contravvenzionale delineata dall’articolo 684 del codice penale (che si risolve nella possibilità di estinguere il reato attraverso l’oblazione con il versamento di una somma irrisoria) o dell’illecito disciplinare, raramente perseguito, previsto dall’articolo 115 del codice di procedura penale a carico degli impiegati dello Stato o di persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato”.
La direzione prevista era quella di prevedere multe salate per gli editori, come auspicato in audizione, tra gli altri, dall’Unione Camere penali. Ma ha prevalso la linea opposta di Palazzo Chigi e di via Arenula, in particolare dei due Uffici legislativi, convinti che prevedere anche delle sanzioni avrebbe portato il governo ad andare fuori dei parametri delega. È possibile che le sanzioni verranno inserite in altro provvedimento riguardante la giustizia. D’altronde, al di là delle controindicazioni di natura tecnico-giuridica, anche Fratelli d’Italia, e soprattutto il sottosegretario Andrea Delmastro, aveva spinto, a un livello più politico, per escludere o almeno mitigare le sanzioni.
Il provvedimento era stato approvato in via preliminare il 4 settembre scorso, per essere trasmessa poi alle Commissioni giustizia di Camera e Senato per i pareri. Si tratta di un provvedimento condiviso dal Ministero della Giustizia e dalla stessa premier Meloni che hanno optato una linea più morbida per evitare uno scontro troppo acceso con le associazioni di categoria della stampa.
Intanto è stato sottoscritto un protocollo dal presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti lombardo, Riccardo Sorrentino, dal presidente dell’Ordine degli Avvocati, Nino La Lumia, dalla presidente della Camera Penale di Milano, Valentina Alberta, dal procuratore Marcello Viola affinché le ordinanze di custodia cautelare che hanno “interesse pubblico” siano diffuse ai media. «I giornalisti – ha spigato Roia – potranno chiedere accesso a una copia dell’ordinanza, o anche ai decreti di sequestro e alle sentenze, dopo che ne avranno avuto conoscenza gli avvocati, evitando le rincorse per avere il testo presso singoli magistrati e avvocati».
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