E la giudice ordinò: «Basta videoprocessi, si va in aula!»
Da mesi l’avvocatura denuncia i guasti della giustizia on line, ora la presidente del Tribunale di sorveglianza di Trento rompe il silenzio
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«Difficoltà tecniche dovute sia ai problemi di connessione legati a sovraccarico delle linee e alle interferenze della strumentazione che alla frequente scarsa dimestichezza con lo strumento informatico». L’oggetto della critica è ormai noto a tutto il mondo della giustizia: Microsoft Teams, la piattaforma utilizzata da tutti i tribunali d’Italia per svolgere le udienze da remoto. A scrivere queste parole in un documento ufficiale non è però un esponente del mondo dell’avvocatura, la quale, in questi mesi, ha fortemente criticato la smaterializzazione del processo e la perdita della sua fisicità. A mettere nero su bianco le difficoltà vissute nelle aule di giustizia è il presidente del tribunale di Sorveglianza di Trento, Lorenza Omarchi, che ha certificato l’inidoneità del sistema a fronte delle esigenze di giustizia.
Il documento in questione è un ordine di servizio datato 15 gennaio, due semplici pagine che però rafforzano i dubbi espressi per mesi dall’avvocatura, prendendo le mosse dalla proroga delle norme emergenziali. Proroga che, per avvocati, magistrati, giudici e personale di cancelleria significa meno presenze in aula e più lavoro da remoto, con tutto ciò che ne consegue per le garanzie di difesa. Tali norme implicano che «la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate, è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del ministero della Giustizia». Le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono dunque essere tenute mediante collegamenti da remoto sfruttando, appunto, la piattaforma Microsoft Teams.
Ma il giudice Omarchi evidenzia qualcosa di molto significativo: già la scorsa primavera, si legge nell’ordine di servizio, la partecipazione delle parti tramite video collegamento da remoto ha evidenziato difficoltà tecniche, così come anche in tempi più recenti, quando «si sono ripetute le difficoltà tecniche di collegamento imputabili sia alla linea Rug ( Rete unica della giustizia, ndr) in uso negli uffici giudiziari che al sovraccarico della stessa». Problemi di connessione che, soprattutto nel corso delle ultime due sedute collegiali, hanno reso necessaria la ripetuta sospensione dell’udienza, fino alla totale rinuncia di proseguire da remoto, costringendo, dunque, gli esperti del tribunale di Sorveglianza a raggiungere con urgenza l’aula d’udienza di fatto per tenerla dal vivo, con regolare costituzione del collegio.
Da qui la necessità di ridurre al minimo non le udienze in presenza, così come la normativa emergenziale vorrebbe, bensì quelle da remoto, forti anche del potenziamento delle misure di protezione per ridurre il rischio di infezione, ovvero la disinfezione delle postazioni dopo la trattazione di ogni procedimento, mascherine, schermi in plexiglas, scaglionamento dei procedimenti, video collegamento da remoto per i detenuti, diversa modalità di accesso all’aula da parte dei difensori e loro assistiti, «aumentando il numero di schermi divisori e provvedendo ad un ulteriore distanziamento delle postazioni riservate alle parti processuali».
Al tribunale di Sorveglianza di Trento, dunque, si cambia musica: fermo restando l’obbligatoria partecipazione da remoto per i condannati in stato di detenzione ( sempre che l’istituto di pena sia effettivamente in grado di garantire il collegamento), fino al 30 aprile prossimo, recita l’ordine di servizio, le altre udienze si svolgeranno con la presenza di presidente, magistrato di sorveglianza, esperti, pm, difensori di fiducia e d’ufficio e assistiti, con orari di chiamata «opportunamente scaglionati» per evitare assembramenti. E solo in caso di necessità — e con il giusto preavviso — sarà possibile partecipare da remoto tramite Teams, con la presenza, nello stesso luogo, di difensore e assistito. I difensori dei condannati potranno decidere sia di partecipare in aula o tramite videocollegamento in carcere, vicino al proprio assistito. Insomma, un tentativo di tornare alla normalità ( e di salvare il processo dalle storture dovute alla pandemia) che parte dal basso, da chi le aule le pratica ogni giorno.
D’altronde, il giudizio dell’avvocatura, specie i penalisti, è chiaro: il processo penale è incompatibile con una dimensione che non sia quella fisica. L’oralità è il punto di contatto tra il giudice e la fonte di prova, «così da poter percepire direttamente egli stesso elementi irripetibili e non riproducibili in un verbale o in una trascrizione e che non potranno essere colti tramite un collegamento via etere da remoto, quali il tono della voce, il contegno tenuto, le eventuali incertezze o esitazioni, tutti elementi necessari e imprescindibili per vagliare la credibilità del dichiarante e, quindi, per accertare correttamente il fatto e giungere ad un equo giudizio», si legge in un documento della Commissione linguistica giudiziaria della Camera penale di Roma. E non si tratta di un principio astratto: anche la Corte di Strasburgo riconosce e garantisce il principio di oralità e immediatezza «in quanto espressione del diritto dell’equo processo», affermando che «coloro che hanno la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o l’innocenza degli accusati devono in linea di principio essere in grado di sentire i testimoni e di valutare la loro attendibilità in prima persona. La valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che di solito non può essere soddisfatto da una semplice lettura delle sue dichiarazioni». Insomma: la compresenza nel medesimo luogo fisico, per la Cedu, è fondamentale affinché possa parlarsi di giusto processo.
Tratto da Il Dubbio
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