È la più grave crisi della magistratura della storia repubblicana
Caso Palamara, l’intervento del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Pasquale Grasso
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Siamo oggi riuniti, lo sappiamo tutti, in conseguenza delle notizie di stampa, e degli accadimenti successivi, relative alle condotte attribuite a colleghi magistrati e a consiglieri ed ex consiglieri togati del CSM. Siamo venuti a conoscenza, attraverso gli organi di stampa, di condotte variegate e differenziate, e di rapporti, relazioni, contiguità con esponenti politici. Le notizie di stampa delineano una situazione che, ove pienamente confermata, disegna uno dei più gravi momenti di crisi della magistratura della storia repubblicana, per il nocumento arrecato all’organo di autogoverno della magistratura. Siamo qui riuniti per capire, per confrontarci, per aiutarci reciprocamente, confido. Ho il peso, eppure la fortuna, di parlare per primo. Questo mi consente, senza intendere in alcun modo indirizzare la discussione, di sottoporre a tutti i magistrati – finalmente senza mediazioni possibile fonte di fraintendimento – la mia posizione personale. Nessuno si permetta di dire una volta di più che io minimizzo. Sono giorni che mi riscopro colto da una rabbia nera che mi incupisce, che oscura ai miei occhi la luce di giornate altrimenti luminose. Mi impongo allora una disciplina di autocontrollo. Perché sento nella carne viva il compito di rappresentare tutti i magistrati italiani, che meritano una rappresentazione di equilibrio, rigore intellettuale e serietà. Mi rimproverano spesso di essere verboso, di scrivere e parlare cercando e creando nessi e correlazioni logiche non immediatamente fruibili. Me ne sono reso conto in maniera urticante negli ultimissimi giorni. Allora ne approfitto, lo ripeto, per cercare di parlare in modo chiaro, diretto, senza mediazione altrui, nemmeno dei benemeriti organi di informazione. Io ho una fissazione. E ho tentato di renderne partecipi tutti fin dal giorno del mio insediamento come presidente dell’Anm. È una fissazione che si può condensare in un avverbio e una locuzione: insieme, e la politica non è il male.Insieme, è l’avverbio con il quale sintetizzo il concetto secondo cui non esistono, come entità separate, i cittadini, i politici, i magistrati – oppure il popolo, la politica, la magistratura – perché siamo tutti, insieme, lo Stato.La Politica non è il male. È quella parola che, dico spesso, scrivo con tante P maiuscole, perché è l’essenza della partecipazione democratica alla vita del Paese. Quando inizio questi percorsi di ragionamento, mi appassiono e mi perdo e poi mi ritrovo. Di solito finisco per analizzare i rapporti tra Politica e Magistratura. Parlo della separazione dei Poteri, parlo della fisiologia dei rapporti tra questi due poteri. E finisco per ricordare il fatto che uno dei luoghi, forse il più importante, della composizione del rapporto tra questi Poteri è il Csm. E lo faccio spiegando che proprio la struttura della composizione di questo organo di rilevanza costituzionale, costituito di membri togati e di estrazione politica, sancisce la positività, la doverosità di un rapporto sano tra detti Poteri. Adesso vorrei far leva sulla abitudine di tutti alla percezione visiva. Immaginate sopra di me, qui e subito, un’enorme scritta rossa, due paroline scritte in caratteri grandissimi:quel rapporto, sano, quella occasione di scambio e confronto di cui parlo, deve svilupparsi nel consiglio superiore della magistratura. L’irrinunciabile centralità del consiglio, che deve essere mantenuta e, se attenuata nel recente passato, assolutamente recuperata. Il consiglio deve essere la irrinunciabile e non modificabile sede decisionale degli esiti del confronto tra politica e magistratura in materia di autogoverno. E deve tornare a essere, secondo la sensibilità urlata, direi, in tante assemblee locali di magistrati, anche la sede del confronto stesso. È ciò che negli scorsi giorni ho sintetizzato – mi rendo conto eccessivamente – parlando di comprensione dei limiti e autolimitazione delle condotte. Ma le notizie di stampa ci dicono altro. Ci raccontano di una cosa talmente grave da aver oscurato gli occhi dei giudici di tutti i giorni. Ci viene raccontato di una cessione di sovranità. Di una compromissione dell’autogoverno, oggetto di trattative, riunioni, accordi, confronti, posizionamento di pedine come su una scacchiera. Trattative che riguardavano la nomina dei dirigenti di uffici giudiziari. Condotte attuate da chi avrebbe (in tesi d’accusa, come riferita dalla stampa) avuto responsabilità di autogoverno insieme a soggetti, politici noti, estranei a compiti di autogoverno e finanche imputati di gravi reati da parte degli stessi uffici giudiziari di cui si sarebbe discusso. Adesso tornate a immaginare una scritta ancora più grande di quella di prima; ancora una volta due paroline scritte a caratteri cubitali: NO. Se quanto ho sopra esposto è vero, i magistrati, l’Anm deve urlare un fermo No. Non lo consentiamo. No, non è ammissibile. No, lo combattiamo. Noi difendiamo il Consiglio Superiore della Magistratura. Noi difendiamo i magistrati. L’Anm rifiuta di considerare come normale una rete di relazioni esterna al Csm, soprattutto quando questa rete coinvolga soggetti imputati dalla procura della Repubblica della nomina del cui direttivo si parla, stando alle notizie riportate. La fisiologia dei rapporti tra consiglieri e politica, lo ripeto ancora, deve avvenire all’interno del Csm. Io sono arrabbiato, incazzato, per il fatto di dover anche solo immaginare le possibili conseguenze negative per tutti, che potrebbero derivare da una tale violazione dei più elementari doveri di comportamento del magistrato normale, figuriamoci di un consigliere del Csm. Ho detto prima. Quel grande SE che incombe sulla mia testa. Se noi siamo e vogliamo rimanere dei magistrati. Se non vogliamo trasformarci in una bestia cieca in cerca di violenza purificatrice e autoassolutoria. Se vogliamo mantenere il rigore della nostra professione e modulare la reazione ai fatti e alle eventualmente differenti responsabilità. Se accettate queste premesse fatte da chi – perdonatemi l’inevitabile autocitazione – si ritrova in questi momenti a farsi carico, nella funzione di Presidente Anm, delle conseguenze degli eventuali errori di una generazione di magistrati alla quale non appartengo, non tanto per età anagrafica, quanto per condotta personale e intransigente convinzione di moralità. Se accettate tutto questo, dicevo, non possiamo accontentarci di notizie di stampa. Allora ritorna la scritta insieme. Ebbene, in una situazione senza precedenti come questa, il Csm deve reagire insieme ai giudici di tutti i giorni. E allora, vi confesso, non mi accontento di quel che ho sentito e visto ieri. E vi invito a non accontentarvi. A richiamare il Consiglio, e i componenti del Consiglio, a reagire insieme a noi. I colleghi consiglieri che sarebbero coinvolti si sono autosospesi e, per quel che mi risulta, non avrebbero fornito spiegazioni, smentite, chiarimenti. Gli altri consiglieri hanno manifestato apprezzamento per detta decisione di autosospensione. E poi ?Io ritengo, e vi propongo, di chiedere che il Csm condivida con l’Anm, con i magistrati, gli atti ostensibili dell’indagine rivelata dagli organi di stampa, per permetterci di capire, discernere, valutare. Io vi propongo di chiedere ai colleghi coinvolti di smentire, confermare, spiegare, distinguere. Così che potremo mantenere la nostra dignità di magistrati e cittadini; reagire in modo conforme alle condotte. E chiarisco, perché comunque, nonostante le intenzioni, ho parlato tanto. Chi avesse davvero partecipato a un tale sviamento della funzione – uso volontariamente una locuzione poco impegnativa – non potrebbe essere un mio rappresentante nell’organo di autogoverno dei magistrati. Dovrebbe seriamente pensare alle dimissioni. L’autosospensione non basta. Ma è troppo facile, perché scontata, la pars destruens. Siamo oggi qui, soprattutto, per impostare e promuovere – con una reazione di alto profilo istituzionale e morale – un cambio di passo per difendere l’indipendenza della magistratura. Sono sicuro che il vostro e nostro maggiore sforzo si concentrerà su questo impegno. E sono ansioso – di un’ansia positiva – di sentire le proposte che vorrete tutti fare al riguardo. Proposte di magistrati consapevoli e maturi. Che come sempre penseranno al bene comune e al miglior funzionamento dell’apparato giudiziario, e dell’autogoverno, nell’interesse di tutti i cittadini. Facendosi promotori di azioni concrete, e rifiutando comunque riforme punitive o reazioni scomposte da parte di chicchessia. Concludo con una affermazione alla quale tengo molto. La Gec di cui sono il Presidente. Ci confrontiamo, discutiamo, litighiamo anche. Ma siamo una generazione di magistrati nuova e in qualche modo spero percettibilmente diversa dal passato; una generazione di magistrati che si impegna per i magistrati normali – quelli che non passano certo la propria giornata a congiurare, a piazzare posti – si impegna per i magistrati normali al di là dell’interesse di corrente. Confido lo faremo per lungo tempo tutti insieme.
Tratto da Il dubbio
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