Giustizia lumaca? Colpa degli avvocati
In commissione giustizia alla Camera parte il ciclo di audizioni sui disegni di legge finalizzati alla riforma della prescrizione. Davigo: «In Francia solo il 50% delle condanne viene impugnato, in Italia tutte»
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La commissione Giustizia della Camera ha avviato un ciclo di audizioni informali nell’ambito dell’esame delle proposte di legge di Enrico Costa, Pietro Pittalis e Ciro Maschio su “Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato”. Le proposte Costa e Maschio propongono di tornare alla riforma Orlando, mentre quella Pittalis all’assetto di disciplina precedente alla riforma Orlando.
Tra i primi ad essere auditi Gianluigi Gatta, consigliere dell’ex ministra Cartabia e ordinario di diritto penale all’Università di Milano che ha dapprima evidenziato come una ennesima modifica stresserebbe il sistema e gli operatori: «I tre disegni di legge si propongono di riaprire per l’ennesima volta il cantiere della prescrizione del reato, un istituto che negli ultimi diciotto anni – dalla legge ex Cirielli del 2005 ad oggi – è stato riformato già quattro volte. È comprensibile il mal di testa di interpreti e magistrati, chiamati a confrontarsi con complesse questioni di diritto intertemporale dipendenti dai quattro diversi regimi della prescrizione succedutisi a stretto giro di tempo».
In merito al ritorno alla legge Orlando ha aggiunto: «Un sistema ben congegnato in una stagione in cui l’obiettivo del sistema era di ridurre le prescrizioni nei giudizi di impugnazione – specie in appello – ma che è oggi del tutto disfunzionale rispetto all’obiettivo del Pnrr di ridurre i tempi del giudizio penale del 25% entro il 2026. Introdurre ora, in piena fase di attuazione del Pnrr, meccanismi sospensivi del corso della prescrizione, legati alle fasi del giudizio, allungherebbe i tempi medi del processo penale proprio mentre lo sforzo del sistema giudiziario è massimamente teso a ridurli». Sempre sulle proposte Costa e Maschio: «Correrebbero nei giudizi di secondo e terzo grado due diversi termini: quello di prescrizione del reato e quello di improcedibilità dell’azione penale. Sarebbero cioè operativi due diversi timer: l’uno, avviato con la commissione del reato; l’altro, avviato con l’inizio del giudizio di impugnazione. È una soluzione certo molto favorevole per le difese degli imputati ma per nulla per le vittime e per le parti civili e, ancor prima e soprattutto, per la funzione naturale del processo, che è deputato all’accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità». Infine, come previsto da Pittalis, «abolire l’improcedibilità, in piena fase di attuazione del Pnrr, sarebbe un suicidio».
Mitja Gialuz, professore di diritto processuale penale presso l’Università di Genova, ha iniziato criticando la proposta Pittalis che ritornerebbe alla ex Cirielli: «Sarebbe un ritorno al passato che ha determinato un aumento delle prescrizioni in appello, che sono – passatemi il termine – “cattive prescrizioni”. Lo Stato ha investito per arrivare ad una sentenza di primo grado e poi tutto verrebbe perso in appello, deludendo le aspettative delle vittime e della società per una decisione di merito». Per entrambi i giuristi, chiamati dal Pd, la soluzione è quella di andare avanti con l’improcedibilità, come «conquista di civiltà».
Enrico Costa ha replicato: «Improcedibilità e prescrizione sostanziale sono complementari ma manifesto comunque una apertura sul mantenimento o meno della prescrizione processuale. Nel caso sarei favorevole a una delle due proposte previste da Lattanzi». Fabio Varone, avvocato e dottore di ricerca in diritto e processo penale presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, si è detto favorevole alla riforma Pittalis. È intervenuto anche Eriberto Rosso, segretario nazionale dell’Unione Camere penali che si è detto d’accordo con tutte le tre proposte nella parte in cui abrogano l’articolo 161 bis cp (il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado). Ha aggiunto: «Occorrerà fare una sintesi delle tre proposte, avendo come obiettivo il ripristino della prescrizione sostanziale ante 2019. Sulla convivenza tra prescrizione sostanziale e processuale riteniamo che quest’ultima non debba prevalere mai sulla prima».
È arrivato poi il momento di Piercamillo Davigo, magistrato in congedo che ha attaccato, come già scritto sulle pagine del Fatto, le cosiddette presunte tecniche dilatorie degli avvocati favorite a suo dire dalla prescrizione: «Se ad una persona viene rubato un libretto degli assegni e questi vengono usati in varie province gli avvocati non consentono di acquisire la denuncia del derubato, costringendolo a testimoniare in ogni sede». Ha poi ricordato che in «Francia solo il 50% delle condanne viene impugnato, in Italia tutte, per non parlare dei ricorsi in Cassazione. In Francia 1000 l’anno, in Italia 90000, considerato anche l’alto numero di avvocati cassazionisti nel nostro Paese». A replicare Costa, che ha ricordato che «la maggioranza delle prescrizioni arriva durante la fase delle indagini preliminari» e inoltre «se non erro circa il 50% delle sentenze di primo grado impugnate vengono riformate del tutto o in parte in appello». Ci chiediamo: Davigo appellerà la sua recente condanna?
Presenti in Commissione anche Giuseppe Santalucia e Salvatore Casciaro, rispettivamente presidente e segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati. Secondo il primo, «cumulare i due meccanismi, della prescrizione e della improcedibilità, a nostro giudizio crea un’incoerenza sistematica. L’improcedibilità è stata la risposta ad una scelta del legislatore del 2019 di interrompere la prescrizione con la sentenza di condanna. I due istituti rispondono a finalità diverse. La compresenza dei due istituti a nostro giudizio è asistematica: o l’una o l’altra
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