Guidare l’avvocatura nel cambiamento, ecco il mio impegno
Intervista alla presidente del Cnf Maria Masi.
Maria Masi è una di quelle figure destinate a lasciare il segno loro malgrado. Rifugge dall’imporre se stessa e persino in questa intervista lo si può vedere. Poi però la sua forza coniugata come di rado capita con la disponibilità e la gentilezza («è la mia spiccata propensione all’accudimento», spiega lei) la rendono sorprendente. E soprattutto suscitano ammirazione, come è avvenuto venerdì scorso, poche ore dopo l’elezione a presidente del Cnf, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, quando anche il presidente Sergio Mattarella le si è avvicinato e le ha rivolto i complimenti per l’intervento.
Lei è la prima donna eletta al vertice del Cnf in cento anni di storia: una innovazione così importante non contraddice la spesso lamentata resistenza dell’avvocatura al cambiamento?
Io stessa ho ricordato, alla cerimonia in Cassazione, la nostra endemica resistenza al cambiamento, legata anche alla preoccupazione di preservare i valori di autonomia e indipendenza. Valori certamente irrinunciabili, ma non per questo incompatibili con la necessità di valutare il cambiamento che è già in atto e non si può ignorare. Il fatto che io sia la prima donna, in quasi un secolo di storia, presidente del Consiglio nazionale forense è segno però della sensibilità che l’avvocatura oggi forse prima e di più rispetto ad altre professioni manifesta sui temi della parità di genere.
E come spiega questa diversa sensibilità rispetto al altre categorie professionali?
Non c’è da meravigliarsi del fatto che nella nostra professione l’esigenza di un equilibrio “di genere” sia forte e condivisa: lo si deve anche all’avvocatura femminile, che da decenni si impegna molto in tal senso. Del resto la nostra funzione sociale, che ci porta a occuparci di temi sensibili, non ultimo quello relativo alla tutela di ogni genere di discriminazioni, ci rende particolarmente attenti e vigili.
Nel discorso inaugurale ha auspicato un nuovo modello di giustizia inclusivo e «solidale», in cui l’avvocatura dovrebbe assumere un ruolo determinante: i tempi sono maturi per questo?
Ritengo che l’avvocatura questo ruolo lo svolga da tempo nonostante i rinnovati e ripetuti tentativi di “contenimento”.
Il “Fatto” insulta gli avvocati, ancora una volta: lo si può spiegare anche con la paura che la classe forense possa davvero imporsi con un ruolo più forte?
Non credo sia questa la lettura giusta: presuppone una valutazione e una riflessione più profonde evidentemente sconosciute a chi, con superficialità e spesso al limite della configurabilità di reati, improvvisa esternazioni opinabili al solo fine di attirare curiosità mediatica e diffondere provocazioni gratuite. Questo modo di fare, questo tentativo reiterato di individuare nell’avvocatura un capro espiatorio, non solo ha stancato ma è inaccettabile. Abbiamo deciso anche per questo di inviare una comunicazione formale al direttore del Fatto quotidiano in cui richiamiamo le sue responsabilità e ci riserviamo di valutare con la massima attenzione se ricorrano gli estremi di altre azioni esperibili.
Come Cnf avete appena inviato una nota al governo sul rischio di incompatibilità fra iscrizione all’albo e incarichi che gli avvocati hanno assunto, o assumeranno, nell’Ufficio del processo o in altri ambiti del Pnrr: qual è l’obiettivo?
Ottenere in tempi rapidi una correzione della norma da parte del governo. La nota è già stata trasmessa e aspettiamo formale riscontro. La norma che consente di essere assunti con contratti di lavoro subordinato senza prevedere espressamente la sospensione dall’albo rispecchia una non adeguata conoscenza, un’approssimazione dettata dalla fretta e dall’urgenza del provvedimento: è noto come la nostra legge professionale allo stato preveda l’assoluta incompatibilità con forme di lavoro subordinato. Il punto è, intanto, il condizionamento evidentemente subito dai colleghi nel momento genetico della scelta se aderire o no ai bandi per l’Ufficio del processo. Si aggiunga l’altra evidente questione, relativa al probabile conflitto di interessi destinato a crearsi se ci si trovasse a patrocinare cause in un contesto sovrapponibile all’incarico pubblico. Si deve trovare una soluzione efficace e tempestiva, e come Cnf non intendiamo lasciare gli Ordini territoriali soli di fronte alle problematiche emergenti.
Lei è stata eletta presidente del Cnf all’unanimità: cosa ha pensato lo scorso 20 gennaio subito dopo il voto?
A mio padre e al fatto che onorerò con il massimo impegno, e nella più ampia condivisione con i consiglieri che hanno inteso rinnovarmi fiducia, il lavoro e le attività che siamo chiamati a svolgere nella parte rimanente del mandato, di cui non sarà sprecato neppure un attimo. Intendiamo coltivare il senso di appartenenza e dare spazio ai contributi costruttivi, accantonando definitivamente le polemiche. Ho la certezza che in parte il nostro impegno sarà ancora orientato e condizionato dalla situazione emergenziale che non accenna a rientrare, ma al contempo c’è la ferma determinazione ad affrontare questioni non più differibili, come l’accesso alla professione e la crisi economica e identitaria dell’avvocatura, temi peraltro protagonisti del prossimo congresso nazionale forense. Avremo cura di sollecitare la partecipazione attiva al dibattito e alle proposte di riforma di tutte le componenti dell’avvocatura istituzionali e associative, perché la sinergia e la condivisione, anche di profili e prospettive diverse, faranno la differenza nel valore e nella qualità. Siamo stati costretti, in questi ultimi due anni, a occuparci di un’emergenza che ha generato anche l’accelerazione di alcune riforme in grado di produrre cambiamenti possibili della nostra professione.
Presidente, c’è un aspetto poco conosciuto del suo modo di essere che lei ritiene importante?
Spero non sembri banale, ma il mio tratto prevalente è una spiccata attitudine all’accudimento che inevitabilmente si riversa in tutto ciò che faccio e che sono.
E viste le tante sollecitazioni, c’è un interesse parallelo che l’aiuta a rigenerarsi?
Più che un interesse, una necessità: il rifugiarmi nella mia personale “caverna”, riservare spazio a una ritrovata esigenza di spiritualità per affrontare il quotidiano.
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