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Il legittimo impedimento assicura parità delle armi alla difesa

Ma nella proposta di legge della senatrice leghista Stefani, l’istituto andrebbe esteso alla giustizia tributaria, lasciata inspiegabilmente “sguarnita”

Il legittimo impedimento assicura parità delle armi alla difesa

Nell’ambito delle riforme in materia di giustizia si segnala la recente diproposta di legge, di iniziativa della senatrice Erika Stefani, della Lega, appena approvato in sede redigente al Senato, con modifiche, dalla commissione Giustizia, che si propone di «introdurre nuove norme a tutela della classe forense in tema di legittimo impedimento».

Si tratta, volendo introdurre l’argomento con riflessioni di più ampio respiro, di un’importante proposta che si inserisce nel disegno riformatore dell’attuale governo nell’ambito della giurisdizione: come infatti costantemente affermato dal guardasigilli Nordio, quest’ultima – per poter funzionare – necessita, in egual misura e con pari dignità, dell’opera professionale della magistratura giudicante, di quella requirente e dell’avvocatura; in questo senso, si colloca altresì la riforma – rectius, battaglia – di introduzione della figura dell’avvocato ( nella sua essenziale funzione difensiva) in Costituzione. Il disegno di legge A. S. n. 729- A si premura – nell’ottica di quell’uguaglianza e parità delle armi di cui sopra – di rafforzare la disciplina del legittimo impedimento del difensore, non solo nella materia penale (l’unica nella quale esiste una disciplina “forte” e altresì una – benché sempre perfettibile – comune coscienza circa l’utilità dello stesso ai fini processuali) ma anche in quella civile (nella quale, invece, esiste una disciplina assai scarna, e “debole”).

In taluni settori, peraltro, il legittimo impedimento del difensore non sembra neanche contemplato, come quello tributario (sul quale anche quest’ultima proposta di legge, invero, tace, laddove ad avviso di chi scrive potrebbe essere proprio questa l’occasione giusta per porvi rimedio). In subiecta materia, infatti, si è consolidato un pressoché granitico orientamento pretorio a mente del quale non sembrerebbe rinvenibile nel processo tributario “un principio (esistente nel processo penale) che imponga il rinvio in caso di impedimento del difensore (le disposizione invocate regolano diverse fattispecie), che sarebbe poi un provvedimento assolutamente discrezionale e censurabile eventualmente solo sotto il profilo motivazionale”, e che “l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’articolo 115 delle disposizioni attuative cod. proc. civ., deve fare riferimento all’impossibilità di sostituzione, venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell’udienza” ( Cass., Sez. Trib., 2 novembre 2011, n. 22713).

A causa della carenza normativa sul punto, infatti, è stata l’opera interpretativa della giurisprudenza a colmare tale vuoto, introducendo progressivamente limiti sempre più stringenti ai fini del riconoscimento dell’impedimento del difensore come legittimo, a totale discapito degli interessi degli assistiti, non solo di natura privatistica (nelle cause civili) ma altresì relative alla libertà personale (per ciò che concerne il settore penale). Proprio l’opera demolitoria della giurisprudenza in materia di legittimo impedimento ha fatto sì che troppo spesso venissero disconosciuti reali motivi di impedimento, sino ad arrivare ad esiti surreali e finanche al limite di violare la “parità processuale” delle Parti; perché se è vero che il legittimo impedimento non può essere utilizzato o trasformato in un suo abuso – circostanza, invero, improbabile atteso che il sistema processuale ha già i suoi anticorpi, come ad esempio la sospensione dei termini prescrizionali – è altrettanto vero che una sua più ampia disciplina e corretta applicazione costituirebbe nient’altro che applicazione di normali principi di civiltà giuridica. Appare, dunque, imprescindibile intervenire, anche con questo piccolo tassello della riforma della giustizia, al fine di riequilibrare l’attuale assetto della disciplina in esame: in altri termini, introdurre puntuali cause di legittimo impedimento in ordine alle quali – se adeguatamente documentate e tempestivamente comunicate (salvi i casi di manifesta imprevedibilità, forza maggiore o caso fortuito) – l’Autorità Giudiziaria non possa avere discrezionalità o, peggio, arbitrarietà di giudizio.

Alessandro Parrotta su Il Dubbio

 

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