Il P. M. che giustifica i maltrattamenti del marito musulmano ci riporta al medioevo del diritto
Ha destato scalpore nei giorni scorsi la notizia che un Sostituto Procuratore della Repubblica di Brescia, Antonio Bassolino, aveva ritenuto di chiedere l’archiviazione nei confronti di un cittadino del Bangladesh accusato di aver maltrattato e minacciato la moglie.
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Per il PM bresciano gli episodi incriminati sarebbero maturati “in un contesto culturale”, quello delle “tradizioni della comunità bengalese”. Così negando un principio fondamentale del nostro ordinamento, stabilito dall’articolo 3 del Codice penale, secondo il quale “la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato”. E dall’articolo 28 delle Disposizioni sulla legge in generale per il quale “le leggi penali e quelle di polizia e sicurezza pubblica obbligano tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato”. E ci riporta nel medioevo, ai tempi delle leggi romano barbariche, quando la Lex Romana Burgundionum o la Lex Romana Visigotorum applicavano un diritto singolare ai cittadini romani che vivevano nel regno dei Burgundi o dei Visigoti. È il principio della “personalità del diritto”, secondo il quale, soggetti dello stesso ordinamento politico giuridico potevano vivere e regolarsi nei rapporti privati secondo leggi diverse che erano quelle della natio cui ciascuno soggetto apparteneva e che portava con sé, quasi attaccate alla sua persona, dovunque si recasse e con chiunque trattasse. “È un principio – osserva Francesco Calasso, illustre storico del diritto italiano – assai remoto nel nostro spirito moderno. Le leggi dello Stato, ai nostri giorni, obbligano indistintamente… tutti i viventi sopra il suo territorio, e quindi anche gli stranieri”, secondo il principio della cosiddetta “territorialità del diritto”.
Che comunque è regola coerente alla necessità dell’integrazione, ogni giorno evocata in Italia da coloro che accettano, anzi auspicano, una immigrazione senza limitazioni. Infatti, Teodorico, re degli Ostrogoti, che intendeva favorire l’integrazione dei popoli del suo regno, aveva stabilito che “et Gothis Romanisque apud nos ius esse commune”
Il Procuratore di Brescia, Francesco Prete, ha preso le distanze dal Sostituto affermando che la Procura “ripudia qualunque forma di relativismo giuridico” e “non ammette scriminanti estranee alla nostra legge”.
E se da un Consigliere laico del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) Enrico Aimi (FI) giunge una critica severa alla decisione del magistrato “per la gravità delle asserzioni del PM che parrebbe giustificare, se non autorizzare, la violenza domestica”, una tesi “assolutamente inaccettabile, soprattutto in questo momento storico in cui assistiamo quotidianamente a forme di sopruso e maltrattamenti a danno di donne”, a difesa del Sostituto si è schierata la locale sezione dell’Associazione Nazionale Magistrati. Il sindacato dei giudici considera, infatti, “gravemente minata innanzitutto la dignità umana e professionale del singolo magistrato coinvolto, la cui cifra personale, culturale e professionale è stata indebitamente messa in discussione”. Ugualmente, per la Camera penale di Brescia, che vede dietro “l’opportunismo propagandistico il preludio di nuove legislazioni emergenziali, che non rispondo ai reali bisogni della società e della giustizia”.
L’idea dell’Anm bresciana e dei penalisti è che le critiche al Sostituto Procuratore cavalchino reazioni emotive legate ai fatti di cronaca. Mi sembra francamente un fuor d’opera, contraria alla politica dell’integrazione che dovrebbe accompagnare l’accoglienza di chi vuol vivere nel nostro Paese. Del resto Roma è stata uno straordinario esempio di accoglienza, ma pretendeva il rispetto rigoroso delle leggi della repubblica e dell’impero.
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