Il processo telematico non taglia i tempi
L’allarme della Corte dei conti sul Civile
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Monito della Corte dei Conti sulla digitalizzazione nella giustizia, importante sì ma non in grado di risolvere una serie di problematiche e di velocizzare i processi. La magistratura contabile, nella relazione della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, si è soffermata sul tema degli “Obiettivi di efficientamento e risultati conseguiti dall’introduzione del processo civile telematico” in riferimento al quinquennio 2016-2021. «L’introduzione del processo civile telematico – scrive la Corte dei Conti – e gli obiettivi di maggiore efficienza legati alla digitalizzazione dei giudizi migliorano solo in parte il rispetto del principio della ragionevole durata dei processi, che appare per lo più perseguibile con adeguata procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie».
Secondo la Corte dei Conti, le novità introdotte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza relative all’ufficio per il processo, modulato sull’esempio anglosassone, e alla sperimentazione dell’intelligenza artificiale nei giudizi sono apprezzabili. Allo stesso tempo si sottolinea che la digitalizzazione dei processi «è un percorso lungo e laborioso», come testimoniano le numerose indicazioni dell’Unione europea sulla riduzione dei tempi della giustizia italiana.
Ma quali sono le cause della lunghezza e laboriosità del percorso di digitalizzazione dei processi? Una di queste risiede in «una legislazione spesso episodica e poco organica, oltre alle difficoltà legate ad un sistema soggetto a costanti aggiornamenti, interventi di reingegnerizzazione e cospicui investimenti per infrastrutture, progettazioni e formazione». Se, evidenzia la Corte dei Conti, «il processo telematico è ormai una solida realtà in ambito civile, permangono ancora ritardi in quello penale». Una situazione complessiva, a detta della magistratura contabile, conseguenza «non tanto all’amministrazione di riferimento, quanto al complessivo percorso di digitalizzazione in atto nel pubblico e nel privato, in un ambito che, per i soli processi civili, ha comunque coinvolto, tra luglio 2014 e dicembre 2020, circa 1,2 milioni di professionisti attivi nel telematico, con più di 56 milioni di atti telematici depositati e oltre 34 milioni di provvedimenti nativi digitali».
Giuseppe Corasaniti, avvocato, professore della Luiss e autore del libro “Data science e diritto “(ed. Giappichelli) condivide quanto sostiene la Corte dei Conti. «Stiamo spendendo – dice al Dubbio -enormi cifre e altre ne spenderemo con il Pnrr. Il problema è che probabilmente ci sono state delle difficoltà non tanto derivanti dai professionisti. Anzi, questi ultimi si sono impegnati tanto. Soprattutto nell’avvocatura italiana c’è una enorme cultura informatica di base. Cosa che è dimostrata non solo dai dati indicati dalla Corte dei Conti, ma anche dall’attività quotidiana che registriamo negli studi legali con l’uso dei software. Sono milioni i professionisti coinvolti. In Italia si è fatto moltissimo e credo che si continuerà su questa strada. In realtà dove si è fatto poco e male ha riguardato il pubblico».
Corasaniti pone all’attenzione un tema centrale e si pone una domanda: dobbiamo adattare il processo telematico alle norme vigenti o sono le norme vigenti che devono essere ripensate? «Il mondo digitale – commenta – ha una evoluzione continua. Uno dei temi su cui ruota la questione della digitalizzazione riguarda, per esempio, la raccolta delle domande processuali e la gestione di portali efficaci. Dobbiamo avere una piattaforma funzionale e funzionante. Su questo, purtroppo, siamo indietro. Mi viene in mente come buona pratica il portale della Cedu, che potrebbe essere facilmente replicato».
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