Italia-Albania, un accordo dalle fragili basi legali
L’intesa sui migranti è «un progetto impraticabile» che rischia di comprimere il diritto di difesa e le garanzie della libertà personale,
Italia e Albania mai così vicine. Il protocollo di intesa in materia di gestione dei flussi migratori intende raggiungere due obiettivi.
Il primo, temporale, coincide con il 2024. Nella primavera del prossimo anno sulla costa del Paese delle aquile sarà costruita, nel porto di Shengjin, una struttura di ingresso e accoglienza temporanea per migranti. Sarà possibile ospitare fino 3mila persone. Il governo stima che il flusso di persone sarà di circa 40mila l’anno e ha precisato che il trasferimento in Albania riguarderà soltanto i migranti salvati in mare dalle navi italiane con esclusione dei minori, delle donne in gravidanza e dei soggetti vulnerabili.
Oltre a Shengjin, sarà costruito a Gjader, nella parte interna, un altro centro che presenterà caratteristiche analoghe ai Centri di permanenza per il rimpatrio. A margine della firma del protocollo d’intesa la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha chiarito che le forze di polizia albanesi si occuperanno della sicurezza delle strutture, garantendo la sorveglianza esterna. La giurisdizione, invece, sarà dell’Italia. Nei centri di Shengjin e Gjader dovrebbero essere gestite le richieste di asilo con tempi non superiori ai trenta giorni. Coloro che vedranno respinta la richiesta di protezione saranno detenuti in vista del rimpatrio nei Paesi di origine.
Il secondo obiettivo che si prefigge l’intesa con l’Albania ha carattere politico. Italia e Albania intendono rafforzare la collaborazione economica. In più l’Italia sarà sempre più impegnata a sostenere l’ingresso di Tirana nell’Unione europea. Un sogno che per il primo ministro Edi Rama potrebbe diventare realtà.
Ma il protocollo tra italo-albanese si fonda su solide basi legali? Secondo l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, no. «Si tratta – dice – di un progetto impraticabile alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione e, soprattutto, a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i Paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti Paesi di origine dei naufraghi, che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure ”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione ed una possibile deportazione».
A tale quadro si aggiungono poi le conseguenze sul diritto di difesa. «Viene compromesso – aggiunge Vassallo Paleologo –, così come le garanzie della libertà personale previste dalla Costituzione italiana, a partire dall’articolo 13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana, dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale».
Vassallo Paleologo, inoltre, non nasconde altre perplessità in merito alla provenienza dei migranti. «Se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel Mare Ionio – commenta -, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da Paesi terzi veramente sicuri? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-Ue, a differenza di quelle sbarcate in Italia, soprattutto, se si tratta di persone che non provengono da Paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza».
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