La riforma non punisce i magistrati ma le degenerazioni correntizie
La presidente della commissione Giustizia del Senato, Giulia Bongiorno. ha fatto approvare al congresso leghista una mozione di sostegno al ddl sulla separazione delle carriere.

«Anche nella magistratura ci sono voci autorevoli a favore della riforma». Giulia Bongiorno, avvocato e presidente della commissione Giustizia del Senato, è convinta che una parte significativa delle toghe, in cuor suo, condivida l’impianto e le finalità del testo Nordio sulla separazione delle carriere, ma non possa dirlo apertamente. Dopo essere salita, domenica scorsa a Firenze, sul palco del congresso leghista per illustrare la mozione di cui era firmataria assieme al deputato Jacopo Morrone, nella quale si chiede al partito di Matteo Salvini di adoperare ogni sforzo per sostenere il cammino della riforma dell’ordinamento giudiziario, ha affidato al Dubbio qualche riflessione supplementare.
«Noi – afferma Bongiorno, – sosteniamo con grande convinzione la riforma e ricordo che alcuni temi erano oggetto di un referendum portato avanti dalla Lega. La mia mozione», prosegue, «si sofferma su vari profili della giustizia e nel mio breve intervento mi sono limitata a ricordare che la riforma è necessaria ed è assolutamente fuorviante parlare di riforma punitiva della magistratura». «Punirà», prosegue la senatrice, «le degenerazioni delle correnti e premierà i magistrati meritevoli che magari sono stati penalizzati dal fatto di non essere iscritti alle correnti». «Unico obiettivo», conclude, «è l’indipendenza e terzietà dei giudici».
Non a caso Bongiorno, parlando alla platea congressuale, aveva sottolineato che a suo avviso «forse non tutti hanno compreso l’importanza di questa riforma» e non aveva lesinato delle stoccate a certi settori delle toghe che si sono resi protagonisti di vicende poco edificanti dal punto di vista della terzietà e dell’indipendenza della categoria, citando alcuni stralci delle ormai famigerate intercettazioni delle chat dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara nelle quali alcuni magistrati sostenevano la necessità di colpire politicamente l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini ( poi difeso dalla stessa Bongiorno nel vittorioso processo Open arms). L’iter della riforma, come è noto, è solo agli inizi: trattandosi di un ddl costituzionale, necessita di una doppia lettura e per il momento è stato approvato in prima lettura a Montecitorio e attualmente è all’esame della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Un cammino lungo, che culminerà quasi certamente in un referendum confermativo, ed è in quell’ottica che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha già iniziato ad insistere sui benefici più tangibili per i cittadini della riforma. «Spero che i tempi siano rapidi», dice al Dubbio Bongiorno, «ma non sono in grado di fare previsioni». «A prescindere dal referendum», prosegue, «è un bene spiegare i contenuti perché ho sentito critiche totalmente disancorate dal testo. Sostenere ad esempio come fanno molti che la riforma colloca la magistratura sotto il potere esecutivo significa criticare una riforma che non c è. È auspicabile dibattere su ciò che c’è nel testo non su questioni inesistenti».
Tra le questioni drammaticamente esistenti e che sono connesse al sistema giustizia e alla sua amministrazione, c’è quello del sovraffollamento carcerario, col conseguente degrado delle condizioni di detenzione. Il numero dei suicidi, negli ultimi anni, è in aumento e la tendenza non sembra poter essere invertita, almeno per il momento. Interpellata su questo, più nelle sue vesti di avvocato che di parlamentare, Bongiorno osserva che «si tratta di un problema grave, anzi direi gravissimo». «Ne siamo tutti consapevoli», aggiunge, «a partire dal ministro. Naturalmente è un problema antico che non si risolve in pochi mesi». «Servono nuove strutture», conclude, «perché altre soluzioni si sono rivelate inutili».
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