L'ex presidente della Consulta Marta Cartabia alla Giustizia e le avvocate sotto i cinquanta "sorpassano" gli uomini
Prosegue la "scalata" di genere nel settore giuridico: nelle aule il 55% è magistrata, ma ci sono difficoltà ancora in Cassazione. in vista il riavvicinamento nel notariato
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Marta Cartabia dopo esser stata la prima presidente donna della Corte costituzionale diventa ministro della Giustizia. La sua nomina è stata annunciata il 12 febbraio dal nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi presentando la lista dei ministri del nuovo governo.
La Guardasigilli Marta Cartabia è nata a San Giorgio su Legnano il 14 maggio 1963. Sposata, con tre figli, Marta Cartabia è professore ordinario di Diritto costituzionale e, nel settembre 2011, è stata nominata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano giudice della Corte costituzionale. Nel novembre 2014 poi la Cartabia è diventata vicepresidente della Consulta e l’11 dicembre 2019 è eletta Presidente della Corte.
Con la nomina della Cartabia a Via Arenula si conferma il trend che vede un profondo riequilibro di genere nel settore che investe la magistratura , l’Avvocatura e il Notariato. Sempre più protagoniste. Il trend di femminilizzazione delle professioni giuridiche non sembra avere inversioni di rotta: nel 2020 gli avvocati iscritti alla Cassa Forense erano per il 48% di genere femminile mentre è già al 55% la percentuale di magistrate in esercizio negli uffici di merito, secondo quanto indicato dal Primo Presidente della Cassazione durante l’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario. Diverso il dato nella Corte presieduta da Curzio: la rappresentanza femminile è limitata al 35%, con un’analoga incidenza nella titolarità degli incarichi direttivi in Cassazione. Attenzione, però, perché la larga preponderanza di donne vincitrici di concorso in magistratura (e tra le iscritte nelle facoltà giuridiche) già prefigura l’innesto di un processo di cambiamento in tutti i gradi di giudizio.
La tendenza non risparmia neanche il notariato. Benché le percentuali siano ancora a favore degli uomini (con 3.222 notai e 1.908 notaie al 1° novembre 2020), anche per questa categoria professionale si osserva un processo di avvicinamento nella rappresentanza di genere per cui dei 1.064 notai tra i 31 e i 40 anni esiste una sostanziale parità di rappresentanza.
Lontani gli anni in cui Lidia Poet si vide annullare la propria iscrizione all’ordine degli avvocati dalla Corte d’Appello di Torino, con sentenza confermata dalla Suprema Corte (fine 1800); il disturbante “fruscio della gonna” non fa più la differenza sull’ammissione al dottorato come accadde negli Stati Uniti a Clara Shortridge Foltz; lontano il ricordo dell’istituto dell’autorizzazione maritale (abolita nel 1919 con la legge n. 1176). Restano però ancora temi pratici di work/life balance, di ampliamento della platea di professioniste attive in specifici settori di specializzazione e non da ultimo la pianificazione della sostenibilità del processo demografico per la cassa di previdenza.
Il numero di uomini e donne iscritti alla Cassa Forense è ormai molto vicino al pareggio. L’ultima rilevazione disponibile (Cassa Forense, dati al 1° gennaio 2020) raccontava di una popolazione professionale composta da 117.500 donne e 127.500 uomini in totale ma con una parità già raggiunta escludendo i pensionati. A livello tendenziale, però, il sorpasso è già compiuto.
Negli ultimi vent’anni l’età media dei professionisti è aumentata di circa 4 anni (44 per le donne – 48 per gli uomini), con una contrazione delle nuove generazioni di avvocati in ingresso. La classe d’età in cui ancora si evince una preponderanza degli uomini sulle donne come presenza in albo è quella tra i 50 e i 54 anni.
Il risultato è evidente: dal punto di vista numerico, la professione tenderà ad essere appannaggio prevalentemente delle donne.
La questione demografica è in molti campi una delle variabili di maggiore rilevanza sulle programmazioni a lungo termine. Lo fa in medicina, dove l’innalzamento della vita media e della sua generale qualità richiedono maggiori attività per malattie tipicamente geriatriche e cronicizzate; lo fa nei conti pubblici, sempre più spesso alle prese con complicati conti tra popolazione, lavoratori e pensionati. Non può che farlo anche nel campo dell’avvocatura e, pur in un quadro maggiormente istituzionalizzato, nella magistratura. A partire proprio dal conto economico della cassa di previdenza.
Le rilevazioni dell’ultimo quadriennio hanno visto la ripresa del reddito prodotto dall’avvocatura. Con il lecito dubbio che l’impatto della pandemia sul complesso panorama dei professionisti legali abbia come minimo fermato questo trend, esisteva già nella scorsa primavera un’attenzione particolare ai riflessi che la composizione della categoria avrebbe generato. In uno degli approfondimenti della Cassa Forense, infatti, esplicitamente si affermava: «il fenomeno della forte femminilizzazione che ha caratterizzato sempre più negli ultimi decenni la professione forense, può costituire un ulteriore elemento di valutazione per gli scenari previdenziali se è vero, come è vero, che il reddito medio delle donne avvocato è pari a poco più del 44% di quello dei colleghi uomini».
Nel 2018 i guadagni degli uomini erano pari al 120% in più rispetto a quelli delle colleghe, anche se la crescita reddituale era molto più veloce tra le avvocate. Non era sufficiente allora, non lo sarà probabilmente nel prossimo futuro, quando il peso dei compensi pensionistici di quella che potremmo definire la “bolla dell’avvocatura” – e dell’aumento abnorme degli iscritti all’ordine – dovrà viaggiare in parallelo con una contrazione nel numero dei legali in attività che versano alle casse e con la corresponsione a una platea più ampia di legali di prestazioni previdenziali come la maternità.
Il governo di quest’onda in arrivo inizia già ora, con una pianificazione oculata delle tutele e degli investimenti necessari per mantenere in equilibrio i conti.
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