Anno: XXV - Numero 214    
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Non punibile l'avvocato che reca offesa nella diffida stragiudiziale

In tema di diffamazione, è configurabile l'esimente di cui all'art. 598, c. 1, c.p. quando l'atto contenente le espressioni offensive sia prodromico a successive iniziative legali (Cass. n. 29322/2023)

Non punibile l'avvocato che reca offesa nella diffida stragiudiziale

In tema di diffamazione, può configurarsi l’esimente di cui all’art. 598, comma 1, c.p. anche quando le espressioni offensive siano contenute in una diffida stragiudiziale, prodromica a successive iniziative legali (Cassazione penale, sentenza n. 29322/2023 – testo in calce).

Il fatto

Un avvocato veniva condannato nei due gradi di giudizio di merito per concorso nel reato di diffamazione ai danni della parte civile costituita in giudizio, per avere offeso la reputazione di quest’ultima, comunicando con più persone tramite una missiva, che la descriveva come “un soggetto pericoloso, senza scrupoli, che si fa lecito inventare contestazioni disciplinari pretestuose rendendo il posto di lavoro terreno minato”.

L’avvocato interponeva, a mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione lamentando erronea applicazione della legge penale, per aver i giudici di merito illegittimamente escluso la scriminante dell’esercizio del diritto ex art. 51 c.p. e comunque per aver escluso la non punibilità ex art. 598 c.p.: ciò, in quanto la frase incriminata andava inserita nel più ampio contesto della missiva con la quale il ricorrente, all’epoca dei fatti difensore di un lavoratore alle dipendenze della parte civile, aveva censurato comportamenti illegittimi di questa (poi seguiti da una denuncia di estorsione e calunnia) consistiti nel rivolgere al proprio dipendente un pretestuoso addebito disciplinare, del tutto infondato, e nel minacciare di denunciarlo per un ammanco di cassa, ove quest’ultimo non si fosse volontariamente dimesso. Si evidenziava, infatti come solo la lettura integrale della lettera avrebbe consentito di far luce sullo scopo della stessa, nella quale si dava atto del fatto che il dipendente intendeva rassegnare le dimissioni per giusta causa alla luce della minaccia estorsiva di licenziamento e della calunniosa denuncia di furto rispetto alle quali aveva, infatti, di seguito agito in sede penale.

Il Sostituto Procuratore generale chiedeva pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.

La sentenza che si annota è di particolare interesse in quanto attiene ai diversi ambiti di applicazione della c.d. immunità giudiziaria di cui all’art. 598 c.p. e della scriminante dell’esercizio del diritto di difesa ex art. 51 c.p.

La prima, come noto, viene ricondotta alle cause di non punibilità in senso stretto, poiché dal tenore della disposizione (secondo cui il giudice può ordinare la soppressione o la cancellazione delle scritture offensive e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale) si desume che il legislatore abbia inteso escludere, ricorrendo i presupposti indicati dall’articolo 598 c.p.., solo l’applicazione della pena, ma non anche l’antigiuridicità penale del fatto.

Ed invero la ratio dell’immunità giudiziaria viene colta nell’esigenza di assicurare la libertà di discussione delle parti contendenti, anche nel caso di offesa non necessaria, ma che si inserisca nel sistema difensivo dei procedimenti con funzione strumentale (

Corte cost. n. 128/1979;

  1. 380/1999), nel senso che le espressioni ingiuriose devono assumere rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata, potendo essere contenute anche in una diffida stragiudiziale, prodromica a successive iniziative legali (

Cass. Sez. V, n. 24452/2019)

Proprio perchè esprime una regola di carattere eccezionale (Corte cost. cit.), l’articolo 598 c.p. viene interpretato in giurisprudenza in termini aderenti alla sua portata letterale, con la conseguenza che le offese non punibili sono solo quelle inerenti il thema decidendum; il diritto di difesa, può invece dispiegarsi, senza essere rigorosamente circoscritto all’oggetto della controversia, nel rispetto dei limiti previsti dall’articolo 51 c.p. che includono oltre al requisito della necessarietà anche il requisito della continenza, tradizionalmente correlato alle modalità di esercizio del diritto di critica. In altre parole, “il fatto che le offese debbano possedere, nel quadro dell’articolo 51 c.p., il requisito della necessarietà per essere scriminate introduce, sul piano strutturale e su quello teleologico, un limite di proporzionalità o, se si preferisce, di strumentalità, rispetto al fine, che giustifica la verifica della continenza espressiva giacchè non esiste alcuna ragione per consentire forme di esercizio del diritto di difesa che si traducano in scomposte aggressione dell’altrui reputazione” (

Cass. Sez. V, 14542/2017).

Orbene, dal distinto inquadramento dell’art. 598 nell’ambito delle cause di non punibilità discende che mentre la natura scriminante dell’esercizio del diritto di difesa ex art. 51 c.p. esclude qualsiasi conseguenza pregiudizievole per l’agente, l’applicazione dell’articolo 598 c.p. prevede la permanenza di conseguenze da reato diverse dalla pena. Pertanto le offese cui si riferisce quest’ultima previsione, proprio per l’antigiuridicità che le caratterizza, sono da considerare sicuramente fuori dalla sfera di attuazione dell’esercizio di una facolta’ legittima collegata all’esercizio del diritto di difesa.

Facendo applicazione delle superiori argomentazioni la Corte, pur ritenendo insussistenti il requisito della necessarietà così come il rispetto del limite di strumentalità (e quindi pur escludendo l’applicazione della scriminante ex art. 51 c.p.), ha evidenziato come non vi fossero dubbi sull’inserimento delle frasi nel contesto difensivo scaturito dalle controversie in corso tra il cliente dell’odierno imputato e il suo datore di lavoro: ciò in quanto l’obiettivo reso palese dalla lettura della missiva era quello di individuare la giusta causa delle dimissioni rassegnate dal lavoratore a fronte di una condotta datoriale lesiva dei diritti del dipendente, in quanto caratterizzata dall’attribuzione di contestazioni disciplinari pretestuose; inoltre le espressioni offensive erano contenute in una diffida stragiudiziale, prodromica a successive iniziative legali intraprese in ambito penale con la denuncia di estorsione e calunnia.

In conseguenza la Corte ha disposto l’annullamento senza rinvio non solo agli effetti penali ma anche agli effetti civili in applicazione dell’art. 538, comma 1, c.p.p. – secondo cui la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile può discendere solo da una pronunzia di condanna sul versante penale – e ulteriormente precisando che “la previsione di cui all’art. 598 comma 2, c.p. (secondo cui il giudice, pronunciando nella causa, può, tra l’altro, assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno), si riferisce non già al giudicante penale che prosciolga l’imputato exart. 598, comma 1, c.p., ma ai poteri del giudice della causa nella quale sono state scritte o pronunciate le frasi offensive o, nella prospettiva qui accolta, della causa cui comunque siffatte espressioni si correlino”.

Fonte Altaex

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