Politici scagionati dal gip, ma ai giornali non interessa
Per il giudice non ci sono prove di uno scambio politico-mafioso o di un ruolo del principale indagato nella cosca, ma per la stampa contano solo le accuse.
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Non ci sono prove estrinseche, riscontri alle parole dei pentiti, certezze sul ruolo svolto da Daniel Barillà – regista di un presunto scambio politico- mafioso – all’interno della cosca Araniti. Ma nonostante il gip cassi in maniera netta la tesi della Dda di Reggio Calabria sui rapporti poco ortodossi di tre politici con il clan reggino, i titoli sono tutti sbilanciati sulla tesi dei pm, finendo per gonfiare la sostenibilità di accuse che, allo stato attuale, risulterebbero prive di consistenza.
La vicenda riguarda l’indagine che coinvolge tre nomi noti del panorama politico calabrese: il sindaco Pd di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà per il quale è la stessa Dda a non chiedere la misura, dati i mancati riscontri, ma indicato nei primi lanci di agenzia come oggetto di richiesta cautelare poi respinta -, il capogruppo di Fratelli d’Italia in regione, Giuseppe Neri e il consigliere regionale dem Giuseppe Francesco Sera, per i quali la Dda si è vista rigettare la richiesta di misure cautelari, annunciando già il ricorso.
Secondo l’accusa, il clan Araniti – operante nella periferia nord di Reggio Calabria – avrebbe lavorato per eleggere i tre politici, grazie al lavoro sul campo di Barillà. Formalmente dirigente locale del Pd del capoluogo calabrese, secondo la procura antimafia dello Stretto Barillà avrebbe condizionato le elezioni – presso alcuni seggi elettorali – per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria (nel 2020 e nel 2021) e del Consiglio comunale di Reggio Calabria (nel 2020), il tutto grazie al fatto di essere genero del boss Domenico Araniti, alias il “Duca”. L’uomo, grazie alla complicità di «scrutatori compiacenti», avrebbe alterato le operazioni di voto, «procurandosi le schede elettorali di cittadini impossibilitati a votare ed esprimendo, in luogo di questi ultimi, la preferenza in favore dei candidati sostenuti», ottenendo poi in cambio dai politici eletti «nomine nell’ambito di enti pubblici o come professionista esterno».
Ma che Barillà agisse in nome e per conto della cosca, secondo il gip Vincenzo Quaranta, non emerge da nessuno degli atti di indagine. A partire dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Mario Chindemi, secondo il quale «l’interesse della cosca per il mondo politico» sarebbe «funzionale alle esigenze imprenditoriali riconducibili alla medesima cosca», parole che però non trovano «riscontro esterno». Anzi, non ci sono riscontri sulla presenza delle imprese di Araniti nel settore dei lavori pubblici, in particolare con riferimento al periodo di attività politica di Barillà, dal 2013. Tali lacune non vengono colmate nemmeno dalle intercettazioni, dalle quali non sarebbe emerso alcun interesse imprenditoriale della famiglia Araniti nel settore dei lavori pubblici. «Allo stato delle investigazioni emerge esclusivamente come la cosca controlli il tessuto economico, in chiave estorsiva, e (…) abbia ( o abbia avuto in passato) interessi economici collegati alla discarica Rsu di Sambatello e al mondo degli appalti nel settore dei lavori pubblici nei termini sopra precisati».
Ma non si può sostenere, dagli elementi in mano agli inquirenti, «che l’obiettivo della cosca per il tramite del Barillà sia quello di infiltrarsi nel mondo politico e istituzionale per asservire le relative istituzioni alle esigenze della medesima cosca». Anche perché l’indagine non avrebbe dimostrato la cosa principale: l’affiliazione di Barillà alla cosca o un suo ruolo esterno. «Difetta la prova», scrive ancora il gip, secondo cui è del tutto assente «un quadro indiziario grave del contributo che il Barillà fornirebbe in concreto per la realizzazione degli scopi associativi».
Anche perché se l’infiltrazione serve «a potenziare gli interessi della stessa organizzazione», è necessario individuare «le relative attività». E non solo non è stato dimostrato che Neri e Sera «promettessero di porsi a disposizione, in chiave strutturale, come sostiene la pubblica accusa, per gli interessi della cosca», ma neanche «come le utilità fornite o promesse» fossero «funzionali alla realizzazione di tali interessi o esigenze operative della medesima famiglia». Quelli di Barillà erano «personali interessi con l’attività politica che da tempo esercita». Ma «manca la prova che egli sia considerato, nel mondo politico, un intraneo alla famiglia, un intermediario di mafia, e che si muova per le esigenze della stessa famiglia, o anche per tali esigenze ( del resto, egli è fuori dalle tradizionali dinamiche ‘ ndranghetistiche che la cosca attua per il controllo e assoggettamento del territorio, fatto assolutamente inconfutabile)».
Falcomatà, Neri e Sera cercavano dunque Barillà in quanto uomo in grado di spostare un gran numero di voti. E anche se era a tutti noto il «legame di affinità che legava il Barillà alla famiglia Araniti, la cui universale fama, negli ambienti reggini, quale espressione della ‘ndrangheta di Sambatello è circostanza che può ritenersi pacifica», non c’è prova della consapevolezza, da parte del sindaco, dell’influenza che Domenico Araniti — «vertice dell’omonima cosca» — aveva per la capacità di raccolta del consenso a loro favore. Anche perché Barillà, scrive il giudice, «è un politico fortemente “corteggiato” da più parti». E «appare evidente come membri autorevoli della cosca non considerino il Barillà, che ritiene di non dover rendere conto a nessuno e nemmeno al suocero, come soggetto ad essa appartenente».
«È una vicenda che, come sempre è accaduto in tutte le situazioni giudiziarie che ho dovuto affrontare in questi anni, chiarirò nelle sedi opportune, pienamente rispettoso dell’attività della magistratura, per la quale nutro piena fiducia – ha commentato Falcomatà, difeso dall’avvocato Marco Panella -. Chi mi conosce sa che ho sempre svolto il mio ruolo in piena onestà, tenendo fede al principio della legalità come bussola del mio agire politico ed amministrativo. Ed in questo senso intendo continuare ad operare con serenità nell’interesse della città, nella piena consapevolezza di quanto importante sia l’attività repressiva nei confronti delle cosche di ‘ ndrangheta, portata avanti dalla magistratura, che vedrà sempre nelle istituzioni territoriali che mi onoro di rappresentare uno strenuo ed integerrimo alleato. Daniel Barillà è una persona incensurata che conosco da tanto tempo e che è attivo politicamente da sempre. Non mi va di commentare ulteriormente le altre posizioni. Commento la mia posizione che nel ruolo di sindaco, combatte per il bene della città e che ha affrontato già tante vicende giudiziarie in passato ma sempre operando per il bene della città».
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