Anno: XXV - Numero 219    
Giovedì 28 Novembre 2024 ore 13:00
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Processo da remoto: un vademecum Ucp di eccezioni processuali

L’Unione Camere Penali pubblica una breve raccolta di alcune questioni che potranno rivelarsi pratiche indicazioni per i colleghi, qualora dovessero essere impegnati in processi “da remoto” nelle ipotesi residuali rimaste dopo l’ultimo decreto legge

Processo da remoto: un vademecum Ucp di eccezioni processuali

VADEMECUM

ART. 83, COMMA 12 BIS D.L. N. 28/20

Premessa

Le pagine che seguono compendiano otto eccezioni di carattere processuale da porsi nelle situazioni nelle quali il Giudice dovesse disporre che l’udienza si celebri “da remoto”. Si tratta di una prima rappresentazione delle illegittimità che trovano sanzione nel sistema processuale della nuova disciplina per la smaterializzazione del processo, introdotta con il decreto – legge n. 28 del 30 aprile 2020. Eccezioni e temi potranno essere approfonditi dai difensori nei singoli processi. Peraltro, la nuova disciplina – nella parte in cui esclude la possibilità di procedere da remoto per l’attività istruttoria e la discussione – è destinata a travolgere le previsioni di alcuni dei protocolli sottoscritti nelle diverse sedi giudiziarie; sarà compito della difesa chiedere prassi conformi alla legge. La smaterializzazione del processo – sia pure nelle limitate ipotesi oggi contemplate – presenta prima di tutto indubbi aspetti di illegittimità costituzionale, per la evidente violazione dei principi del giusto processo; il vademecum sarà dunque accompagnato da un documento dell’Osservatorio Corte costituzionale, a cui è stata affidata un’attività di elaborazione e di sintesi delle singole eccezioni. L’obiettivo che ci siamo dati con questi contributi è quello di suggerire a tutti alcuni titoli per le questioni di illegittimità, così contribuendo non solo alla denunzia nel singolo processo ma anche alla costruzione di una corale protesta contro una scelta legislativa incostituzionale.

ECCEZIONI PROCESSUALI

1a. Per la partecipazione del difensore al processo, la nuova disciplina introduce una modalità neppure mai adombrata nelle ipotesi di collegamento a distanza previste dal nostro ordinamento ed in particolare dall’art. 146 bis, co. 4 e 4 bis disp. att. c.p.p. Sino ad oggi infatti, è disciplinata la partecipazione a distanza dell’imputato in custodia cautelare; in tale caso, il difensore è facultizzato a partecipare o nell’aula o accanto al suo assistito nella struttura di detenzione, dunque in luoghi ordinariamente sottoposti al controllo pubblico ove le previsioni di inviolabilità dell’ufficio difensivo si accentrano sulla persona del difensore, estendendosi alla cartella professionale e a quanto altro rappresenta la strumentazione inviolabile. Nel caso che ci occupa, invece, la norma trasforma lo studio professionale o il luogo di privata dimora o il luogo individuato dal difensore per il collegamento in luogo necessariamente sottoposto al controllo dell’apparato statuale. Dunque l’avvocato è così onerato della individuazione di una struttura che neppure casualmente consenta l’ostentazione di atti, coste di fascicoli riguardanti altri assistiti o quell’assistito ma per altre cause e si vedrebbe comunque costretto ad esibire in udienza la qualità dei mezzi di organizzazione della propria attività professionale.

1b. Non solo. Tale luogo diviene comunque sottoposto alla invasione da parte di organi pubblici, ed in particolare dal giudice e dal Pubblico Ministero. In buona sostanza, una professione liberale fondata sulla sacralità delle prerogative e delle guarentigie a protezione del ruolo difensionale viene definitivamente travolta dai mezzi e dagli strumenti pervasivi di un pubblico potere. L’ispezione è una ricerca visiva di qualche cosa ovvero la descrizione dello stato di un luogo. Il collegamento da remoto dunque produrrebbe il medesimo risultato, in violazione delle tutele di cui all’articolo 103, lett. a) e b) del codice di rito, per il quale l’accesso ad uno studio professionale è fatto delicatissimo, che può avvenire solo su ordine dell’autorità giudiziaria, con specificazione di ogni modalità di attuazione ed in presenza di presupposti connotati nella loro descrizione da stretta legalità, che attengono alla commissione di reati, alla finalità di rilevarne tracce o per la ricerca di cose o persone specificamente predeterminate. L’autorità preposta deve avvisare a pena di nullità il Consiglio dell’Ordine professionale affinché possa assistere alle operazioni. La protezione trova copertura anche nell’art. 17 p.i.d.c.p. e nell’art. 8 CEDU. L’art. 83 comma 12 bis in parte qua dunque viola i principi costituzionali di inviolabilità del diritto di difesa, sancito dall’art. 24 della Costituzione e del domicilio (del difensore), previsto dall’art. 15 Cost. Il contenuto della norma si sostanzia in una nullità di ordine generale, riconducibile all’intervento e all’assistenza del difensore, disegnando una indebita limitazione delle sue prerogative. Nonostante la gravità della patologia denunziata il suo regime, attesa la non previsione della sanzione in specifica disposizione di legge, è da considerarsi intermedio e dunque essa è da ritenersi tempestivamente denunziata in questa sede.

  1. Altro profilo per il quale è invocata la nullità dell’atto con il quale è disposto il collegamento è quello relativo alla circostanza per la quale “[…] I difensori attestano l’identità dei soggetti assistiti i quali se liberi e sottoposti a misure cautelari partecipano all’udienza solo dalla medesima postazione dalla quale si collega il difensore”. La norma dunque per la prima volta prevede nuovi oneri a carico del difensore, che nulla hanno a che vedere con l’esercizio della difesa tecnica e collegati ad una situazione di pandemia e di rischio di contagio, in via ordinaria riservati all’autorità giudiziaria, al cancelliere, all’ausiliario del giudice, alle autorità amministrative. Si tratta del dovere di ospitalità presso il proprio domicilio – professionale o privato o in altro luogo eletto per il collegamento – dell’imputato in favore del quale è esercitato il mandato difensivo. Nei confronti di tale persona, all’evidenza, debbono essere predisposte modalità di ottemperanza alle regole di distanziamento sociale e di utilizzo (coatto?) dei presidi sanitari ed anche della fornitura di un ulteriore apparato informatico, dotato delle necessarie applicazioni che consentono il collegamento. In realtà l’ordinamento non prevede alcun obbligo giuridico per il difensore di essere munito di tutti tali presidi, che possono essere in dotazione solo allo Stato e dunque la loro mancanza o la loro insufficienza o la loro inadeguatezza si risolve in una nullità di ordine generale relativa all’intervento dell’imputato, nullità che ha lo scopo di garantire la partecipazione personale di quest’ultimo al processo. Prima ancora, la situazione descritta non consente di ritenere realizzata l’effettiva partecipazione della parte al processo e dunque non integrato uno dei presupposti per la validità del collegamento.
  2. Quanto poi all’identificazione dell’imputato da parte del difensore, è anche questa funzione evidentemente traslata dagli obblighi di cui all’art. 480, lett. c) c.p.p. in capo all’ausiliario che ha il compito di redigere il verbale di udienza. In conflitto con le regole che definiscono il perimetro dell’incarico professionale e del rapporto fiduciario che lo contraddistingue, il difensore sarebbe costretto a ricorrere alla formale identificazione del suo assistito e a dare conto dell’esito di tale attività. Peraltro, la “consegna” dei dati personali, nel corso dell’udienza da remoto, porta il difensore ad inserire nel sistema dati sensibili, al cui trattamento è autorizzato dal proprio cliente ai soli fini dell’attività difensiva, su piattaforma privata non sottoposta ad alcuna forma di controllo e di cui non sono note le modalità di trattamento di tali dati personali. Non solo: nel corso dell’udienza – assumendo le funzioni tipiche dell’ufficiale o dell’agente di polizia giudiziaria – il difensore sarebbe tenuto al controllo del rispetto delle regole di udienza impartite dal giudice. Tutto ciò incide sull’assistenza dell’imputato sotto il profilo della macroscopica violazione delle regole che presidiano l’attività difensiva e dunque integrando la nullità di ordine generale di cui alla lettera c) dell’art. 178 c.p.p.
  3. Integra nullità rilevabile ex art. 178 lettera c) c.p.p. la fisica impossibilità di accedere da remoto al fascicolo del dibattimento per la verifica della sua composizione, anche in relazione all’adozione dei provvedimenti ex art. 148 disp.att. c.p.p. La questione ha rilevanza per la impossibilità di conoscere il perimetro del sapere processuale del giudice, in relazione alla successiva applicazione delle tecniche di esame e controesame e agli interventi risolutori in via breve del Presidente, al quale è preclusa la conoscenza del contenuto dei verbali di sommarie informazioni, che potrebbero essere presenti in quanto allegati alla querela. Sul punto non può essere ritenuta risolutiva la ovvia sanzione della inutilizzabilità, poiché essa tende a definire il contenuto degli atti utilizzabili per la decisione, ma è in conferente rispetto alle tecniche di acquisizione probatoria.
  4. La ratio dell’art. 83, comma 6, DL 28/2020 è “contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19” ed a tale fine i capi degli uffici giudiziari “adottano le misure organizzative”. La stessa norma precisa che tali misure organizzative devono essere “necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie … al fine di evitare assembramenti … e contatti ravvicinati tra le persone”. Ai sensi del comma 12-bis tra tali misure vi è la possibilità di alcune udienze “tenute mediante collegamenti da remoto”. Nel caso di specie si eccepisce che difettano i presupposti che consentono l’adozione di tale ultima misura, in quanto la celebrazione delle udienze del presente processo può svolgersi nelle aule del tribunale nel pieno “rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie” vigenti. In particolare, le predette aule consentono una distanza tra le persone presenti ben più ampia di quella prevista in generale per tutti i luoghi di lavoro delle c.d. attività consentite, così evitando “assembramenti … e contatti ravvicinati tra le persone”, che peraltro dovrebbero essere munite di dispositivi individuali di protezione, come in ogni luogo diverso dalla casa di abitazione. In ogni caso, gli spazi delle aule del tribunale sono certamente molto più ampi di quelli degli studi o delle abitazioni dei difensori, dove dovrebbero riunirsi i medesimi con gli assistiti e gli eventuali codifensori, così che sia proprio il collegamento da remoto a generare il pericolo del mancato “rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie”, degli “assembramenti” e comunque dei “contatti ravvicinati tra le persone”. Per tali ragioni, si chiede la revoca dell’ordinanza con la quale è stata disposta la celebrazione dell’udienza con modalità da remoto, essendo la stessa priva del suo presupposto legale e foriera di pericoli per la salute dei difensori e delle parti.
  5. In caso di disconnessione audio/video, si eccepisce l’essere venuto meno il rapporto processuale creato al momento della costituzione delle parti, in quanto si è verificata una situazione uguale alla estromissione dall’aula di udienza. Si chiede la sospensione del processo fino a quando non viene ripristinata la piena connessione di tutte la parti, da verificarsi con la ripetizione della procedura relativa alla loro costituzione. Si eccepisce in ogni caso la nullità di ogni atto compiuto durante il periodo di disconnessione, per mancato intervento o partecipazione ai sensi dell’art. 178 lettera c) c.p.p.
  6. Il meccanismo di cui all’art. 83, comma 12 bis, prevede – per gli imputati liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere – che le udienze possano essere celebrate mediante collegamenti da remoto, diversi dalla videoconferenza come regolamentata per le sue modalità dall’art 146 bis disp.att. Dunque, in questa ipotesi la partecipazione a distanza al processo potrà essere tenuta con il collegamento sulle piattaforme individuate dal provvedimento del Direttore Generale S.I.A. del Ministero al quale il Legislatore ha, pertanto, solo delegato la individuazione del tipo di collegamento e non le modalità. Con l’art.3 del Decreto, pubblicato il 20.03.2020 dalla D.S.G.S.I.A. sono stati indicati i programmi attualmente a disposizione dell’Amministrazione in Skype e Teams; con detto provvedimento, quindi di natura amministrativa, si è previsto, inoltre, la possibilità del ricorso alle suindicate piattaforme, diverse da quelle di videoconferenza, “laddove non sua necessario garantire la fonia riservata” tra il detenuto e il difensore. Poiché il Legislatore non lo ha previsto, avendo dato correttamente per scontato che la fonia debba essere sempre riservata, una prerogativa della difesa prevista dalla legge processuale sarebbe derogata, rectius conculcata,  da un provvedimento amministrativo che consentirebbe al giudice, per ogni singola udienza, di valutare se sia necessario o meno garantire la “fonia riservata”.  Nel caso in cui il Giudice dovesse applicare detta disposizione, la mancanza della continua possibilità di ricorrere alle forme della fonia riservata integra nullità di carattere generale ai sensi dell’art. 178, lett. c) c.p.p. in ordine all’intervento del detenuto al dibattimento e alla sua assistenza.
  7. Il combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’art. 83, d.l. n. 28/2020 stabilirebbe che – nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini dal 9 marzo al 15 aprile (oggi 11 maggio) 2020 – è sospeso per lo stesso periodo il corso della prescrizione. Si vorrebbe così rovesciare sulle spalle dell’indagato/imputato l’incapacità (colpevole o incolpevole) dello Stato di assicurare lo svolgimento di attività processuali in condizioni idonee a prevenire il contagio da Covid-19. Va, tuttavia, considerato che:

1) la prescrizione (e la sospensione della medesima) è istituto di diritto sostanziale, come ha definitivamente stabilito, chiudendo la vicenda Taricco, Corte cost. n. 115/2018 (confermando precedenti e consolidati orientamenti della propria giurisprudenza). Dunque, vige riguardo ad essa il divieto di applicazioni retroattive in malam partem;

2) quel decreto-legge è legge cd. temporanea, prevedendo una precisa data di inizio e di cessazione di efficacia nel tempo. Le leggi temporanee sono quelle che fin dalla loro emanazione hanno prefissato il termine in cui perderanno vigore e ad esse si applica il comma 5 dell’art. 2 c.p., per cui vale soltanto il divieto di retroattività sancito dal primo comma e , ovviamente, dall’art. 25 comma 2 Cost. Dunque, come per tutte le leggi temporanee, il disposto del decreto-legge n. 28/2020 si applica soltanto ai reati commessi nel periodo della loro vigenza (tra il 17 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 compreso). Vale il principio tempus regit actum, che in materia di diritto penale sostanziale impone di guardare al dies commissi delicti. Occorre dunque opporsi ad applicazioni retroattive della sospensione dei termini prescrizionali.

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