«Ridaremo ai giovani l’entusiasmo e l’orgoglio di essere avvocati»
Intervista a Carlo Foglieni, neo presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati (Aiga)
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«Le associazioni e le istituzioni forensi, a partire dal Cnf e dall’Ocf, devono lavorare parlando con una voce sola. L’avvocatura è forte quando è unita. Lo abbiamo visto in occasione della legge sull’equo compenso. Quando l’avvocatura è unita, raggiunge gli obiettivi che si prefigge. Credo molto in questo approccio». Carlo Foglieni, avvocato del Foro di Bergamo, è stato eletto quattro giorni fa nuovo presidente dell’Aiga. Nella sua prima intervista sottolinea i punti programmatici che gli stanno più a cuore e che riguardano il presente e il futuro della giovane avvocatura.
Domanda. Presidente Foglieni, come lei ha evidenziato nel suo programma per il biennio 2023-2025, “il futuro è adesso”. Quali sono le sfide dell’Aiga?
Risposta La sfida principale del prossimo biennio, riprendendo anche il titolo dell’ultimo congresso, “Potere e responsabilità”, è quello di riportare l’entusiasmo nei giovani avvocati. Entusiasmo e orgoglio di essere avvocati. Come emerge dai vari rapporti, si pensi a quello di Cassa Forense, la situazione di sfiducia, purtroppo, è dominante. Il giovane laureato in giurisprudenza, che si affaccia al mondo della professione, si sente ripetere frasi che lo scoraggiano rispetto alle prospettive di affermazione professionale. Abbiamo assistito negli ultimi dieci anni a un calo consistente dei laureati in giurisprudenza, i praticanti sono pressoché scomparsi e un avvocato su due ha deciso o ha pensato di abbandonare la professione. Questo significa che l’avvocatura ha perso appeal. L’Aiga deve far comprendere che la professione non deve essere considerata un ripiego, ma deve essere considerata una vera e propria vocazione. Ritengo, dunque, che questo debba essere il tema centrale del prossimo biennio.
- Il presente è caratterizzato da una fuga dei più giovani, e non solo, dall’avvocatura. Si cercano lidi più sicuri. Come si corre ai ripari?
- Credo, innanzitutto, che sia fondamentale partire dalla riforma di accesso alla professione. In questo contesto l’università è fondamentale. Vanno rese il più possibile professionalizzanti e al passo con i tempi, favorendo l’ingresso nel mondo forense con la valorizzazione del merito. Vanno inoltre riformati i piani di studi delle facoltà di giurisprudenza, che sono più o meno gli stessi da molti anni, mediante l’istituzione di vere e proprie “cliniche legali”. Un po’ come avviene per medicina. Bisogna da subito frequentare, durante il percorso universitario, gli studi professionali e gli uffici giudiziari. In questo modo si unisce la parte teorica a quella pratica e chi ha una certa vocazione può subito capire se è portato ad intraprendere la professione forense.
- Da sempre Aiga sostiene che è l’avvocato che forma l’avvocato…
- Proprio così. Per questo la pratica svolta negli studi professionali, per almeno 18 mesi, andrebbe ricompensata e valorizzata. Si propone e si auspica l’introduzione di un compenso minimo, sin dall’inizio della pratica. È una nostra battaglia storica. Qualche anno fa abbiamo fatto una raccolta firme per una proposta di legge. Si possono impiegare, tramite bandi regionali, dei fondi diretti, visto che si tratta di un tirocinio professionale, per i compensi minimi da corrispondere. Fondamentale, poi, anche un altro elemento.
- Quale?
- Mi riferisco all’introduzione del patrocinio abilitativo. Oggi esiste solo il patrocinio sostitutivo che non è più richiesto dai praticanti. Il patrocinio abilitativo è responsabilizzante. Il fatto di metterci la firma e la faccia significa già svolgere una serie di attività dell’avvocato.
- Aiga si è espressa molte volte sulle scuole forensi. Come intende agire?
- Le scuole forensi oggi non funzionano. I praticanti, anziché vederle come una opportunità di crescita professionale, le considerano come la sede dell’ennesimo balzello economico per l’accesso alla professione. C’è da rivedere l’attuale sistema. Proponiamo una scuola forense nazionale oppure organizzata dalla Scuola superiore dell’avvocatura in sinergia con la Fondazione dell’avvocatura italiana e le associazioni maggiormente rappresentative, a partire dall’Aiga. Le scuole forensi non devono essere una ripetizione del percorso universitario. Occorre investire sulle risorse economiche e su quelle umane per il migliore percorso che porta all’esame di abilitazione professionale. In quest’ultimo caso sarebbe opportuno per la prova scritta introdurre l’uso dei pc e delle banche online. È anacronistico il cartaceo, soprattutto in questo momento in cui parliamo di Intelligenza artificiale. L’esame fatto ancora con carta e penna oggettivamente ci fa capire che siamo lontani dalla realtà che ci circonda. La prova orale con la soluzione di un caso pratico deve avere uno stretto legame con quanto avviene ogni giorno nei nostri studi legali, dedicando sempre grande attenzione alla deontologia e all’ordinamento forense.
- In diverse occasioni lei ha fatto riferimento ai momenti tristi della pandemia che ha provocato tantissime vittime a partire dalla sua città, Bergamo. Quali sono i suoi ricordi del 2020?
- Bergamo è stata la città più colpita dalla pandemia. In quel periodo ero consigliere dell’Ordine. Ricordo le difficoltà di far comprendere i rischi che si correvano nel frequentare ancora il Tribunale. L’esperienza che più mi ha segnato è stata quando, in occasione delle sedute settimanali del Consiglio, dovevamo cancellare dall’albo i nomi dei colleghi che venivano a mancare per il Covid. Colleghi di tutte le età, che ogni giorno, come in un bollettino di guerra, ci lasciavano per sempre. Approfitto per ricordarli e per rivolgere un pensiero ai colleghi di tutti i Fori che non ci sono più a causa della pandemia.
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