Separazione delle carriere, sì al testo base.
Carlo Nordio Ministro della Giustizia durante lo svolgimento del question time alla Camera dei deputati.
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C’è un dato di cronaca parlamentare: la separazione delle carriere avanza, grazie all’adozione, in commissione Affari costituzionali alla Camera, del testo base. Uno snodo importante, considerato che l’iter della riforma è riferito non solo al ddl costituzionale di Carlo Nordio ma anche alle quattro proposte di legge depositate dai deputati già nel 2022.
C’è poi il dato politico: sulla giustizia il centrodestra trova senza affanni la cosiddetta quadra. Di più: realizza una convergenza che si fatica davvero a registrare su altri dossier. Basti pensare alle ambiguità che persistono, sugli obiettivi della Manovra, tra la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. O alla diversità “ontologica”, in materia di cittadinanza, tra Forza Italia e Lega. È sorprendente il grado di sintonia e piena condivisione che si registra invece nell’alleanza di governo, soprattutto da alcuni giorni a questa parte, sulla politica giudiziaria.
Intanto, i dettagli del passo compiuto a Montecitorio nella Prima commissione, presieduta dall’azzurro Nazario Pagano: la maggioranza ha deciso, con il voto contrario di Pd, M5S e Avs ma con il sostegno di Italia viva, di adottare come testo base il disegno di legge governativo. Non perché, sul “divorzio” fra giudici e pm, l’articolato di Nordio preveda scelte divergenti dalle proposte di matrice parlamentare, ma per gli altri due punti “in più” inseriti dal guardasigilli nella riforma: sorteggio integrale dei togati e Alta Corte disciplinare.
Si parte da quello schema: i gruppi di maggioranza e opposizione potranno avanzare proposte di emendamento fino al 23 ottobre. È probabile che, tra le modifiche, trovi posto l’avvocato in Costituzione, vale a dire il riconoscimento della libertà e indipendenza con cui la professione forense deve poter svolgere il proprio ruolo. Probabile che si chieda, non solo da parte dei gruppi di minoranza, di derubricare il sorteggio integrale a sorteggio “temperato”, in modo che vi sia un’estrazione a sorte di un elenco di giudici (da una parte) e pm (dall’altra) eleggibili nei due “nuovi” Csm, e una successiva procedura di voto sottratta, a quel punto, al controllo delle correnti.
Ma al di là dei contenuti, pesa come detto l’ulteriore segnale di sintonia che arriva dal centrodestra in materia di giustizia. È come se le scelte sul processo penale fossero improvvisamente diventate la tregua olimpica dell’alleanza di governo, il perimetro entro cui, come d’incanto, le frizioni svaniscono e gli obiettivi coincidono. Tanto più se si pensa che fino a pochi mesi fa il divorzio fra giudici e pm era percepito come un fastidioso intralcio, anche a Palazzo Chigi, sulla strada del premierato.
Una svolta sorprendente alla luce di quanto avvenuto, nelle ultime ore, non solo sulla separazione delle carriere ma anche sulle intercettazioni, col fulmineo sì del Senato al limite dei 45 giorni, e sulla cosiddetta legge Costa, che vede entrambe le commissioni Giustizia procedere verso la richiesta, rivolta al governo, di perfezionare il divieto di pubblicazione testuale delle ordinanze cautelari con l’inasprimento delle pene previste per chi viola il precetto.
Basti ricordare, per comprendere la novità di quest’afflato politico giudiziario, che sul limite dei 45 giorni approvato in prima lettura con la legge Zanettin, il plenipotenziario di Meloni sulla giustizia, Andrea Delmastro, aveva parlato a luglio di norma “draconiana”. Ritrosia convertita, due giorni fa, in pieno sostegno, con gli interventi in Aula di tre senatori FdI della commissione Giustizia: Sergio Rastrelli, Gianni Berrino e Giovanna Petrenga.
E ancora oggi, dopo le bordate di Pd, 5 Stelle e Avs per una separazione che «mina l’autonomia di giudici e pm» (copyright democrat), il relatore meloniano del ddl costituzionale Francesco Michelotti ha replicato: «La sinistra che parla di tentativo di controllo della magistratura mente sapendo di mentire: con la riforma si realizzerà una effettiva parità fra accusa e difesa». Determinazione condivisa dal presidente della commissione Pagano («il sì al testo base è un primo passo essenziale»), dal viceministro Francesco Paolo Sisto («la separazione delle carriere must go on») e dall’intera delegazione di FI impegnata sul dossier («l’obiettivo è il voto in Aula entro l’anno»).
Durerà? Forse sì. Perché Meloni percepisce, sul fronte mediatico-giudiziario ancor più che altrove, quella sensazione di accerchiamento, di minaccia, di onnipresenza di trame oscure e letali ordite dall’opposizione in sinergia con altre forze. E se il vertice del governo nonché dell’alleanza si persuade che la giustizia, le inchieste, i dossieraggi, sono il terreno d’elezione sul quale gli avversari scommettono per ribaltare la partita, è inevitabile che la politica giudiziaria diventi la prima opzione, nell’agenda del governo.
Di fatto la stessa vicenda di Guido Crosetto rientra in un catalogo simile. Nel mirino dell’Esecutivo c’è il potenziale uso di iniziative giudiziarie come arma impropria. E quando l’arma impropria è il «dossieraggio quotidiano» denunciato dalla premier non con un alleato ma addirittura con la sorella Arianna, il cerchio si chiude, e la giustizia si erge a fortino irrinunciabile della maggioranza.
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