«Sia un giudice terzo a decidere sulle liti fiscali». Cnf, Ocf e Unione tributaristi contro la riforma
L’opposizione dell’avvocatura alle ipotesi di riforma: «No al trasferimento della giurisdizione tributaria alla Corte dei Conti: così i diritti sono in pericolo»
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Assicurare l’indipendenza della magistratura tributaria dal ministero dell’Economia e delle finanze, la formazione del giudice tributario e la valorizzazione di una professionalità selezionata tramite concorso pur nella salvaguardia delle competenze acquisite. È quanto chiedono all’unisono Consiglio nazionale forense, Organismo congressuale forense e Unione nazionale Camere avvocati tributaristi in un documento congiunto indirizzato al presidente Giuseppe Conte, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, al collega al Mef Roberto Gualtieri, ai componenti della Commissione Giustizia e della Commissione Finanze di Senato e Camera e al Consiglio di presidenza della Giustizia Tributaria. Un documento che denuncia il rischio che la riforma del processo tributario, prevista dalla nota di aggiornamento del documento di Economia e finanza 2020, non sia ispirato «ai principi costituzionali del contradditorio e del giusto processo ex articolo 111 della Costituzione, i quali richiedono anche la piena equiparazione della difesa tecnica tributaria a quanto già previsto per i processi civile, penale ed amministrativo».
Tutto parte dai progetti di legge presentati in Parlamento e dal dibattito pubblico su tale tema, anche alla luce del pacchetto giustizia approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri con il Decreto Ristori. Un pacchetto che, come evidenziato dalla presidente facente funzioni del Cnf, Maria Masi, relega il processo tributario ad un mero processo cartolare, nel quale, denuncia Masi, l’oralità risulta praticamente sparita. Con un’implementazione cartolare che, spiega, «non assolve principi di equilibrio» : nel caso in cui non sia possibile celebrare l’udienza da remoto, infatti, la trattazione si dovrà svolgere mediante la modalità cartolare. Ma «anche nel processo tributario – ricorda Masi – deve essere sempre imprescindibilmente garantito il diritto delle parti di discutere in pubblica udienza, come previsto dalla Cedu, in ossequio al principio del giusto processo e che si debba prevedere il rinvio della causa nel caso in cui non risulti possibile per motivi pratici procedere con il collegamento da remoto». Altrimenti si vanificherebbe il diritto delle parti «di accedere all’unico momento di oralità del processo per la sola carenza di risorse in nome di mal inteso efficientismo».
Ma i pericoli vanno ben oltre l’emergenza. Con un progetto di riforma che, di fatto, non assicurerebbe la giusta tutela dei cittadini né l’indipendenza e l’imparzialità del giudice, che non risulterebbe terzo. Da qui «l’assoluta urgenza e necessità di una riforma del processo tributario che – al di là del pur imprescindibile periodo transitorio che eviti la dispersione delle professionalità acquisite – non può più essere attesa, in quanto finalizzata non solo a tutelare l’interesse pubblico alla percezione dei tributi, ma i diritti dei cittadini al rispetto del principio di capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione». La richiesta è quella di avere sul piatto una proposta chiara, in cui venga garantita il rispetto del principio del giusto processo, la terzietà, la professionalità e la specializzazione del giudice tributario e, soprattutto, la previsione di meccanismi che consentano che, finché non entrerà a regime il nuovo sistema, non si blocchi tutto, «perché se si blocca il meccanismo di garanzia processuale in materia tributaria, il cittadino si trova indifeso di fronte alla potestà dell’amministrazione delle finanze». L’avvocatura si oppone, di fatto, alle ipotesi di un trasferimento della giurisdizione tributaria alla Corte dei Conti che, seppure, al momento, non risultino ufficialmente in alcuna bozza di disegno di legge, «sono state ventilate in contrapposizione alle posizioni espresse ufficialmente da associazioni forensi e operatori del settore e senza alcuna interlocuzione preventiva con gli avvocati e con la magistratura interessata». Un’ipotesi, questa, ventilata pubblicamente da Conte, in contrapposizione ai progetti di legge che prevedono che tutta la materia tributaria vada al giudice ordinario, con la conseguente soppressione delle Commissioni tributarie. «I problemi, a seconda delle soluzioni, sono diversi – commenta Giovanni Malinconico, coordinatore dell’Ocf -. Non si comprende la linea, se ce n’è una, del governo, perché se il premier parla della Corte dei Conti va in controtendenza con altre ipotesi». Intanto perché la Corte dei Conti, spiega ancora Malinconico, non è attrezzata per un contenzioso così cospicuo come quello tributario. Ma soprattutto è il giudice delle entrate, dunque non terzo. «Il giudice tributario, invece, deve essere il giudice delle garanzie rispetto alla potestà impositiva dello Stato – prosegue -. A noi non serve un giudice di parte, ma un giudice terzo rispetto alla potestà che lo Stato ha di imporre tasse e sanzioni. Quindi è un’ipotesi che va scartata in origine, perché contrasta con l’idea che l’avvocatura ha della giurisdizione come una funzione che va svolta in condizioni di assoluta garanzia e terzietà».
L’altra ipotesi, quella di affidare tutto al giudice ordinario, risulta «affrettata», in quanto le commissioni tributarie smaltiscono una grandissima mole di lavoro, così come enormi sono le competenze acquisite. «Il giudice ordinario non può, improvvisamente, farsi carico, da solo, di una quantità di lavoro così importante e di competenze specialistiche così imponenti», prosegue il leader dell’Ocf. Anche perché la metà del contenzioso davanti alla Corte di Cassazione è dato dal tributario. Insomma, una mole di lavoro impressionante. La richiesta dell’avvocatura, dunque, è che ci sia una giudice specializzato e che questa transizione tra la situazione attuale e quella futura avvenga in maniera sostenibile. Si tratta, in poche parole, di stabilire un meccanismo in base al quale il giudice tributario diventi un giudice professionale – e, dunque, togato e non onorario come lo è oggi -, ma anche specializzato. «Il processo tributario, una volta per tutte, deve entrare a pieno titolo nella giurisdizione – conclude -. La cosa strana è che, attualmente, tutto ciò che riguarda il processo tributario ricade sotto il Mef e non sotto il ministero della Giustizia e questa è una stortura. La giurisdizione è giurisdizione, il fatto che una delle parti sia la pubblica amministrazione non può far ricadere tutto sotto un altro ministero». Insomma, la sensazione è che il processo tributario sia sottovalutato, senza comprendere né quanto incida nella vita di cittadini e imprese. E ciò nonostante i numeri dicano il contrario.
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