Spese legali restituite agli assolti Pochi fanno domanda.
Nel 2023 solo 700 istanze, e il trend non sembra migliorare: si rischia la soppressione del fondo.
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Il dato non migliora. Non sembrerebbe, almeno. Non esiste ancora una statistica completa ma, dalle “proiezioni” che il ministero della Giustizia può fare al momento, le domande per ottenere il rimborso delle spese legali in seguito a un’assoluzione sono di gran lunga inferiori alle attese, anche per il 2024.
Non si potrà che attendere la fine dell’anno, prima di tirare le somme e comunicare quanti cittadini risultati innocenti hanno chiesto, e ottenuto, il ristoro. Ma intanto a via Arenula sono preoccupati. Sanno che la persistente esiguità delle istanze (nel 2023 erano state appena 700, per un importo erogato di 2 milioni 800mila euro, a fronte dei quasi 14 milioni disponibili) è un segnale tanto incomprensibile quanto pericoloso, perché può portare al taglio dello stanziamento. E hanno deciso così di trasferire all’esterno un allarme il più possibile chiaro: da settembre, i dati sul rimborso introdotto nel 2021 saranno disponibili e accessibili a tutti sul sito del dicastero guidato da Carlo Nordio. Che intende far arrivare il seguente messaggio: si tratta di un’opportunità preziosa, che anzi l’attuale guardasigilli, nei primi mesi del proprio mandato, aveva tenuto a rafforzare, con la richiesta, accolta, di un forte incremento del fondo (dagli 8 milioni previsti all’epoca di Alfonso Bonafede ai 15 milioni inseriti nella Manovra per l’anno 2023), ma attenzione, perché se per il terzo anno consecutivo, nel 2024, si confermasse lo scarso successo di questo istituto, il pericolo è che l’Esecutivo tagli, o addirittura sopprima, il relativo fondo. Già nella legge di Bilancio per il 2024 una pur piccola riduzione c’era stata: da 15 milioni, si era passati a 13 milioni e 740mila, per una “sforbiciata” di poco inferiore al 10%.
Si tratta di un beneficio diverso (ma altrettanto importante) rispetto ai risarcimenti per ingiusta detenzione. E se esiste, lo si deve innanzitutto a Enrico Costa, il deputato e responsabile Giustizia di Azione del quale riportiamo, in queste pagine, la proposta di trasmettere i fascicoli per i quali lo Stato ha risarcito chi è stato ingiustamente recluso ai titolari dell’azione disciplinare, oltre che alla Corte dei Conti, in modo che qualche giudice o pm, almeno nei casi di colpa grave, possa essere chiamato a dar conto delle proprie decisioni.
Nel caso del rimborso istituito, con la legge di Bilancio per l’anno 2021, a vantaggio di chi è prosciolto dall’accusa penale con una formula “ampiamente liberatoria”, il discorso è diverso. Parliamo non solo di un atto di giustizia, ma anche di una misura simbolica. Nel nostro Paese la cultura prevalente iscrive la disavventura di un procedimento penale ingiusto fra le circostanze che il cittadino deve mettere in conto, gli piaccia o no. Capita, è terribile, a volte mostruoso, ma ci devi stare. Perché? In virtù di quell’idea sostanzialmente autoritaria della giustizia per cui il pubblico potere prevale sui diritti e sulla libertà del “suddito”.
Se non permanesse tuttora una visione del genere, non si spiegherebbe come possa esistere, per esempio, nel 2024, un codice antimafia che, attraverso le cosiddette misure di prevenzione (i sequestri e le confische innanzitutto), consente ancora di punire chi, nel processo penale vero e proprio, viene assolto. La ragion di Stato e le sue eventuali conseguenze, anche amare, schiaccino pure l’aspettativa del malcapitato.
E in fondo, l’idea di restituire almeno parte delle spese legali (fino a 10.500 euro) al malcapitato poi assolto da tutte le accuse è (dovrebbe essere) anche il segnale per affermare un altro principio, per ribaltare lo schema e riconoscere che essere travolti da un’accusa ingiusta non è un’eventualità ineluttabile a cui rassegnarsi, tanto è vero che lo Stato si fa eventualmente carico dei costi materiali prodotti dalla vicenda, qual è appunto il necessario compenso per l’avvocato che ha sostenuto il cittadino nell’affermare la propria innocenza.
Non è un caso che, prima ancora dell’emendamento alla Manovra presentato da Costa nell’autunno 2020, fosse stata l’avvocatura a condurre una paziente battaglia per introdurre il diritto dell’imputato assolto a vedersi risarcite le spese legali: il primo progetto di legge in materia è da attribuirsi al Consiglio nazionale forense, che aveva trovato, negli anni precedenti, diversi parlamentari disponibili a presentare la modifica, ma mai un governo e una maggioranza capaci di comprendere davvero il valore non solo materiale ma anche culturale di quella proposta.
L’attuale deputato e responsabile Giustizia di Azione ha avuto il merito, quattro anni fa, di far propria quell’idea, e di ottenere che diventasse legge da un ministro della Giustizia, Bonafede, certamente non orientato, nella propria azione politica, a dare priorità alla tutela delle garanzie. Anche il ministro del Movimento 5 Stelle ha dimostrato sensibilità per un tema così delicato. Ma se l’opportunità di ottenere il rimborso delle spese legali continua a essere còlta da un numero così ridotto di potenziali aventi diritto ( sulla carta sarebbero oltre 100mila l’anno) forse è perché la cultura della rassegnazione allo Stato onnipotente è più forte anche della buona volontà dei singoli.
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