Calenda come Meloni: ci vorrebbe un'altra opposizione
La premier applaudita al Congresso di Azione, convergenze su Ucraina e difesa, superbonus e nucleare, ma soprattutto sulla demolizione dei 5 stelle di Conte e nell'esigenza di un nuovo Pd (meglio Gentiloni di Schlein). Meloni punta su responsabilità e credibilità davanti a scenari imprevedibili, nei fatti si traduce però in tanta strategia e poca iniziativa.
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“Dopo l’intervento di Carlo Calenda porterò io un po’ di moderazione”. Giorgia Meloni prende parola allo spazio eventi del Rome Life Hotel, location del congresso di Azione, intorno a mezzogiorno. Ai lati del palco, in cima la bandiera dell’Ucraina e della Georgia accompagnano quelle dell’Unione europea e del partito di Carlo Calenda. Ed è proprio l’Ucraina, insieme all’energia nucleare, uno dei punti verso cui la premier e il leader del partito d’opposizione convergono di più. Non il solo, però. Perché a tenere banco, in questa lunga giornata in cui tanti esponenti del governo hanno calcato il palco di Azione – dal ministro Guido Crosetto al commissario Ue Raffaele Fitto, da Giancarlo Giorgetti ad Antonio Tajani – è l’idea di un’opposizione diversa. Senza il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte e con un Partito democratico molto differente da quello attualmente guidato da Elly Schlein.
Fratelli d’Italia, attraverso le parole di Giovanni Donzelli, riconosce ad Azione il fatto che farebbe opposizione “al governo, non all’Italia”. La premier su difesa, dazi, riarmo, economia fa un intervento da equilibrista. Ricorda i temi, non dà soluzioni. Parla di “scenario economico imprevedibile” senza accenni su come affrontarlo. Parla della necessità di avere una difesa militare, glissando su come finanziarla. Tanto più in un contesto in cui, come ipotizza Crosetto, Mark Rutte, numero uno della Nato, potrebbe proporre che il 3,5% del Pil sia investito in difesa. Meloni, ancora, invita alla cautela e al dialogo sui dazi, ma non sembra avere una strategia su come fronteggiarli, se Trump, come pare, non tornerà indietro. In questo discorso vago e attendista Meloni ha alcuni punti fermi. Quelli di sempre: chi sono i suoi nemici. L’avversario principale della premier, ma in realtà anche di Calenda e anche della platea di iscritti e delegati è Giuseppe Conte. Il Conte del superbonus, del reddito di cittadinanza, del no alle armi. “L’unico modo per avere a che fare con il M5s è cancellarlo”, dice Calenda durante la sua introduzione. Standing ovation in platea, anche Crosetto si alza in piedi quando il padrone di casa incalza: “Chi dice che esiste la pace senza la forza non conosce la storia o è un pusillanime che vuole lucrare, se chi lo dice ha sprecato miliardi sui bonus edilizi è un mentitore seriale”.
Parecchi applausi li prende anche Meloni, quando afferma che al governo “abbiamo ereditato misure scellerate che hanno devastato i conti pubblici. Il Superbonus ha bruciato centinaia di miliardi di euro, è stato definito il più grande e stupido schema fiscale mai inventato al mondo da persone molto più autorevoli di me. Ma penso anche al reddito di cittadinanza, che noi abbiamo abolito quando siamo arrivati al governo”. A Conte, inoltre, viene contestata la linea sul riarmo: “Chi crede davvero in qualcosa non ribalta le sue posizioni per il fatto che si trova al governo o all’opposizione come chi fa chi, quando era al governo sottoscrive l’impegno del 2% per le spese della difesa nella Nato e all’opposizione scende in piazza per manifestare contro chi cerca di mantenere quell’impegno sottoscritto dall’Italia”, dice Meloni. Il ministro della Difesa alza ancora di più la posta quando, indirettamente, definisce l’ex premier “avvocato di sesta fascia portato al governo”. Tra gli applausi e le risate della sala, una sola voce (bassa) manifesta perplessità: “Quello almeno è avvocato, quell’altro…”. Il riferimento si perde nel vociare della platea, ma le parole sembrano dedicate a Matteo Salvini. Che, intanto, da Padova segue la sua agenda pacifista e non lesina attacchi a Ursula von der Leyen, rea, secondo lui, di fare solo gli interessi della Germania. La parentesi arriva all’orecchio di pochi curiosi e non ha risonanza. “Lavoro tutti i giorni anche per difendere Conte, suo figlio ed i Cinque Stelle”, incalza ancora Crosetto. A tutti questi attacchi, Giuseppe Conte risponde onorato: “Oggi mal di stomaco alle stelle per il partito trasversale delle armi a oltranza: insulti e attacchi a raffica per il sottoscritto e il M5s da Meloni, Crosetto, Calenda. Continuate pure, sono medaglie”.
Nel giorno del sodalizio governo-Azione ce n’è anche Elly Schlein. Molto meno di Conte, ma è a lei che si rivolge Meloni quando parla della perplessità di alcuni leader d’opposizione sui rapporti con gli Stati Uniti e sul piano di riarmo: “Non capisco: la proposta è rompere ogni forma di alleanza con gli Usa, ma chiedere loro di occuparsi della nostra sicurezza lo stesso o è che l’Europa diventi una grande comunità hippie demilitarizzata che spera nella buona fede delle altre potenze straniere?”. Immediata arriva la risposta di Schlein: “La cosa più assurda è che Meloni sostenga che non ci siano alternative tra essere talmente asserviti a Trump da non riuscire nemmeno a criticarlo e rompere l’alleanza uscendo pure dalla Nato. L’alternativa c’è eccome”.
Il Pd non è solo invocato in sala. Un pezzo di Pd è presente al congresso di Azione. Ad aprire i lavori è Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, una delle principali oppositrici interne di Schlein. Al panel dedicato alla difesa si collega l’ex ministro Lorenzo Guerini, oggi presidente del Copasir. A quello dedicato, invece, al futuro dell’Europa partecipa Paolo Gentiloni, ex premier e fino a pochi mesi fa commissario europeo: “Meloni dice sarebbe infantile dover scegliere tra Usa ed Europa ma il problema non è scegliere: noi siamo uno di questi poli, noi siamo l’Europa. E tutti i dirigenti dei governi europei non si propongono di rompere con gli americani”. Calenda lo saluta con fare sibillino: “Vogliamo fare l’alternativa insieme? Domani mattina, ma con te”.
Eccola l’opposizione dei sogni di Calenda, e forse anche un po’ di Meloni: un’opposizione senza Movimento 5 stelle, con un Pd privato della segreteria di Elly Schlein, anche senza Italia Viva di Matteo Renzi. Quest’ultimo, ormai lontano anni luce da Azione con cui pure aveva stretto un sodalizio per le elezioni, è reo di aver “fatto una scelta, quella di stare con campo largo, prima ancora quella di votare La Russa. È una scelta politica”. Il riferimento a Ignazio La Russa è relativo al giorno dell’elezione del presidente del Senato. Quei voti inaspettati che lo hanno incoronato seconda carica dello Stato al primo scrutinio non sono stati mai attribuiti a un autore noto. Calenda crede che sia opera di Renzi. E non perde l’occasione per ripeterlo.
di Federica Olivo su HuffPost
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