Da Macron a Scholz, leader in crisi alla prova del G7
Quasi tutti i capi di governo si presentano al vertice alle prese con pesanti problemi interni, legati spesso a elezioni appena trascorse o imminenti. A Berlino il sistema non è a rischio.
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. A Parigi è possibile uno tsunami politico. I guai di Kishida e Trudeau. Sunak e Biden verso il voto.
La fitta agenda del G7 di Borgo Egnazia rischia di essere oscurata dai problemi interni di leader che si presenteranno al vertice con un mandato in scadenza, come il presidente Usa, Joe Biden, e il premier britannico, Rishi Sunak, o azzoppati dal risultato delle elezioni europee, come il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron. È proprio sull’inquilino dell’Eliseo che sarà puntata la maggioranza dei riflettori. Scholz sconta una crescente impopolarità e i nazionalisti di Afd hanno strappato all’Spd la posizione di secondo partito ma l’affermazione dell’estrema destra in Germania non è ancora in grado di mettere in crisi un meccanismo che si appoggia da anni sulle grandi coalizioni. Dopo il voto del 2025, salvo sorprese, è quindi prevedibile un ritorno all’antico, con i cristiano-democratici della Cdu/Csu di nuovo perno del sistema. La Francia rischia invece di essere investita da uno tsunami politico senza precedenti nella storia della Quinta Repubblica dopo l’azzardo di Macron, che ha reagito alla sconfitta elettorale sciogliendo il Parlamento.
La scommessa è ricostituire il solito “cordone sanitario” che ha finora impedito al Rassemblement National di salire al potere. Questa volta, però, sarà molto più difficile, e non solo per via dei numeri, con la formazione di Marine Le Pen che ha raccolto più del doppio dei consensi del partito del presidente. L’apertura di Eric Ciotti, capo di Les Republicains, a una collaborazione con il Rassemblement è una svolta clamorosa che sta suscitando reazioni contrastanti all’interno dello stesso campo gollista. Se un simile sodalizio si concretizzasse, cosa più semplice una volta chiuso il dialogo con l’ultradestra zemmouriana di Reconquete, si creerebbe un blocco conservatore maggioritario che muterebbe in modo strutturale il panorama istituzionale transalpino.
Da una recente batosta alle urne è reduce anche il primo ministro giapponese, Fumio Kishida. Il suo partito liberaldemocratico ha registrato una deludente performance alle suppletive dello scorso aprile a causa di uno scandalo legato a irregolarità nella rendicontazione dei fondi per la campagna elettorale. Il premier nipponico, che in autunno si giocherà la riconferma alla presidenza del partito, ha resistito alle richieste di dimissioni e non ha voluto acconsentire a un rimpasto. La stagnazione dell’economia ha inoltre dato nuovo impulso alle critiche interne, e non sono pochi gli alti funzionari liberaldemocratici che desiderano approfittarne per prendere il posto di Kishida.
Altri leader si trovano invece a fine mandato e cercano una difficile riconferma. La stella del premier canadese, il progressista Justin Trudeau, è da tempo appannata e numerose problematiche molto sentite dalle classi popolari, dalla crisi degli alloggi alla crescente immigrazione, hanno messo il vento in poppa all’opposizione conservatrice, che tutti i sondaggi danno destinata alla vittoria alle prossime elezioni, previste nell’ottobre 2025. In Canada, del resto è successo di tutto negli ultimi anni, dalla protesta dei camionisti all’aumento dei morti per ferite da armi da fuoco, dalla surreale polemica sulla “blackface” per una vecchia foto del premier a una normalissima festa di carnevale fino ai roghi di chiese innescati non dal black metal ma da una psicosi sulla presunta presenza sotto alcune scuole cattoliche di resti di bambini nativi di cui non è stata poi trovata traccia.
Molto più ravvicinata la scadenza per Sunak: il 4 luglio si voterà per rinnovare la Camera dei Comuni e tutti i sondaggi puntano su un ritorno al potere dei laburisti, propiziato dagli errori dei due precedenti premier conservatori (un accordo onorevole sulla Brexit come quello negoziato da Theresa May fu sacrificato alle ambizioni personali di Boris Johnson).
Un po’ meno ammaccato appare Biden, che sembra in recupero su Donald Trump, il cui ritorno alla Casa Bianca appare ogni giorno meno scontato. Il positivo andamento dell’economia americana ha fatto risalire le quotazioni di ‘Uncle Joe’, che ora ambisce a presentarsi davanti agli elettori con traguardi di rilievo anche sul piano internazionale. Una tregua duratura in Medio Oriente e l’avvio di un dialogo diplomatico tra Russia e Ucraina, ovvero due dei dossier più caldi sul tavolo del summit, rafforzerebbero ulteriormente un presidente apparso molto più determinato e coriaceo di quanto l’età avanzata e l’indole da gaffeur lascerebbero intuire. Nondimeno, la condanna del figlio Hunter (che non avrà, ha assicurato Biden, grazia presidenziale) avrà di sicuro impatto su una campagna elettorale che avrà toni altissimi.
Il ruolo dell’eccezione spetta proprio alla padrona di casa. Giorgia Meloni è l’unica leader europea di peso uscita rafforzata dal voto e non è nemmeno a metà mandato. Le difficoltà degli altri Grandi rischiano però di rendere interlocutorio il summit pugliese, non consentendole di spendere appieno il capitale politico accumulato.
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