Destra e sinistra sono diventate due illusioni ottiche
I partiti e le coalizioni si frantumano su questioni fondanti come guerra, Europa, debito comune: i nemici votano allo stesso modo e gli amici in modo difforme.
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Poi partiti e coalizioni si ricompongono l’indomani, ma solo sulla propaganda. Analisi di una dissoluzione, da Schlein a Meloni passando per Conte e SalviniSe ci fosse Giorgio Gaber, potrebbe financo aggiornare la sua poesia, perché “è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra”. Che cos’è la destra, cos’è la sinistra. In attesa di capire se l’alluvione, e forse anche il Padreterno, sia di sinistra o destra, il governo (di destra) dice che la colpa è della Regione (di sinistra) che non ha speso i soldi e viceversa, perché il governo ha piazzato lì un commissario e quindi i soldi li avrebbe dovuti spendere lui.
L’effetto ottico è che pare che destra e sinistra esistano. Anche se, sotto la linea di demarcazione, il merito poi svanisce sul “che fare”: non si capisce chi dovrebbe costruire i muretti, però, vuoi mettere come funziona di più sui social, quando i più radicali tra gli uni discettano sul negazionismo dell’“è sempre stato così”, e i più radicali degli gli altri propongono di andare tutti in bicicletta per ridurre le emissioni. Insomma, il meccanismo funziona quando è contro, sempre in negativo, ed è tutto sulla propaganda, “noi e loro”, gli uni attribuendo agli altri i mali del creato: da un lato, il “non siamo come quelli di prima”, “i complotti”, dall’altro l’antifascismo, l’allarme democratico e la legalità, col problema che è di sinistra in Liguria, però diventa di destra in Puglia. Cioè, l’uso delle inchieste contro l’avversario politico.
Il meccanismo è semplice: parlare alla parte più estrema delle curve e dei follower, tanto chissenefrega che le tribune non vanno più a vedere la partita. Quando le questioni diventano serie, si riproduce, ma si inceppa, disvelando l’elemento di crisi sistemica. E così, tanto per parlare di una questione seria, Mario Draghi presenta il suo atteso rapporto: o si cambia o l’Europa muore. E il cambiamento, in questo mondo confuso è interconnesso, significa più integrazione, più statualità europea, e quindi più debito. È una grande questione che riguarda l’interesse nazionale che, in questa congiuntura, si difende fuori dai confini nazionali, rafforzano una soggettività politica europea. Succede che ognuno lo legge un po’ come gli pare. Dall’interesse nazionale al proprio.
E quindi Giorgia Meloni plaude, eccome, al debito comune, perché, stando a palazzo Chigi, ha il problema delle manovre con le vacche magre e vorrebbe spendere di più però non dice una parola sulla rimozione del diritto di veto, che significherebbe più integrazione politica, essendo sovranista, motivo per cui ha votato anche contro Ursula. E poi, si sa, Draghi evoca i famosi poteri forti, per cui si rischia di smontare la narrazione del “noi e loro”. Però, pur essendo sovranista ma fino a un certo punto, per far vedere che ha un ruolo in Europa, ha scelto di misurarsi sul terreno delle caselle più che della politica. E dunque: Raffaele Fitto, che dovrà ricorrere a tutta la sua abilità sul Green Deal e sul programma della commissione, però ha la Coesione, anche se ha fatto parte di un governo che, come tributo identitario alla Lega, ha varato l’autonomia.
E sul debito plaude anche Elly Schlein, che dice di volere più Europa, perché fa chic e non impegna, un po’ come il nero sui vestiti, purché non si parli di Difesa comune. E se proprio se ne deve parlare “sì, ma senza soldi”, sennò Marco Tarquinio, d’accordo con Nicola Fratoianni e Giuseppe Conte la impallinano sulla “corsa al riarmo”. I quali plaudono anch’essi al debito, ma sono meno europeisti di Elly Schlein, soprattutto Conte, che poi quando sente la parola Draghi vede rosso più di Giorgia Meloni, e alla fine, sempre di Ucraina si finisce a parlare.
Facciamola breve, non c’è il disegno complessivo, e su di esso una contrapposizione di visioni, responsabilità e consapevolezza dei prezzi da pagare. Ma il prêt-à-porter, in cui ognuno indossa quegli elementi di dressing che si adattano alla propria fisionomia. Quindi non è il progetto che definisce l’identità, ma l’identità da mantenere e ostentare (sempre alla curva) diventa progetto. Ed è su questa autoreferenzialità che si realizzano gli incroci pericolosi. Che non rivelano una contiguità ideologica né una comune visione di interesse nazionale, ma, semplicemente, la convenienza. Il primo elemento è, appunto, il debito come titolo, ognuno per coprire le proprie rumorose promesse su cui poi baccagliare alla grande: conviene a Giorgia Meloni per il suo costoso programma elettorale, conviene a Matteo Salvini per la Fornero e lo Stretto, conviene a Conte per il reddito di cittadinanza, superbonus e altre amenità, conviene a Schlein per più soldi alla sanità, alla scuola, congedo parentale, più soldi per gli insegnanti, libri gratis, aumento del cuneo (praticamente 70 miliardi).
L’altro elemento bipartisan è il non colpire con le armi in Russia, posizione su cui convergono il grosso del Pd, Fdi, Forza Italia, Cinque stelle, Lega e Avs, praticamente tutti. Anche qui, non riguarda un’idea comune di interesse nazionale, come dovrebbero essere i voti bipartisan sulla politica estera, ma la somma dei singoli interessi di partito. Perché ognuno sa che, sulla guerra, il tema armi è impopolare, quindi meglio attestarsi sul minimo sindacale. La logica autoreferenziale è così ferrea che la chiave domestica prevale sulla stessa logica di famiglia politica, per cui Giorgia Meloni vota in modo difforme dal Pis ed Elly Schlein in modo difforme dal Pse. E stiamo parlando di una questione di principio, di quelle – appunto che cosa è la destra, cos’è la sinistra – che definiscono il come stai al mondo, solo che, come tutte le cose serie, hanno un prezzo. Attenzione, la posizione sfidante non è quella di chi vuole una maggiore responsabilità, ma se possibile ancora minore, interrompendo le forniture attuali per cui Salvini e Conte votano allo stesso modo, Fratoianni pure e Cecilia Strada e Marco Tarquinio anche.
Spesa facile e non assunzione di responsabilità internazionale, ovvero l’Italietta. Piccoli partiti per una piccola Italia. Destra e sinistra, in fondo, sono questo. E sono più simili di come si raccontano non perché siano uguali come identità, ma perché il contrasto non è tale da mettere in discussione la finzione di un meccanismo autoreferenziale.
di Alessandro De Angelis per Huffpost
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