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I 10 miti di sinistra che sono andati in pezzi

Con la sconfitta di Harris si chiude per sempre l'era Obama-Clinton.

I 10 miti di sinistra che sono andati in pezzi

Bastonare lo sconfitto, anzi in questo caso, la sconfitta, è una poco nobile prassi, consueta in un animale così ingeneroso come l’umano e, in particolare, l’umano italiano. Per questo sarebbe ingiusto infierire su Kamala Harris da cui, nella situazione data, forse di più non si poteva pretendere. Quando vi sono smottamenti sociali, “riallineamenti”, come sono chiamati in Usa, i candidati e il loro carisma valgono fino a un certo punto. Soprattutto se, contro di te, hai uno sfidante unfair, che non rispetta la grammatica e la sintassi della democrazia liberale. Per parafrasare un famoso proverbio messicano, reso famoso in Per un pugno di dollari, quando un candidato democratico e liberale ne incontra uno fascista, quello democratico è un candidato morto. E, se non vogliamo scomodare la parola F., che sennò i pupi si straniscono, usiamo suoi sinonimi: illiberale, autoritario, plebiscitario.

Probabilmente non aveva torto chi definiva un eventuale vittoria di Harris “il quarto mandato di Obama”. Ma forse potremmo dire che sarebbe stato il settimo mandato di Clinton: Bill. Con la sconfitta di Harris si chiude infatti definitivamente, per i progressisti, l’era apertasi nel 1992, con la vittoria appunto di Clinton, e chiamata “terza via”. Anche se questo termine fu poi abbandonato e indubbie furono le differenze tra le presidenze di Barack Obama e quelle di Clinton, e soprattutto tra quella di Joe Biden, più johnsoniana, e le precedenti dem, lo schema mentale della sinistra, soprattutto in campagna elettorale, è rimasto legato a quella radice. Popolata da tutta una serie di miti, poi entrati anche nella mente della sinistra e dei progressisti di tutto il mondo.

Il 5 novembre sigilla la fine di tutti, o di larga parte, di questi: colpita è soprattutto la cultura cosiddetta riformista, ma anche quella radicale vede non pochi suoi idoli infrangersi. Ecco perciò i dieci miti principali che sono andati in pezzi:

1 It’s the economy, stupid – Falso

L’economia americana è cresciuta più di tutti, a livelli cinesi, nel post Covid, assieme alla espansione dei posti di lavoro. Ma in termini macroeconomici. Nelle elezioni, come ovunque, non conta infatti il reale ma ciò che la mente percepisce, come insegnava a suo tempo Baruch Spinoza e oggi la psicologia. E la percezione di una fetta larghissima degli americani è stata quella di essersi impoverita. l’economia inoltre non esiste mai in sé, come settore separato dalla vita: è sempre inserita in una trama di schemi mentali e culturali. Perciò, l’idea mainstream del progressista clinton-blairiano-obamiano, che le classi medie votano per noi, e anche tanti ricchi, e i poveri seguiranno, è un altro pregiudizio finito in frantumi.

Gli immigrati stanno con noi – Falso

Gli immigrati con cittadinanza sono sempre culturalmente più conservatori dei cosiddetti nativi: se vengono da paesi islamici, ma anche quando originano da lande cattoliche come il centro e il sudamerica. Già molte di quelle culture faticano ad accettare che le donne possano lavorare, non parliamo poi dell’interruzione di gravidanza, del matrimonio egualitario e cosi via.

Inoltre, gli immigrati non sono particolarmente solidali con quelli che oggi stanno intraprendendo la stessa strada dei loro padri o dei loro nonni, o di loro stessi. Anzi, temono che il disordine portato dagli “irregolari” mini la “rispettabilità” sempre fragile di cui essi godono, perché comunque, anche se regolari, continuano a essere vittima di razzismo. Tra la destra e la sinistra, anche se la destra li insulta, come è stato il caso di Trump, scelgono spesso la prima, soprattutto se questa promette di bloccare l’immigrazione.

Gli elettori sono razionali – Falso

I progressisti credono nella razionalità naturale dell’individuo., Un’asserzione smentita dagli ultimi due secoli da biologia, neuroscienze, antropologia, psicologia, filosofia, sociologia, storia e molto altro. Il cervello dell’essere umano prende decisioni (tra cui, quella di chi votare) non sulla base di un calcolo razionale di costi e di benefici ma dietro l’impulso di emozioni. E, nell’uomo, una delle emozioni più potenti è la paura.

Lo star system porta voti – Falso

E’ una delle credenze più assurde della “società dello spettacolo”, un elemento da pensiero magico: credere che il “divo” (cantante, attore ecc) possa determinare anche le scelte elettorali. E’ stata praticata e persino teorizzata Dal clinton-obamismo che, quando ha vinto, ha sempre scambiato l’effetto per la causa.

Le elezioni si vincono al centro – Falso

E’ la divinità principale del pantheon religioso “centrosinistrato” di terza via. Ammesso che tale centro sia esistito nel passato, cosa di cui è lecito dubitare, da ormai molti anni globalizzazione, sfarinamento della classe media e cosi via, l’hanno totalmente distrutto. Vince chi si colloca agli estremi, e che riesce a fidelizzare il proprio elettorato e magari, spostandosi agli estremi, a raccoglierne di nuovo. Inoltre immaginare un elettore “centrista” che, scevro di passioni e di emozioni, all’ultimo momento, tabelle e big data alla mano, decide quale sia il “migliore” candidato da votare, è una superstizione talmente palese che non mette conto neppure smentirla.

La demonizzazione non paga – Falso

Il modello nostrano fu la campagna di Walter Veltroni nel 2008, quando decise di non nominare mai Silvio Berlusconi. Il Pd prese un sacco di voti, mai così tanti in un’elezione per il parlamento nazionale. Ma perse. Mentre Berlusconi chiamava “coglioni” gli elettori del Pd. Ergo: demonizzare serve, come si è visto con Trump. Ma la demonizzazione va costruita bene, deve essere calda e non insistere su parole d’ordine astratte come “democrazia” o “legalità”.

Copiare il programma della destra ma presentandolo con una retorica inclusiva fa vincere – Falso

Il clintonismo, il blairismo e in parte, l’obamismo, cosa sono stati se non il programma della destra reaganiana, thatcheriana e bushista, ma con innesto di belle parole, e di diritti civili? E che differenza c’era tra il programma economico e sociale dell’Ulivo e quello della Casa della libertà oppure, per stare a tempi più recenti, tra quello del centro destra melonista e quello del Pd di Enrico Letta? Poco o nulla. Ma, tra l’originale e la sua copia, l’animale elettore si rivolge sempre, come riflesso condizionato pavloviano, all’originale.

Con la destra vince il liberismo – falso

Era uno degli assunti principali del progressismo clinton-blairiano-obamiano: la destra è liberista ma incompetente, votate noi che proponiamo un liberismo dei Capaci e dei Buoni. Ma la destra non è più liberista dai tempi della seconda presidenza Bush jr e, oggi con Trump, è persino più “socialista” di Harris, come ha scritto il “Wall Street Journal” , ormai rimasto l’unico giornale nel mondo civile a difendere il liberalismo economico. La destra oggi è socialista? Si, socialista nazionale però. E i termini possono pure essere invertiti…

Il populismo deluderà gli elettori – Falso

Una delle superstizioni più diffuse presso il Progressista clinton-blairiano-obamista. I populisti sono Cattivi, ma sono soprattuto Incapaci. Dopo i loro disastri, trionferemo noi. Falsissimo. Come dimostra il caso di Trump, che aveva già dato prova non brillantissima di se, o il consenso ancora alto di cui gode il governo Meloni, oppure i numerosi voti raccolti dalla coalizione berlusconiana ancora nel 2013, l’elettore di destra, a meno che non venga totalmente affamato, è legato al suo capo da un vincolo di carattere masochistico: più questo continua a fargli del male, più lui continua a votarlo.

  1. Alla fine il Bene trionfa sempre – Falso

Bisogna svegliare i progressisti e spiegare loro che l’Happy Ending, oltre a essere il finale di romanzi, piece teatrali e film mediocri, non esiste nella vita reale. Non solo il Male spesso trionfa, ma in democrazia, se l’elettore deve scegliere tra il Figlio di Puttana e il Santo, finisce sempre per preferire il primo.

Di Marco Gervasoni  Su Huffpost

 

 

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