I cattolici e la scelta politica. Senza ipocrisia.
Oggi, e di fronte a una precisa domanda di rappresentanza politica di parte dell’area cattolica italiana, le possibili risposte sono e restano soltanto tre: destra, sinistra e centro.
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È ormai noto che in alcuni segmenti dell’area cattolica italiana c’è una forte domanda di partecipazione politica. Una domanda che sale dal basso e che non può essere interpretata e filtrata dai soliti e collaudati “cattolici professionisti” o dai “cattolici doc”, per dirla con le felici espressioni del passato di Donat-Cattin e di Marini. Insomma, il tutto non può essere gestito dai soliti Delrio, Prodi e ultimamente dall’ex capo del’Agenzia delle Entrate Ruffini che antepongono sempre e soltanto un disegno di potere rispetto ad una legittima e sacrosanta rappresentanza politica e culturale. Un rinnovato protagonismo politico che, però, deve uscire anche dall’ipocrisia che purtroppo circonda questo mondo culturale, ideale, sociale e valoriale. E non solo da oggi, come tutti sanno.
Innanzitutto, va detto con forza che nel mondo cattolico c’è un forte, radicato e consolidato pluralismo politico ed elettorale. Nessuno, oggi, può credibilmente intestarsi nella politica italiana e in modo esclusivo, arrogante e presuntuoso, la rappresentanza politica di quest’area culturale e sociale.
In secondo luogo, per non essere intellettualmente disonesti, quando si vuole dare vita a strumenti organizzativi orizzontali dei cattolici italiani – che si chiamino reti, gruppi o movimenti poco importa – non ci si può definire politicamente plurali, inclusivi e aperti a qualsiasi apporto quando poi, come tutti sanno, si riconoscono prevalentemente se non addirittura esclusivamente in un solo partito. È il caso, nello specifico, del Partito democratico a guida Schlein.
Inoltre va detto con forza, e senza ulteriori infingimenti e tatticismi, che la cultura, il patrimonio, il pensiero e la stessa prassi dei cattolicesimo democratico, popolare e sociale italiano non sono affatto compatibili con le esperienze politiche iper sovraniste, radicali, massimaliste, populiste ed estremiste. Perché si tratta, molto semplicemente, di partiti e culture politiche che sono strutturalmente per non dire antropologicamente alternativi rispetto alla storia del cattolicesimo politico italiano. E se, a maggior ragione, si sostiene goliardicamente che i cattolici italiani possono tranquillamente militare in partiti siffatti, si deve anche accettare la tesi che all’interno di quei contenitori elettorali il peso politico è del tutto ininfluente per non dire irrilevante e puramente ornamentale.
Ecco perché, oggi, e di fronte a una precisa domanda di rappresentanza politica di parte dell’area cattolica italiana, le possibili risposte sono e restano soltanto tre. E cioè, si continua a lavorare nel pre politico. Dimensione importante ma purtroppo non sufficiente ai fini di una rinnovata presenza nell’agone politico contemporaneo. Oppure si ha il coraggio di mettere in campo un soggetto politico – cioè un partito – laico, popolare, riformista, plurale e di governo ma dove l’apporto e il contributo della cultura cattolico democratica, popolare e sociale sono decisivi se non addirittura determinanti ai fini della costruzione del progetto politico complessivo del partito stesso. Oppure, e ultima ipotesi, si contribuisce a rafforzare, e del tutto legittimamente, i partiti esistenti attraverso la propria specificità culturale ed ideale. Partiti che, almeno formalmente, dovrebbe avere un chiaro e netto profilo centrista, riformista e popolare.
Il tutto, però, deve avvenire all’insegna della chiarezza e della trasparenza. Senza ulteriori ipocrisie e sotterfugi. Anche perché chi pensa, ancora una volta, di usare le solite e ataviche furbizie rischia non solo di compromettere un rinnovato protagonismo politico dei cattolici ma, soprattutto, si rende complice di un’operazione che rende definitivamente e irreversibilmente marginale e periferica la presenza dei cattolici stessi nella vita pubblica del nostro Paese.
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