Anno: XXVI - Numero 59    
Martedì 25 Marzo 2025 ore 13:45
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Il Manifesto di Ventotene è figlio del suo tempo.

Impensabile diventi base di elaborazione politica.

Il Manifesto di Ventotene è figlio del suo tempo.

Salvatore Sica, accademico dell’Università di Salerno riflette sulle polemiche susseguenti alle dichiarazioni di Meloni, criticando l’approccio ideologico e la mancanza di un’unificazione identitaria europea

La bagarre scoppiata alla Camera, dopo le parole pronunciate dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul Manifesto di Ventotene, ha accesso i riflettori su idee diverse di Europa. Parlare di un documento risalente al 1941 è utile, ma non bisogna perdere il contatto con il presente.

«Chiariamo subito una cosa – evidenzia Salvatore Sica, ordinario di Diritto privato nell’Università di Salerno -, il manifesto di Ventotene non può essere letto decontestualizzandolo dal momento storico in cui fu scritto. Sotto questo profilo è erroneo citarne dei pezzi, dei singoli passaggi privi di riferimento al clima in cui alcune tesi vennero rese note. È altrettanto impensabile che questo diventi il manifesto di una nuova piattaforma ideologica, come sta tentando di fare una parte della sinistra. Sono errati entrambi gli approcci ai quali stiamo assistendo in questi giorni. Il Manifesto di Ventotene è figlio del suo tempo e non è pensabile che nella sua integralità possa diventare una base di elaborazione politica».

Quanto scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni è servito per riaprire di nuovo il dibattito sulla necessità di un ripensamento dell’attuale modello istituzionale, ma anche sociale e culturale dell’idea di Europa. «All’indomani della Seconda guerra mondiale – commenta Sica – si sviluppò l’idea di un’unificazione europea come rimedio ai nazionalismi, che sono stati il male assoluto del Novecento. Si assistette all’alternativa tra il modello cosiddetto “radicale”, sintetizzato nella formula “Stati Uniti d’Europa”, che vedeva nel Manifesto di Ventotene un riferimento ineludibile, e il cosiddetto “modello gradualista”. Come la storia ci insegna, prevalse il secondo modello. Per ragioni di politica internazionale le superpotenze dei due blocchi contrapposti non erano interessate ad avere un’Europa troppo forte. Non dimentichiamo neppure le diffidenze reciproche di Francia e Germania nel dopoguerra».

Il “modello gradualista”, sottolinea Salvatore Sica, è stato demonizzato frettolosomente: «Abbiamo spesso sentito parlare di Europa dei mercanti, di Europa dei banchieri, di Europa della finanza. Non c’è dubbio che scegliere di unificare l’Europa con lo strumento giuridico dei trattati, che sono sostanzialmente convenzioni tra Stati, in assenza di un processo di costituzionalizzazione e senza l’elaborazione di una tavola di valori condivisi, non avrebbe mai portato a un modello federale. La demonizzazione non è nemmeno accettabile, perché la tanto disprezzata Europa a trazione economica non ha impedito che sorgesse un’identità europea. Con lo schema produttore- consumatore è nata un’infinità di nuovi diritti. Penso alla sensibilità ambientale; penso alla tutela dei diritti personali, agli strumenti delle raccomandazioni del Parlamento europeo e così via. Purtroppo, però, il massimo risultato che si poteva conseguire attraverso il “modello gradualista” è stato quello dell’abdicazione alla sovranità monetaria. Con la moneta unica gli Stati hanno scelto la strada dell’unificazione a matrice economica e raggiunto il punto limite».

Dunque, è mancato un pilastro importante. Secondo l’accademico dell’Università di Salerno, si sarebbe dovuta realizzare un’unificazione identitaria attraverso un processo costituente. «È stata emblematica – commenta -, in occasione del fallimento del referendum sulla cosiddetta Costituzione europea, l’immagine che si diffuse in Francia dell’idraulico polacco che invadeva Parigi e le altre città d’oltralpe. Quella immagine indicava la difficoltà di integrazione, una ipotetica e pericolosa concorrenza rappresentata dagli operai dei Paesi dell’Est Europa, dell’ex blocco sovietico, oggi nell’Unione Europea. Questo rigurgito di nazionalismo, in assenza di un processo di condivisione di valori, ha dato vita ad alcuni fenomeni ai quali stiamo assistendo oggi, cioè un’Europa essenzialmente burocratica, che si concentra sui tappi di plastica delle bottiglie, che sceglie la folle politica Green senza valutazione o ponderazione delle conseguenze sulle economie nazionali. Un’Europa che a un certo punto diventa quasi antagonista rispetto agli interessi nazionali e, soprattutto, dove si registra una marcata connotazione ideologica oggettivamente spostata a centro- sinistra» . Le dure contrapposizioni politiche possono essere considerate l’effetto di una crisi che parte da lontano.

«È inevitabile – conclude Salvatore Sica – che si debba tentare un rafforzamento costituzionale con una ripresa del cammino di unificazione e senza prese di posizione radicali. L’Europa condivide con gli Stati Uniti i valori dell’Occidente. Pensare a un’Europa che si rafforza per contrapporsi agli Stati Uniti è follia pura, così come è impensabile a un’Europa che si rafforza al solo scopo di essere oppositiva alla Russia. La Russia è attualmente rappresentata da Putin, che ha invaso l’Ucraina, ma è anche un Paese con una tradizione secolare di storia che la riconduce, a partire dal piano culturale, a partire dal cristianesimo, ad una dimensione europea. Occorre abbandonare l’armamentario ideologico del Novecento. In merito alle polemiche di questi giorni, il Manifesto di Ventotene va rispettato e vanno recuperate le idee di fondo che lo hanno ispirato, come il modello dell’unificazione su base federale. Sarebbe però un errore pensare che quel modello vada difeso così com’è, che sia l’unica base di riferimento oggi per una politica che ci apre all’Europa con una attualità politica, senza considerare il tempo in cui fu concepito».

Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio

 

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