Il mio regno per un cavillo: occhio Conte, che Grillo in tribunale potrebbe spuntarla
Invece di aprire il Parlamento come una scatola di tonno si stanno aprendo (da soli) le porte dei tribunali.
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al suon di commi, combinati disposti e statuti vecchi e nuovi. Sullo sfondo una sentenza sul simbolo del Movimento che potrebbe inchiodare Conte o (se confutata) incoronarlo per sempre
Il mio regno per un cavillo. Finisce così l’epopea del Movimento 5 stelle, che doveva “aprire il Parlamento come una scatola di tonno” e finirà, molto probabilmente, ad aprire – pure con una certa grazia – le porte delle aule di tribunale. Quello civile, rigorosamente. Dove Giuseppe Conte e Beppe Grillo, l’un contro l’altro armati, potranno battagliare brandendo il pesante volumetto del civile – sul quale Giuseppe Conte, avvocato civilista, se la cava piuttosto bene – e, pubblicazione più agevole, due statuti pentastellati che si sono stratificati nel corso del tempo.
Chi la spunterà in questa guerra dei commi? Ai sensi del nuovo statuto pentastellato, potrebbe farcela Conte ma, per eterogenesi dei fini, potrebbe anche spuntarla Grillo. Magari con l’aiutino di norme pre statutarie. Non quelle precedenti allo Statuto albertino del 1848, ma quelle precedenti allo statuto contiano del 2022. Se vi è venuto mal di testa a leggere gli ingredienti di questa nuova ricetta per preparare il populismo 2.0 aromatizzato al combinato disposto, non temete, è la reazione comune a chi si approccia al sistema politico più intricato della storia.
Quello che è successo è noto: c’è stata la costituente del Movimento 5 stelle, che ha incoronato Conte ed estromesso Grillo. Quest’ultimo, però, ha deciso di non farsi per vinto. In che modo? Ai sensi della lettera “i” dell’articolo 10 dello statuto contiano del 2022. Questa norma dà al garante il potere di chiedere una nuova votazione “entro cinque giorni” dalla precedente. Una norma che Conte ha scritto, ma che dall’alto della sua recente e contestata incoronazione, definisce “una vecchia clausola, retaggio del passato”.
Sarà pure ammuffita la norma, ma Conte (che del resto ne ha la paternità) la preferisce al “contenzioso legale”, e così ha detto sì alla ripetizione della votazione. La quale – sempre ai sensi di quella lettera “i” che sarà il caso di imparare a memoria perché ci servirà nelle prossime settimane – “s’intenderà confermata solo qualora abbiano partecipato alla votazione almeno la metà più uno degli Iscritti aventi diritto al voto”. Agli iscritti, dunque, l’ardua sentenza – (e Manzoni, che abbiamo già scomodato due volte, ci perdoni) – perché l’avvocato del popolo ha visto sulla sua pelle quanto possono essere pericolose (per il suo potere) le sentenze dei tribunali veri. Gli appassionati del genere lo ricorderanno: era febbraio 2022 quando un tribunale civile, a Napoli, congelò il ruolo di Conte, sospendendo lo statuto che ai tempi era di fresca approvazione. In quel caso a sbarrare la strada all’avvocato del popolo era stato un piccolo grande cavillo: la votazione sullo statuto, si diceva, è carente. C’erano stati, aveva detto il giudice all’epoca, “gravi vizi nel processo decisionale”. Mica male per il partito della (defunta) democrazia diretta, che pensava che le leggi potessero approvate con un click.
Quella faccenda partenopea, poi, in una danza barocca di cavilli statutari mescolati, con le giuste proporzioni, alle regole dello statuto contiano “seicentesco” (cit: Beppe Grillo), si era risolta a favore di Conte. Ma non è detto che un nuovo giro in tribunale non possa andare diversamente. Lo spiega bene l’avvocato Lorenzo Borrè. C’era lui a difendere i dissidenti nella battaglia di Napoli ed ha avuto il pregio – da giurista attento e preciso quale è – di studiare come nessuno avrebbe mai fatto le complicate regole dello statuto contiano. Riuscendo nella mirabolante e paziente impresa di capirle bene. Borrè nei giorni scorsi ha avvertito: “Il tribunale diede ragione a Conte ma potrebbe esserci anche un Tribunale che decida diversamente e optare per la sospensione, bloccando il principio della Costituente”,
Se pensavate che fosse tutto, sbagliavate. Perché Grillo ha – o potrebbe avere – dalla sua parte anche un’altra regola. Quella, lo ha ricordato Danilo Toninelli, che riguarda il simbolo. Qui i cavilli giuridici si intrecciano con una sentenza di un tribunale – e fin qui poco male – e con un grande mistero: un contratto che tutti nominano, ma di cui nessuno conosce il testo preciso. “C’è una sentenza – spiega ad HuffPost l’avvocato Borrè – della corte d’appello di Genova, del 2021, che attesta che ai sensi di una norma prevista nel vecchio statuto del 2009, il nome e il simbolo siano di Beppe Grillo”. La sentenza – tanto per aggiungere un po’ di ulteriore complessità – è stata pronunciata “in un contenzioso tra tre associazioni che portano il nome Movimento 5 stelle”. Quindi (semplifichiamo perché il labirinto si fa troppo difficile da percorrere) non c’è un solo Movimento 5 stelle, ce ne sono tre. Uno, quello targato Grillo- Gianroberto Casaleggio del 2009, uno del 2012, sempre a opera di Grillo, e uno del 2017, quello, attualmente presieduto da Conte. Ora, quindi, se bastasse – come di solito accade nel mondo – una sentenza per risolvere i rapporti di cattivo vicinato, dovremmo dire che il simbolo e il nome sono di Grillo. Ma siccome ai fautori della democrazia diretta dell’uno vale uno la semplicità non piace, ecco che spunta un contratto. “Ambienti contiani – spiega ancora Borrè – sostengono, e io non ho motivo di dubitarne, che ci sia un contratto tra Grillo e l’associazione che attribuisce al M5s (a trazione contiana, ndr) l’utilizzo del simbolo. Però si tratta di una scrittura privata che non è mai stata esibita., Perché un paritto improntato sulla trasparenza non rende edotti gli associati dei patti sugli elementi distintivi dell’associazione? Conte è stato criptico su questo”. Quindi, delle due l’una: o Conte sventola il contratto e chiarisce una volta e per sempre che il simbolo è suo, oppure, spiega Borrè “rileva il principio affermato, con effetto di giudicato, nel contezioso che riguardava tutte e tre le associazioni”. Siccome, però, come pare, sul punto non c’è intesa, è facile che per questa faccenda Conte e Grillo in tribunale ci finiscano davvero.
Ultimo elemento. Fino a oggi – al netto della votazione che sarà ripetuta – Grillo è stato estromesso (o pretermesso, per dirla come piace a Conte) solo sulla carta. “È stato dato – ci spiega ancora Borrè – un indirizzo, ma per modificare lo statuto bisogna sottoporre all’assemblea un testo”. Insomma, tra votazioni da ripetere, simbolo, cause minacciate più che nel movimento che doveva rivoluzionare la partecipazione democratica, sembra di stare in un condominio litigioso, in cui l’unica soluzione per chi non sopporta il vicino non è mettersi una porta blindata, ma cambiare quartiere.
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