Il Rapporto Draghi, prendere o lasciare: senza cambi radicali l’Ue muore
L’ex premier ed ex presidente della Bce: Recuperare competitività: decarbonizzazione, difesa, nuove tecnologie, servono investimenti del +5% del Pil (due volte il Piano Marshall). Eliminare il potere di veto.
“I valori fondamentali dell’Europa sono prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile. L’Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non può più fornirli alla sua gente, o deve barattare l’uno con l’altro, avrà perso la sua ragione d’essere”. Mario Draghi è definitivo nel gran giorno dell’attesa presentazione del suo report sulla competitività. L’ex governatore centrale scende in sala stampa con Ursula von der Leyen per esporre il suo lavoro. Per come la vede lui, si tratta è un ‘prendere o lasciare’. I 27 non hanno molti margini di manovra: devono investire sulla decarbonizzazine e la competitività, creare nuovi fondi comuni per farlo, anche sulla difesa; recuperare nella corsa sulle nuove tecnologie con Usa e Cina che sono avanti; darsi una mossa nelle decisioni che al momento prendono anche più di un anno mezzo,
“Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere – continua Draghi – Non saremo in grado di diventare, contemporaneamente, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni”.
Ma bisogna aver chiara la portata della sfida. “Per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la nostra capacità di difesa – elenca Draghi – la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del pil, tornando ai livelli visti l’ultima volta negli anni ’60 e ’70. Ciò è senza precedenti: per fare un paragone, gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 ammontavano a circa l’1-2 per cento del Pil all’anno”.
In un mondo che non è più stabile geopoliticamente, dall’invasione dell’Ucraina in poi, l’Ue ha bisogno urgente di reinventarsi. E invece l’Unione ha una “crescita economica persistentemente più lenta rispetto agli Stati Uniti negli ultimi due decenni, mentre la Cina ha rapidamente recuperato terreno”. Circa il 70 per cento del divario nel Pil pro capite con gli Stati Uniti si spiega con la “minore produttività nell’Ue” soprattutto nel campo delle nuove tecnologie. “L’Europa – dice Draghi – ha perso in gran parte la rivoluzione digitale guidata da Internet e i guadagni di produttività che ha portato. L’Ue è debole nelle tecnologie emergenti che guideranno la crescita futura. Solo quattro delle prime 50 aziende tecnologiche del mondo sono europee”.
Insomma l’Europa “sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione. Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di lavoratori ogni anno. Dovremo fare più affidamento sulla produttività per guidare la crescita. Se l’Ue dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente solo a mantenere costante il Pil fino al 2050, in un momento in cui l’Ue sta affrontando una serie di nuove esigenze di investimento che dovranno essere finanziate attraverso una crescita più elevata”.
L’Ue non manca di “idee o ambizioni”. Il problema è che “non riesce a tradurre l’innovazione in commercializzazione e le imprese innovative che vogliono crescere vengono frenate da regole inconsistenti e restrittive”. E allora succede che “molti imprenditori europei preferiscono cercare finanziamenti dai venture capitalist statunitensi e ampliare la propria attività nel mercato statunitense. Tra il 2008 e il 2021, circa il 30 per cento degli ‘unicorni’ fondati in Europa, startup che hanno raggiunto un valore di oltre 1 miliardo di dollari, hanno trasferito la propria sede all’estero, con la stragrande maggioranza che si è trasferita negli Stati Uniti”. Per non parlare della “concorrenza cinese”, che “sta diventando acuta in settori come la tecnologia pulita e i veicoli elettrici”, e della dipendenza dell’Ue dalla Cina “per materie prime essenziali”. “Siamo anche enormemente dipendenti dalle importazioni di tecnologia digitale. Per la produzione di chip, il 75-90 per cento della capacità di fabbricazione globale è in Asia”.
Cosa può fare l’Ue? L’Unione “dovrà coordinare accordi commerciali preferenziali e investimenti diretti con nazioni ricche di risorse, accumulare scorte in aree critiche selezionate e creare partnership industriali per garantire la filiera di fornitura di tecnologie chiave. Solo insieme possiamo creare la leva di mercato necessaria per fare tutto questo”. Anche la difesa europea è “troppo frammentata, il che ostacola la sua capacità di produrre su larga scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, indebolendo la capacità dell’Europa di agire come potenza coesa. Ad esempio, in Europa vengono prodotti dodici diversi tipi di carri armati da battaglia, mentre gli Stati Uniti ne producono solo uno”.
“In molti di questi ambiti, gli Stati membri stanno già agendo individualmente e le politiche industriali sono in crescita. Ma è evidente che l’Europa non è all’altezza di ciò che potremmo ottenere se agissimo come comunità”. Tre ostacoli: “Manca il focus” nella “articolazione “degli obiettivi comuni”, il mercato unico è “frammentato”. Inoltre, l’Europa sta “sprecando le sue risorse comuni. Abbiamo un grande potere di spesa collettivo, ma lo diluiamo su molteplici strumenti nazionali e dell’Ue”. “A causa del suo processo decisionale lento e disaggregato, l’Ue è meno in grado di produrre una risposta” coordinata tra i vari Stati membri. “Le regole decisionali dell’Europa non si sono evolute in modo sostanziale con l’allargamento dell’Ue e con l’aumento dell’ostilità e della complessità dell’ambiente globale che affrontiamo. Le decisioni vengono solitamente prese questione per questione con più attori con diritto di veto lungo il percorso. Il risultato è un processo legislativo con un tempo medio di 19 mesi per concordare nuove leggi, dalla proposta della Commissione alla firma dell’atto adottato, e prima ancora che le nuove leggi vengano implementate negli Stati membri”.
Insomma, la “domanda chiave” è come finanziare “le massicce esigenze di investimenti che la trasformazione dell’economia”. In primo luogo, suggerisce Draghi, “mentre l’Europa deve progredire con la sua Unione dei mercati dei capitali, il settore privato non sarà in grado di sostenere la parte del leone del finanziamento degli investimenti senza il sostegno del settore pubblico. In secondo luogo, più l’Ue è disposta a riformarsi per generare un aumento della produttività, più spazio fiscale aumenterà e più facile sarà per il settore pubblico fornire questo sostegno. Questa connessione sottolinea perché aumentare la produttività è fondamentale. Ha anche implicazioni per l’emissione di attività sicure comuni. Per massimizzare la produttività, saranno necessari alcuni finanziamenti congiunti per gli investimenti in beni pubblici europei chiave, come l’innovazione rivoluzionaria”.
La conclusione: “Siamo arrivati al punto in cui, se non agiamo, saremo costretti a compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà”.
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Ciò che sicuramente c’è di buono è che, a stretto giro, sapremo il destino che ci attende; il gioco del far finta di non vedere, con il quale per decenni abbiamo traccheggiato, non può più funzionare. E allora, arrivati al bivio, dovremo scegliere: accettare conseguenze dolorose nel breve termine per garantire il futuro, o continuare a mentire a noi stessi ciurlando nel manico. E c’è un rischio ancora più grave di quello implicato da questa seconda opzione, il rischio di dividerci tra di noi: dentro gli stati tra opposte fazioni, e dentro l’Europa tra antiche nazioni in competizione; che, in fondo, è ciò in cui confidono le fameliche autocrazie sparse nel mondo.
I PUNTI CHIAVE DEL RAPPORTO DRAGHI SULLA COMPETITIVITÀ
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