Kant e Conte. La pace dei Cinque stelle è quella del cimitero
A proposito di una manifestazione di minchioni (mi scuso per la definizione, trovino loro quella giusta).
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Sto riprendendomi ora dalla costernazione di aver indotto tanta furente indignazione nei protagonisti e sostenitori della manifestazione per la pace dello scorso weekend, da me definiti, con imperdonata leggerezza, minchioni. Termine indirizzato in particolare alla leadership, ai militanti, agli elettori del Movimento cinque stelle, ai loro potenziali e smanianti alleati della Sinistra e dei Verdi, alla delegazione del Partito democratico rappresentata dal sorriso, che a me parve appunto minchione, di Francesco Boccia, che pure conosco da tanto tempo e mai direi di lui che è minchione, anche se in quella piazza e con quel sorriso qualche indizio lo disseminava.
Non mi permetterei, e sono felice di precisarlo qui, di applicare il titolo di minchioni ad altri animatori del corteo, per esempio al premio Nobel per la fisica, Giorgio Parisi, del quale conosco in prima persona la levatura, avendo lui vinto il Nobel quando era blogger di HuffPost, o al mio amatissimo Alessandro Barbero, del quale sono seguace da quando vinse il premio Strega (1996) e ancor di più da quando s’è dato alla divulgazione storica, ma le cui doti di analista politico mi lasciano alquanto perplesso, oltretutto se intuisce un parallelo fra un leader tedesco degli anni Trenta, Adolf Hitler, e uno attuale, Ursula von der Leyen, entrambi dediti al riarmo destinato all’invasione della Russia (sul punto mi affido al corsivo di Pietro Salvatori di qualche giorno fa).
Fra l’altro mi ero anche trattenuto. Minchioni mi pareva – illuso! sciocco! – anche un forma affettuosa per notificare il mio totale dissenso verso uno slogan ritmato a lungo, “fuori la guerra dalla storia”, che a me suonava, e suona, come il più cretino di tutti i tempi. Mi è stato fatto notare che lo slogan nasce da Lidia Menapace, che è stato ripreso varie volte, anche da Papa Francesco, che il mondo senza guerra è un’idea che attraversa le epoche e le intelligenze, e naturalmente la lezione non poteva che planare sulla pace perpetua di Immanuel Kant. Ed eccolo il punto.
Diciamo che se le riflessioni attorno alla pace, ai progetti di pace perpetua, o più stabile, vengono da Kant e arrivano a Norberto Bobbio, uno ci si può applicare con interesse. Se vengono da una piazza a cinque stelle, rischia invece di erompere spontaneamente un minchioni liquidatorio. Dopo essersi presi Jean Jacques Rousseau e averne fatto strazio, dopo avere adottato la sua volontà generale senza averne capito niente di niente, dopo averci costruito sopra una ridicolissima e (perlomeno intellettualmente) truffaldina piattaforma battezzata appunto Rousseau, un luogo dove smantellare la democrazia rappresentativa, e un luogo online, cioè il luogo dell’assoluta emotività egoriferita, che era quanto più terrorizzava Rousseau, ecco, dopo un tale scempio, mica ci riproveranno con Kant, mi sono detto.
Di Kant e della sua pace perpetua io ricordo due cose, la prima a memoria, la seconda sono andato a verificarla. Prima, la pace perpetua non era un banale non armiamoci, vogliamoci bene, era una globale (globale!) cessione di sovranità di modo che le contese fra Stati non fossero regolate al fuoco dei cannoni ma dalla forza del diritto amministrato da un tribunale mondiale. Dunque, invece di invadere l’Ucraina, Vladimir Putin le fa causa, e poi sarà un giudice a decidere se debba essere annessa o no alla Russia, se possa o no entrare nell’Unione europea, o nella Nato, se si debba denazificarne il governo e così via. Se a qualcuno pare oggi, nella situazione attuale, una strada percorribile e in tempi ragionevolmente brevi, si può anche parlarne. Io nutro i miei dubbi, diciamo così (trattengo un “minchioni” per spirito costruttivo). E non mi pare che il, peraltro, giurista Giuseppe Conte l’abbia messa giù in questi termini. Mi sembrava, invece, proprio come nell’appropriazione indebita di Rousseau, una roba da core in mano, e nonostante le politiche di Conte a me suggeriscano sempre la genuinità della rivendita di pentole sui pullman (ma qui scivolo di nuovo nell’illazione).
La seconda cosa che ricordo della pace perpetua di Kant è una premessa fondamentale: non va confusa con la “pace del cimitero” (dipende dalle traduzioni, altre volte è la “pace del camposanto”, presto si leggerà forse “pace del campolargo”), che è la pace di chi si sottomette, di chi rinuncia a combattere per paura e per fiacchezza, di chi si piega alla prepotenza del tiranno, ed è la peggiore delle condizioni. La “pace del cimitero”, tanto esecrata da Kant, sarebbe per esempio (ne cito uno a caso…) la “pace ingiusta” invocata da Giuseppe Conte in un’intervista nella quale introduceva alla sua manifestazione.
Ora si capirà forse perché il minchioni mi pareva generoso. Comunque me ne scuso. Trovino loro la definizione appropriata.
di Mattia Feltri su HuffPost
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