La derenzizzazione di Schlein, insieme a Landini. Poi di corsa verso il sol dell’avvenir?
La sua segnatura è votata a rimuovere i resti del renzismo in casa Pd. Che è il motivo per cui è stata eletta.
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Anche se oggi era saggio privilegiare altro prima delle europee. Per esempio, dello schifoso baratro in cui l’Europa ha spinto il conflitto ucraino
La mia ambizione, in questi giorni preelettorali, è capire perché dovrei recarmi a votare. Una vaudiville iperbolica di programmi ai quali non credono nemmeno coloro che li hanno scritti. Mi ritorna in mente uno dei tanti servizi sul colabrodo della sanità italiana, specchio fedele delle disuguaglianze. Degli interessi economici. La distanza siderale tra le parole della politica e le fibrillazioni che rumoreggiano in pancia degli italiani, le ambasce quotidiane, il declino di un paese in cui non va nulla, dove continuamente pensi di risolvere qualcosa e invece ti ritrovi al punto di partenza.
Mentre fuori il ‘mondo brucia’, contro il logorio della vita moderna, il Pd propone una bella discussione sul job act. Il provvedimento renziano fatto per creare lavoro. Il sindacato, che ha memoria di elefante per quello che gli conviene, ha presentato un referendum per la sua abrogazione. La Schlein l’ha firmato. La sua segnatura è votata a rimuovere i resti del renzismo in casa Pd. Che è il motivo per cui è stata eletta. Anche se oggi era saggio privilegiare altro prima delle europee. Per esempio dello schifoso baratro in cui l’Europa ha spinto il conflitto ucraino. Come avrei preferito che al G7 italiano il Papa fosse invitato non per parlare d’intelligenza artificiale ma della guerra e delle sue proposte di negoziazione e di pace.
La Schlein firmando il job act ha iniziato a dare fisionomia al nuovo Pd. Non esiti. Lo stesso vigore di chiarezza lo trovi nelle faccende più complesse che non si coprono qua e là con quel pacifismo nominativo di cui ha bardato le liste europee. L’attracco su Landini è un vedo, prevedo, il capo della CGIL leader della futura coalizione di centrosinistra? È presto parlarne, ma è nell’aria. Ho ascoltato Landini il 25 aprile a Casa Cervi. L’occasione per presentare i quesiti referendari della CGIL. Una giugulare infuocata dagli effetti speciali di sempre. Non abbiamo ben capito cosa ne pensa del conflitto ucraino – sarebbe bastato dire no all’invio delle armi e accoglienza alla proposta negoziale del Papa – sul quale è corso veloce per soffermarsi più su quello mediorientale ma sul resto si capiva che era il contraltare della Meloni. Tanto che alla fine del discorso, Adelmo Cervi, figlio di Aldo, uno dei sette fratelli trucidati dai fascisti, ha incoronato, non troppo scherzando, il Landini futuro candidato premier. Mettiamo sia proprio così, il contorno del futuro Pd diverrebbe più chiaro, associato ai 5 Stelle, ma la domanda delle cento pistole è sempre quella, sicuri che così si vince?
Non porrò qui la questione del centro politico che di fronte alle torture psicologiche della vita è pane con l’acqua, ma già da quelle parti non stanno fermi e si pensa ulteriormente di spacchettare il Pd, i margheritini e i popolari verso il centro cappeggiato da un leader riconosciuto. Non capisco perché la soluzione dei problemi dentro i partiti avviene pedissequamente dividendoli, perdendo pezzi per strada, un modo per svicolare, tanto poi qualcuno dovrà raccogliere se l’obiettivo finale è vincere. Che fosse innaturale il matrimonio popolari e diessini era evidente. Non regge dalla nascita. Due mondi che si possono incontrare di tanto in tanto ma non di frequente. Quindi la Schlein fa quello che il suo mandato prevede o comunque per i motivi per cui è stata incoronata dalle primarie.
Il cammino di Schlein-Landini-Conte perché colga l’efficacia della sfida a trovare soluzioni devono tenere con sé l’obiettivo di una critica feroce al capitalismo, un modello suonato e che non funziona più nei suoi gangli vitali. Contemporanei. Il sistema corruttivo emerso in questi giorni, uno delle tante storture, delinea un male trasversale che solca i confini nazionali e le famiglie politiche diverse. Una dare e avere connaturato nell’esercizio cinico e ipocrita della politica e delle professioni intorno che non si cura di facendo vacui appelli sulla moralità. Qualcuno crede che nella più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti, i dollari circolanti per le primarie non si trasformino poi in favori ad personam? Quando ci s’incammina alla ricerca di un’alternativa è un pilot da sperimentare su società complesse come le nostre, facilmente ci si può perdere nei meandri della vaghezza ideologica. Senza risposte. Ci vuole il fisico del ruolo per imbarcarsi nella tundra delle difficoltà. Meglio lavorare per sottrazione, questo non va, quest’altro non ci piace, e per il resto non chiedeteci parola. Va come deve andare.
Sconsolati e senza sol dell’avvenir prossimo venturo calzano le motivazioni di Charels Grant direttore del Centre for European Reform il maggiore think tank britannico dedicato alle questioni europee, nel spiegare come certa la vittoria laburista in Gran Bretagna dopo 14 anni. “Il governo laburista sarà un governo di centrosinistra – spiega il professore in una intervista a La Lettura – e sottolineo centro e non ci saranno cambiamenti traumatici e radicali nelle politiche economiche rispetto all’attuale esecutivo conservatore. Dunque, la Gran Bretagna non virerà a sinistra, andrà dal centrodestra al centrosinistra”. Per la serie non montarsi la testa e stare nel rivoluzionario tran tran. Del centrosinistra. Come del centrodestra.
di Maurizio Guandalin per Huffpost
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