Anno: XXVI - Numero 82    
Giovedì 24 Aprile 2025 ore 13:45
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L’aggressione fascista a Genova? Un invenzione.

E il sindacalista Cgil Fabiano Mura finisce sotto accusa per simulazione di reato.

L’aggressione fascista a Genova? Un invenzione.

È entrato in Procura come persona informata sui fatti, quando è uscito il suo nome era stato iscritto nel registro degli indagati. Fabiano Mura, segretario genovese della Fillea Cgil, la federazione degli edili, è accusato di simulazione di reato. Capo di imputazione che gli è stato contestato dal sostituto procuratore Federico Manotti, quando Mura ha ammesso di essersi inventato l’aggressione dello scorso 15 aprile da parte di due sconosciuti che aveva etichettato come “fascisti”: «Uno mi ha urlato comunista di merda, facendo il saluto romano; l’altro mi ha tirato un pugno, mi ha spintonato e mi ha colpito. E poi sputi». Parole che aveva sottoscritto nella denuncia presentata in commissariato a Cornigliano. Lo stesso commissariato dove, neppure 48 ore dopo, si era ripresentato per ritirare quella denuncia («per la forte pressione emotiva», aveva sottolineato aggiungendo che però il fatto era vero) quando erano emerse le prime discrepanze tra il suo racconto e la realtà. Merito del lavoro della Digos, diretta da Simona Truppo: gli agenti non hanno trovato corrispondenza tra gli orari forniti dal sindacalista (era uscito di casa più tardi dell’ora che aveva indicato) e gli appuntamenti con gli operai che aveva detto di dover incontrare. Appuntamenti che gli avrebbero fatto percorrere la strada dove secondo lui sarebbe avvenuta l’aggressione.

Una denuncia quella di Mura – quando ha saputo di essere indagato ha nominato come difensore di fiducia l’avvocato Giacomo Longo – che aveva provocato lo sdegno del suo sindacato e della politica: poche ore dopo la presunta aggressione subita dal segretario provinciale degli edili, a Sestri Ponente si era tenuta una manifestazione antifascista (un presidio democratico lo aveva definito la Camera del Lavoro della Liguria) molto partecipata. In piazza Baracca c’erano la candidata sindaca del centrosinistra Silvia Salis, l’ex ministro Andrea Orlando e l’ex segretario della Cgil Sergio Cofferati. Oltre agli esponenti locali dell’Anpi.

Ma a muoversi, oltre alla società civile e antifascista, erano anche gli antagonisti e gli estremisti, come hanno scoperto gli investigatori grazie ad alcuni confidenti. E siccome il timore che potesse esserci una sorta di vendetta era forte, la Procura ha accelerato i tempi dell’indagine. Non per stabilire se il segretario degli edili dicesse la verità o meno (in quel momento non era in discussione), ma per trovare chi lo aveva mandato all’ospedale. La Digos, però, scavando tra le parole di Mura ha trovato le prime contraddizioni: sia per quanto riguardava l’orario in cui aveva detto di essere uscito da casa, sia per quel particolare sul quale si reggeva l’aggressione di stampo fascista. Ovvero i simboli della Cgil attaccati sull’auto di servizio. Il pm Manotti ha chiesto alla polizia di acquisire le immagini delle telecamere per trovare tracce del pestaggio (c’è solo il referto del pronto soccorso dove il sindacalista è andato a farsi medicare), ma il risultato è stato un altro buco nell’acqua. Nel frattempo il segretario della Fillea ritirava la sua denuncia, anche se la Cgil si metteva al suo fianco per proteggerlo: «Una decisione che va rispettata, lui conferma comunque i fatti», recitava una nota. Non una retromarcia, quindi. Anzi la Camera del Lavoro, rinnovando la sua fiducia nella magistratura e nelle istituzioni, invitava la Procura di Genova «ad andare avanti con le indagini».

L’ammissione di fronte al magistrato

Ed è proprio quello che è successo: Mura è stato invitato lo scorso 24 aprile (vigilia dell’Ottantesimo Anniversario della Liberazione, ndr) dal sostituto procuratore titolare dell’indagine a rendere sommarie informazioni in ordine al fatto che aveva denunciato. Dopo le prime domande di rito, Manotti è andato al nocciolo della questione. Il sindacalista messo alle strette ha ammesso di non essere stato né avvicinato né picchiato da alcun fascista: da persona informata sui fatti, così è diventato un indagato.

La vicenda, però, non è affatto chiusa. Perché, tolta la matrice politica, resta da capire se lo hanno picchiato davvero, e lui non ne rivela il motivo (a questo punto personale) per timore delle conseguenze, oppure se si è inventato tutto di sana pianta (ma perché lo avrebbe fatto?). Lo stabilirà l’inchiesta, che a questo punto è per simulazione del reato. Il legale di Mura per ora preferisce non commentare, sentirà il suo assistito probabilmente già questa mattina per decidere quale sarà la prossima mossa da fare. Il responsabile degli edili genovese della Cgil potrebbe dover tornare dal pm. Stavolta di sua iniziativa.

Secolo XIX

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