Manovra coi fichi secchi.
Meloni ai vicepremier raccomanda sobrietà. Loro preparano il duello.
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“Le risorse sono poche. Bisogna spenderle al meglio. Come si addice a un governo politico, faremo delle scelte. Coi piedi ben piantati per terra”. Sono le parole che Giorgia Meloni riservò ai vicepremier di rientro dalle vacanze lo scorso anno. Era il 28 agosto. Venerdì, nel vertice di maggioranza fissato a Palazzo Chigi in mattinata potrebbe ripeterle tali e quali, con l’aggiunta della preghiera a non alimentare aspettative intorno alla manovra “finchè non avremo idea delle risorse a disposizione”. La metafora sarà abusata ma rende l’idea: la coperta corta della manovra quest’anno è ancora più striminzita.
La novità arriva dall’adesione dell’Italia al nuovo patto di stabilità, che la obbliga a mettere da parte risorse per il risanamento. Quanti soldi serviranno? Con Bruxelles sta trattando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Ma i tempi sono fissati. Il Piano strutturale di bilancio (Psb) di medio termine andrà consegnato alla Commissione entro il 20 settembre. Non arriverà dunque nel Consiglio dei ministri previsto nel pomeriggio. Ma entro metà settembre, ha detto il titolare del Mef. Un mese dopo andrà inviato a Bruxelles il disegno di legge di bilancio. Di qui l’invito di Meloni ai suoi. Alla Nanni Moretti: nel frattempo “Non facciamoci del male…”.
Lei per prima sa che i leader di partito le presteranno ascolto il tempo di un’intervista, secondo una nota consuetudine. E in definitiva sa di poter contare fino in fondo solo su Giancarlo Giorgetti, al qual la uniscono interessi oggettivamente convergenti per le tenuta dei conti pubblici. Quest’anno ancora di più che in passato, visto che il Psb avrà una durata di 5 anni, e dovrà contenere il percorso della spesa pubblica e le riforme strutturali che l’Europa chiede da anni. Di più: conterrà l’impegno dell’Italia a risparmiare tra i 10 e 12 miliardi di euro, per i prossimi 7 anni, secondo le stime più attendibili.
Peraltro di incombenze sul piatto ce ne sono già molte. Sono le misure che l’esecutivo eredita dallo scorso anno e che l’ufficio parlamentare di bilancio ha stilato in un elenco con tanto di impegno spesa: nel complesso impattano per 18 miliardi di euro. Alcune sono considerate ineludibili da tutti i partner di maggioranza: ad esempio il cuneo fiscale, l’esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti che da solo vale 11 miliardi. Lo stesso discorso vale per le misure di sostegno agli investimenti nelle zone economiche speciali del Mezzogiorno e il rifinanziamento della “Nuova Sabatini”, i contributi sugli investimenti di impresa. Anche il rifinanziamento delle missioni internazionali non si tocca, Tra le misure che il governo deve decidere in che forma rifinanziare c’è anche l’azzeramento dei contributi previdenziali a carico di lavoratrici a tempo indeterminato con due figli (fino a 10 anni), il cosiddetto bonus mamme. Detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività, interventi a sostegno agli indigenti, riduzione del canone Rai completano il quadro. Tra vincoli di bilancio e poste già impegnate, il tema è il reperimento delle risorse. Visto che il cosiddetto ‘tesoretto fiscale’ derivante dalle maggiori entrate – 13 miliardi di imposte dirette nel primo semestre – essendo una tantum non può essere utilizzato per coprire il deficit di bilancio a politiche invariate, a norma del nuovo patto di stabilità.
Insomma, le risorse a disposizione saranno in ogni caso scarse. Ma questo non impedisce ai partiti di presentare ciascuno la sua lista della spesa. La Lega batte sul tema pensionistico. Il sottosegretario Claudio Durigon si è inalberato quando è emersa l’ipotesi di ritardare i pensionamenti anticipati, allungando le ‘finestre’ per chi vuole lasciare il lavoro dopo 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne). Si risparmierebbe un miliardo e mezzo aumentando di 4 mesi il tempo d’attesa tra la maturazione del requisito e il pagamento della pensione. “La soglia no si tocca”, ha detto Durigon. Di contro il Carroccio chiede che quota 103 (62 anni e 41 di contributi) in scadenza quest’anno, sia sostituita da quota 41. Il Mef è contrario, e contraria è anche la parte moderata della coalizione. “In un Paese che ha 14 milioni di pensionati e spende il 70% delle risorse per la previdenza e solo l’1% per natalità e sostegno alle famiglie, è impensabile immaginare di destinare risorse ai pensionamenti anticipati, che siano quota 41 o 42. Dobbiamo rovesciare la prospettiva”, dice Maurizio Lupi di Noi Moderati. Al tavolo di maggioranza, a quanto si apprende, Tajani chiederà l’aumento delle pensioni minime e la decontribuzione dei nuovi assunti. Mentre Fratelli d’Italia invita alla prudenza e si candida a rivestire il ruolo del partito responsabile. “I soldi vanno spesi nel migliore dei modi. Uno dei punti cardine per fratelli d’Italia sarà il taglio del cuneo fiscale, possibilmente cercando di intervenire anche per quanto riguarda una tassazione più leggera per il ceto medio”. Per estendere la detassazione anche ai redditi sui 50-60 mila euro servirebbero tuttavia 2,5 miliardi.
La caccia alle risorse è già cominciata. All’unisono la maggioranza smentisce le ricostruzioni di stampa sulla cancellazione dell’assegno unico, che pesa per 20 miliardi sui conti pubblici, anche se ammette che un ritocco ci sarà, perché lo chiede l’Europa, che ha messo sotto procedura d’infrazione l’Italia chiedendo di cancellare il requisito della residenza. Meloni interviene con un video sui social, con Giorgetti al fianco, e invita a “diffidare dalle ricostruzioni” di questi giorni. “La legge di bilancio – spiega – ancora dobbiamo scriverla. E non abolireremo l’assegno unico che noi abbiamo aumentato. Stiamo dando battaglia in Europa visto che la commissione ci dice che dovremmo darlo anche a tutti i lavori immigrati che esistono in Italia la qual cosa significherebbe uccidere l’assegno unico”. Per questa via potrebbe non è tuttavia esclusa una redistribuzione degli assegni. E a fare le spese della cura dimagrante potrebbe esserci anche una rivisitazione del bonus mamme: quello per i nuclei con più di tre figli resterà, e sarà previsto anche per le lavoratrici autonome, ma potrebbe saltare quello per i nuclei con 2 figli.
Meloni richiamerà tutti a contenere gli appetiti. E a quanto si apprende si attende che dai ministeri arrivi un piano di risparmi in grado di contribuire al reperimento di fondi. Ci sarà poi l’accordo sul calendario di fine anno, che potrebbe prevedere alla ripresa il ddl sicurezza, poi la manovra, infine il decreto lavoro che il governo ha in gestazione. E lo ius scholae? L’oggetto misterioso del dibattito estivo non sarà richiamato se non indirettamente. Per dire – come Salvini ha fatto a più riprese – che non figura nel programma di governo e che ora ci sono altre priorità. Ma proprio sul ddl sicurezza grava l’emendamento presentato da Azione che ricalca la posizione di Forza Italia e che sarà discusso dal 10 settembre. Tajani non dovrebbe tirarlo in ballo, ma potrebbe essere Salvini a citarlo, per chiedere rassicurazioni. Il leghista annuncia battagli anche sull’autonomia differenziata. Il Carroccio chiede che si proceda subito per le materie non Lep, mentre Tajani ha una posizione diametralmente opposta: fino alla determinazione dei livelli essenziali, non si può partire. Meloni sarà chiamata a mediare tra Forza Italia e Lega anche sulle prossime regionali. In Veneto il vicepremier azzurro sponsorizza Flavio Tosi, arcinemico di Salvini.
La riunione anticiperà il Consiglio dei ministri che si terrà subito dopo. All’ordine del giorno c’è la proposta di Raffaele Fitto come candidato dell’Italia alla Commissione europea. Contestualmente il ministro dovrebbe portare il decreto balneari, una delle riforme chieste da Bruxelles. Ma proprio per evitare la contemporaneità tra nomina e riforma delle concessioni, il governo potrebbe decidere di fa slittare l’approvazione del decreto. La bozza, anticipata dal sito di settore Mondo Balneare, prevede una proroga da uno a cinque anni per gli attuali gestori, a seconda della percentuale regionale di occupazione delle coste, per poi mandarli a gara con il riconoscimento di un indennizzo basato sul valore aziendale. C’è anche l’obbligo di assegnare almeno il 15% di litorali liberi in ogni regione e non impone alcun numero massimo di concessioni per lo stesso soggetto, lasciando tale facoltà ai Comuni. Mentre le opposizioni bocciano il provvedimento – Magi di Più Europa parla delle nuove concessioni come di un oltraggio al pudore – anche gli imprenditori del settore mostrano ancora qualche resistenza. Gli indennizzi devono essere computati sulla base di valori che mettano al riparo dagli investimenti. Sono spiagge, e non dune. Ma il motto è lo stesso: prima vedere cammello.
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